VINCITORE ai BAFTA 2017 (Oscar britannici) come 'MIGLIOR FILM BRITANNICO' - Già VINCITORE della PALMA d'ORO al 69. Festival del Cinema di Cannes - Premio del Pubblico al Festival del Film di Locarno 2016 - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by OWEN GLEIBERMAN, (www.variety.com) - Dal 21 OTTOBRE
Cast: Dave Johns (Daniel Blake) Hayley Squires (Katie) Dylan McKiernan (Dylan) Briana Shann (Daisy) Kate Rutter (Ann) Sharon Percy (Sheila) Kema Sikazwe (China) Micky McGregor (Ivan) Natalie Ann Jamieson (Assessore all'impiego e all'assegno di supporto) Colin Coombs (Postino) Bryn Jones (Poliziotto) Mick Laffey (Consulente Welfare Benefits) John Sumner (CV Manager)
Musica: George Fenton
Costumi: Joanne Slater
Scenografia: Linda Wilson
Fotografia: Robbie Ryan
Montaggio: Jonathan Morris
Casting: Kahleen Crawford
Scheda film aggiornata al:
15 Febbraio 2017
Sinossi:
IN BREVE
Per la prima volta nella sua vita, Daniel Blake, un falegname di New Castle di 59 anni, è costretto a chiedere un sussidio statale in seguito a una grave crisi cardiaca. Il suo medico gli ha proibito di lavorare, ma a causa di incredibili incongruenze burocratiche si trova nell'assurda condizione di dover comunque cercare lavoro – pena una severa sanzione – mentre aspetta che venga approvata la sua richiesta di indennità per malattia. Durante una delle sue visite regolari al centro per l’impiego, Daniel incontra Katie, giovane madre single di due figli piccoli che non riesce a trovare lavoro. Entrambi stretti nella morsa delle aberrazioni amministrative della Gran Bretagna di oggi, Daniel e Katie stringono un legame di amicizia speciale, cercando come possono di aiutarsi e darsi coraggio mentre tutto sembra beffardamente complicato.
IN DETTAGLIO:
Daniel (Dave Johns) è un falegname di mezza età che, in seguito ad un attacco cardiaco sopraggiunto sul lavoro, viene dichiarato dal proprio medico impossibilitato a riprendere l’attività , almeno fino a quando le sue condizioni fisiche non garantiranno una bassa possibilità di recidiva. Tuttavia, non sono dello stesso avviso gli uffici dello Stato Sociale che, in una tragicomica pantomima di moduli da riempire, voci metalliche di impersonali call center e mano sinistre che non sanno cosa fanno le destre, spingono l’uomo in una estenuante battaglia contro i mulini a vento per vedersi riconosciuta ed indennizzata la propria invalidità .
Durante una delle sue tante visite agli uffici preposti, Daniel incontra Katie (Hayley Squires), una giovane ragazza madre con due bambini a carico, messa in ulteriore difficoltà da un trasferimento forzato e da un’impiegata particolarmente rigida; scatta così in Daniel un genuino istinto di solidarietà che porterà l’uomo ad aiutare la famiglia come può, mettendo a disposizione manovalanza e generosità .
SHORT SYNOPSIS:
A middle aged carpenter who requires state welfare after injuring himself, and is joined by a single mother in a similar scenario.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Quando il film ha già avuto inizio, in sottofondo, lo schermo è ancora nero mentre i titoli di testa in bianco scorrono lentamente. Una voce femminile rivolge tutta una serie di domande sulla capacità di fare alcune cose di routine quotidiana, all'insegna di un insistente e fastidioso 'è in grado di...?' Una voce maschile si spazientisce mentre vorrebbe andare subito al nocciolo della questione 'i problemi di cuore', tutto il resto va bene. Ma non c'è verso. La cosa si fa insidiosa, il colloquio stizzito, al di là di qualche umoristica battuta. E il motivo di tutto questo si annida nella valutazione per l'indennità di malattia di un anziano signore che finalmente viene inquadrato in un primissimo piano per dare il la anche visivo al film. Non un film qualsiasi, ma un'altra di quelle denunce sociali al vetriolo che forse solo Ken Loach è in grado di allestire in uno
stile così unico sul grande schermo.
I (Io), Daniel Blake ha ben meritato la Palma d'Oro a Cannes, e il pubblico del Festival del Film di Locarno che lo ha premiato ha evidentemente apprezzato come si deve questo piccolo grande capolavoro. Uno spaccato tra le più roventi - e dire che Ken Loach ha ormai raggiunto la veneranda soglia degli 'anta'! 'Ottanta' intendo dire! - denunce sociali pescate nella vivente contemporaneità . Un distillato di verismo che muove da una situazione tragicomica per addentrarsi in un dramma tanto vero quanto ignorato dai più. E il modo netto, crudo, leggero e pesante ad un tempo di inquadrare i nuovi 'invisibili' della nostra società - anche se il dito è puntato sull'Inghilterra che Loach conosce bene - riecheggia come un monito che non solo non possiamo più ignorare ma che lascia uno di quei segni dentro, indelebili, molto simili ad una piccola ferita
appena aperta. E neppure troppo superficiale. I suoi 'invisibili' sono talmente 'schietti' e senza macchia, imprigionati nelle maglie di una 'burocrazia' allucinante, assurda, subdola e meschina, che altro non è se non uno strategico 'gioco al massacro' studiato a tavolino per scoraggiare i bisognosi, tali da far impallidire il blasonato protagonista (l'homeless George di Richard Gere) ne Gli invisibili (appunto) di Oren Moverman.
Il Daniel Blake di Ken Loach ha invece il volto e l'anima di un attore come Dave Johns, di marca comica. Il che potrebbe suonare come un paradosso ma non lo è. Anzi! Il suo protagonismo calato nell'uomo che per problemi di salute deve sospendere la sua attività lavorativa di apprezzato falegname, è schiacciante, anche se intimamente legato al cruciale corollario di marca familiare fondata sul perno di una giovane madre single come Katie (Hayley Squires). Ma se scarta totalmente dal melò, per affilare la lama sulle corde
'Tutto torna alla fine' e quel 'tutto' muove da uno tra i tanti centri d'impiego. Laddove Ken Loach mette ad
una gogna esemplare il soffocante sistema burocratico su cui, pare, - e poi ci lamentiamo dell'Italia! Mio Dio ma in che acque versa la 'Reale' Inghilterra?! - si fondi il sistema sociale inglese. Il Daniel di Johns ne è un'esemplare dimostrazione. La sua è una vera e propria 'odissea' di gratuite umiliazioni e sofferenze, stemperate solo al tepore auto generato dalla naturale tendenza alla generosa solidarietà che lo contraddistingue: lo attestano i rapporti con i ragazzi vicini di casa e con la stessa Katie e i suoi due bambini conosciuti proprio al centro per l'impiego, mentre interveniva senza successo in loro favore, e con cui si ritrova a condividere analogo disagio, tradotto di lì a poco in una solidale amicizia e collaborazione reciproche.
Ci sono scene in questo Io, Daniel Blake che trasudano tutta la rabbia repressa del suo autore regista, regolarmente confortato nell'opera di sceneggiatura dal fedele Paul Laverty,
e ve ne sono altre in cui si rivendica il diritto, come riscatto dall'onta, a mettere in ridicolo le maglie di un sistema in odore di vera e propria ghigliottina: docent il sistema di compilazione della modulistica per l'indennità di malattia e/o sussidio, certi obblighi di ricerca di lavori che poi una persona malata non può fare e molto di altro. Un'odissea, appunto, con l'unico scopo di imprigionare e soffocare i malcapitati. E non occorre essere geni per capire che l'odissea di Daniel Blake non è che la punta di un iceberg sempre più imponente. Lo stile di certe sequenze - tra cui quello della scrittura murale con lo spray ad opera di Daniel Blake, o quelle di Katie alla 'banca del cibo', affamata al punto da mangiare pomodori direttamente in scatola, o al supermercato, quando si rende protagonista di un piccolo furto - ha in effetti tutta la fiera
Si, un vero e proprio "baluardo di resistenza". E se l'avvio ha il target stilistico dell'autore, che mi direte del finale?! Il percorso a tratti tragicomico è ormai pronto a cedere la staffetta al dramma più pieno e puro. E' là che il contenuto di una lettera vi arriverà dritto nello stomaco prima che al cuore, togliendovi il fiato. Che Ken Loach abbia vinto la sua scommessa di vincere sull'indifferenza collettiva, lo dimostrerà il fatto che l'indomani,
Secondo commento critico (a cura di OWEN GLEIBERMAN, www.variety.com)
Ken Loach's 'I, Daniel Blake,' about an ailing carpenter who fights to stay on welfare, is a film of moving relevance
The British director Ken Loach will be 80 years old in June, and he has worked in film and television for more than 50 of those years, but with his bone-deep empathy for the desperate and the downtrodden, you may feel that he was almost put on earth to make a dramatic feature about the current economic moment. “I, Daniel Blake†is one of Loach’s finest films, a drama of tender devastation that tells its story with an unblinking neorealist simplicity that goes right back to the plainspoken purity of Vittorio De Sica. The tale of Daniel Blake (Dave Johns), a 59-year-old carpenter from Newcastle, who is fighting to hold on to his welfare benefits, even though his heart condition forbids him from working, is one that’s sure
to resonate across national borders, because it’s about something so much larger than bureaucratic cruelty (although it is very much about that). It captures a world — our world — in which the opportunity to thrive, or even just survive, is shrinking by the minute. With the right handling, the movie has a chance to connect with audiences as few Loach films ever have. It’s a work of scalding and moving relevance.
Daniel, whose grizzled pate and washed-out pallor make him look much older than he is, has a way of barking at folks he doesn’t like, but really, he’s the soul of crusty friendliness. A widower with no children, he has recently suffered a heart attack and receives an Employment and Support Allowance from the British state. But then, for no good reason, his benefits are denied; the state wants him to go back to work — even though his
physician is on record as saying he can’t. The movie takes us through the agony of the appeals process, which is a much bigger nightmare than it sounds like, because all Daniel is trying to win is the right to an appeal. He’s forced to jump through hoop after hoop, to hurry up and wait, and some of the demands are so unreasonable (he mustn’t just spend 35 hours a week applying for jobs he couldn’t take anyway; he must prove that he did) that the inescapable conclusion is that the system, as rejiggered by conservative government forces, has been engineered to toss people off the welfare rolls. It’s designed, in no small part, not to work.
The battle to keep those benefits, without which he’ll literally be out on the street, may be even more Sisyphean in Daniel’s case, because as an old-school carpenter with almost no formal education, he’s
a lost relic in the digital age. “I’ve never been near a computer,†he says, and while such confessions bring nothing but scolding contempt from the clerks in the welfare office, the audience looks at Daniel and, indeed, sees a man — you may have at least one relative like him — who lacks the consciousness to evolve with technology. Daniel is forced to take a class in how to draw up a CV, but even then, he writes it out in longhand – which inspires the film’s most cutting welfare official, who’s like a Kafkaesque version of Jane Lynch, to look at that piece of paper as if it were a scroll of shame. The main thing Daniel learns in the class is that there are dozens of people applying for every low-wage job. In other words: Why even bother?
In the welfare office, Daniel spots a woman in a
similar predicament, and being the Samaritan he is, he tries to help Katie (Hayley Squires) and her two kids get set up in their new flat. They’ve been squeezed out of the newly gentrified London, with no money and no prospects, and the four begin to hang out, because they have nothing much else to do. Yet in their way, they form a ragtag surrogate family. Squires has a dark-eyed beauty, yet her performance is so emotionally addled with dissolute worry that when we look at her, all we see is her stressed-out sadness. She’s a woman who has stopped being; she is merely existing. She literally cuts down on what she eats to have the money to feed her kids, and when she’s shopping at the government food bank and compulsively tears the top off a can of beans, dripping the syrup into her mouth, it’s a tearful epiphany
— a fusion of hunger and degradation. It’s literally what she’s been driven to.
If “I, Daniel Blake†had been made 20 or 30 years ago, the personalities of those in the welfare office might have been more colorfully villainized. But the film’s despair arises out of its perception that it’s the whole impersonal system that’s to blame. The layers of bureaucracy, which have only been added to with the Internet, are designed to wear people down. Johns, in a powerful performance, gives Daniel a plucky decency but a lonely anger underneath that simmers until it needs to explode. Daniel works to give the system every benefit of the doubt, until it insults his very being, at which point he has an impromptu “Attica!†moment. But it’s only a moment. The quiet beauty of “I, Daniel Blake†— the reason it’s the rare political drama that touches the soul —
is that we believe, completely, in these people standing in front of us, as Ken Loach and the actors have imagined them. And when the movie ends, we feel like we won’t forget them.