Seconde visioni - Cinema sotto le stelle: 'Summer 2017' - 2 NOMINATIONS agli OSCAR 2017: Migliore Attrice protagonista (Meryl Streep); Migliori costumi (Consolata Boyle) - Dall'XI. Festa del Cinema di Roma - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by GUY LODGE, (www.variety.com) - Uscito al cinema il 22 Dicembre 2016
"Florence è stata una figura importante della scena artistica e musicale di New York durante la Seconda Guerra Mondiale e vi ha contribuito con molte donazioni, tra cui quella di strumenti musicali ai bambini poveri. Ha anche contribuito ad avvicinare molta gente facoltosa al mondo della musica, persuadendola a contribuire finanziariamente alla promozione della musica nella grande città . Per il suo concerto alla Carnegie Hall donò 1.000 biglietti ai reduci di guerra, e per molti di loro quella fu la serata della vita. Chiaramente si sbellicarono tutti dalle risate, divertendosi un mondo per quello spettacolo tanto bizzarro ed eccezionale! Ma Florence si rendeva conto oppure no dell'effetto prodotto dalla sua voce? Questo sta al pubblico deciderlo"
Lo sceneggiatore Nicholas Martin
"Florence era una donna ricca, dell'alta società , e ha fatto molto per la musica durante la guerra; ha aiutato il celebre direttore d'orchestra Toscanini ed è stata una filantropa. Mi ha fatto sempre venire in mente Margaret Dumont, l'attrice e spalla comica che Groucho Marx inseguiva sempre nei suoi film, grottesca e commovente allo stesso tempo. C'erano gruppi di persone a New York che avevano fame di cultura durante gli anni terribili della guerra e lei ha contribuito a tenere alto il morale organizzando le sue serate da dilettante. Poi assiste ad una esibizione di Lily Pons, una cantante francese dotata di una splendida voce, e ne trae ispirazione per diventare a sua volta cantante prendendo lezioni di canto ed è qui che entra in scena il vero disastro! I personaggi di Florence e Bayfield sono ridicoli, commoventi e grotteschi allo stesso tempo, ma insieme funzionano. Quando si incontrarono si piacquero subito. Bayfield era un attore fallito, cosÏ lui trovò un modo per vivere agiatamente e lei un uomo che la amava e si prendeva cura di lei, cos'altro avrebbe potuto desiderare?"
Il regista Stephen Frears
Soggetto: Biopic sulla cantante soprano statunitense negli anni compresi tra la fine degli anni Venti e la metĂ dei Quaranta, Florence Foster Jenkins, che divenne famosa per la sua completa mancanza di doti canore.
Cast: Meryl Streep (Florence Foster Jenkins) Hugh Grant (St. Clair Bayfield) Rebecca Ferguson (Kathleen) Simon Helberg (Cosme McMoon) Nina Arianda (Agnes Stark) Neve Gachev (Amica di Florence) Mark Arnold (Cole Porter) Dilyana Bouklieva (Spettatrice all'Opera) John Kavanagh (Arturo Toscanini) Josh O'Connor (Donaghy) David Haig (Carlo Edwards) Christian McKay (Earl Wilson) Stanley Townsend (Phineas Stark) Allan Corduner (John Totten) John Sessions (Dr. Hermann) Cast completo
Brid Brennan (Kitty) Pat Starr (Mrs Vanderbilt) Maggie Steed (Mrs James O'Flaherty) Thelma Barlow (Mrs Oscar Garmunder) David Mills (Augustus Corbin)
Musica: Alexandre Desplat
Costumi: Consolata Boyle
Scenografia: Alan MacDonald
Fotografia: Danny Cohen
Montaggio: Valerio Bonelli
Effetti Speciali: Manex Efrem (supervisore)
Makeup: Beverley Binda; J. Roy Helland (per Meryl Streep)
Casting: Kathleen Chopin, Leo Davis e Lissy Holm
Scheda film aggiornata al:
10 Agosto 2017
Sinossi:
In breve:
Nel 1944 L'ereditiera Florence Foster Jenkins (Meryl Streep) è tra le protagoniste dei salotti dell'alta società newyorchese. Mecenate generosa, appassionata di musica classica, Florence, Con l'aiuto del marito e manager, l'inglese St. Clair Bayfield (Hugh Grant), intrattiene l'Êlite cittadina con incredibili performance canore, di cui lei è ovviamente la star. Quando canta, quella che sente nella sua testa come una voce meravigliosa, è per chiunque l'ascolti orribilmente ridicola. Protetta dal marito Florence non saprà mai questa verità . Solo quando Florence deciderà di esibirsi in pubblico in un concerto alla Canergie Hall, senza invitati controllati, St. Clair capirà di trovarsi di fronte alla piÚ grande sfida della sua vita.
SHORT SYNOPSIS:
The story of Florence Foster Jenkins (Meryl Streep), a New York heiress, who dreamed of becoming an opera singer, despite having a terrible singing voice. Hugh Grant will play her partner and manager, actor St. Clair Bayfield.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Il britannico Stephen Frears (The Queen, Philomena), dimostra di prediligere la cifra individualista. Intendiamoci. Il cinema è sempre un gioco di squadra. E lo è anche questa volta. Ma è piÚ che evidente l'irresistibile attrazione da parte sua per storie vissute a tutto campo dal protagonismo pressochÊ assoluto di veri e propri poli catalizzatori. Con un debole per le quote rosa. Meglio se incarnate da piÚ che blasonate interpreti. Meglio se a loro agio in atmosfere 'vintage', ma questo non è sempre detto. Basti pensare a The Queen con Helen Mirren, a Cheri con Michelle Pfeiffer, a Tamara Drew con Gemma Arterton, a Una ragazza a Las Vegas con Rebecca Hall, a Philomena con Judi Dench (che torna peraltro a lavorare per Frears nei panni della regina Vittoria in Victoria e Abdul, di prossima uscita). CosÏ, oltre ai 'reali' della amata madre patria, Frears sembra da tempo andare in cerca
di perle, le piĂš preziose (Mirren, Pfeiffer, Dench), non disdegnando di tanto in tanto la pesca di quelle di fiume (Arterton, Hall). Questa volta ha voluto strafare, e per la sua Florence ha scelto il diamante piĂš ambito: Meryl Streep.
Di lei si è detto di tutto. L'aggettivo piÚ ricorrente e anche il piÚ calzante, che flirta simpaticamente con il suo stesso cognome, è 'strepitosa'. Che lo sia nella recitazione non è certo un mistero per nessuno. L'apice del gotha interpretativo, e non solo hollywoodiano, credo le appartenga di diritto. Che lo sia anche nel canto è pure cosa risaputa. Lo possono senz'altro testimoniare la sua 'country singer' Yolanda Johnson in Radio America - A Prairie Home Companio di Robert Altman, la sua Donna nel musical Mamma mia! di Phyllida Lloyd e la sua chitarrista rock Ricki in Ricki and Flash (Dove eravamo rimasti) di Johnathan Demme. Ma non si
era mai detto che Meryl Streep fosse 'strepitosa' anche nell'interpretare un personaggio famoso per non saper cantare. Una sfida irrinunciabile per lei! Ma solo lei poteva cadenzare note sbagliate sfumando svariate modulazioni di frequenza, giostrandosi con grande maestria e naturale candore nell'inconsapevolezza del suo personaggio della innegabile mancanza di talento. Stiamo parlando, purtroppo, di un personaggio reale.
Frears ha scelto Meryl Streep per realizzare un biopic su Florence Foster Jenkins, la cantante soprano statunitense vissuta negli anni compresi tra la fine degli anni Venti e la metĂ dei Quaranta, che divenne paradossalmente famosa proprio per la sua completa mancanza di doti canore. Una storia bizzarra che si nutre dell'altrettanto bizzarro protagonismo, oltre che di Florence/Streep, di altri bizzarri co-protagonisti: dal marito attore per diletto St. Clair di Hugh Grant, visto che le mediocri prestazioni sgombrano presto il campo da piĂš elevate ambizioni, al giovane pianista Cosme McMoon di Simon Helberg
(menzione speciale all'irresistibile comicità naturale). Il mecenatismo e la filantropia della disgraziata Florence (il primo marito le offre in dono la sifilide la stessa notte di nozze quando lei è appena diciottenne) la vedono attorniata da tanti piccoli avvoltoi, pronti a compiacerla per le sue pseudo doti canore pur di avere sovvenzioni. Amante della musica tanto da fondare un piccolo teatro, il Verdi Club dove declama versi shakespeariani il secondo consorte - consorte sulla carta giacchÊ la malattia non lascia spazio ad altro - Florence è amica di Arturo Toscanini come di molti altri, e crede nell'arte quanto nella buona causa di sostenere, anche con la stessa musica, i soldati andati in guerra e le rispettive, sconsolate famiglie.
Nel suo dramedy Florence, con una Streep a tutto campo che di tanto in tanto si concede di appoggiarsi alle due vigorose spalle-stampella di Grant ed Helberg, Stephen Frears privilegia l'inseguimento di
un sogno d'arte inzuppato in un mare di generosità anche sul piano umano: "la musica è sempre stata ed è la mia vita... e con tanti ragazzi in guerra, la musica è ancora piÚ importante". CosÏ, co-protagonista a tutti gli effetti è anche quell'amore per l'arte che, quando davvero forte e sentito, può essere persino in grado si sostenere una salute malferma come quella di Florence, al punto da tenerla in vita ben oltre i limiti previsti. Non vi è dubbio che Florence sia una pellicola intrisa di umorismo, ma è anche un dramedy a tutto tondo. Le risate, inevitabili, si stemperano difatti spesso nelle umide nebbie un dramma umano e di un grande cuore dal candore tanto disarmante che, alla fine, nessuno si sognerebbe mai di infangare. E se non si può pensare di dar colore alla mancanza di talento, si può solo pensare al bianco per tradurre in
immagine una fede tanto potente nel sogno di coltivare un'arte, nella convinzione di arrecare beneficio al prossimo. La sequenza finale dĂ corpo all'immagine di quel sogno. Un corpo pieno, reale come l'amore, impalpabile come l'illusione, su cui prima o poi cala il sipario.
CosĂŹ il film si apre sul sipario di un teatro e si chiude sul sipario della vita, mentre la reale Florence Foster Jenkins si affaccia qua e lĂ in un repertorio doc sui titoli di coda. Un esempio di coraggio e determinazione fuori dall'ordinario nell'inseguire i propri sogni, intendendo nutrire, al contempo, quella 'fame di cultura dilagante nei terribili anni della guerra', quando tener su il morale era tutt'altro che scontato. A suo modo, un'eroina d'altri tempi, grottesca ma anche commovente!
Secondo commento critico (a cura di GUY LODGE, www.variety.com)
MERYL STREEP SINGS â SORT OF â FOR HER SUPPER IN STEPHEN FREARS' MARSHMALLOWY BIOPIC OF THE FAMOUSLY INEPT SOPRANO.
The showâs not over âtil the flat lady sings in âFlorence Foster Jenkins,â Stephen Frearsâ bright, bubbly and suitably ear-bursting biopic of surely the least gifted chanteuse ever to sell out Carnegie Hall. She sings rather early on, however, leaving Frears and screenwriter Nicholas Martin with few dramatic or comedic cards to play for the picâs remaining 90 minutes â beyond the admittedly delicious spectacle of the ever-game Meryl Streep taking a musical meat cleaver to respectable operetta. Less rich and less rounded than âMarguerite,â the recent French arthouse hit drawn from Jenkinsâ story, this good-humored confection â slyly fashioned as a reproach to more discerning culture critics â will nonetheless strike a chord with auds who thrilled to Streepâs comparably high-camp impersonation of Julia Child. Seventy-two years after
her passing, expect Jenkinsâ name to sell out a few more theaters from beyond the grave.
While Frearsâ film hits theaters in Blighty this spring, U.S. viewers must wait until the tail end of summer â narrowly preceding the fall-fest influx of prestige fare, though presumably with an eye to launching Streep in the awards derby. Tickled as Jenkins no doubt would have been by such gilded possibilities, âFlorence Foster Jenkinsâ is an audience picture first and foremost: one wholly sympathetic to its eponymous subjectâs delusional drive to delight crowds with or without the requisite artistry. Where âMargueriteâ wryly satirized the class privilege and bourgeois obsequiousness that enabled the celebrity of its fictionalized protagonist, âJenkinsâ goes distinctly easy on her addled vanity, and even on the moneyed manipulations of St. Clair Bayfield (a top-form Hugh Grant), her craftier husband and manager.
Rather, Martinâs fast-and-loose script reserves most of its animus for anyone
attempting to halt the tone-deaf divaâs progress through the concert-hall of 1940s Manhattan â making a toxic villain of New York Post critic Earl Wilson (a flamboyantly sneering Christian McKay), who dared to suggest her throttled-nightingale trill was, well, for the birds. Is buying acclaim morally acceptable if audience and performer alike are enjoying themselves? Is it charitable or cruelly condescending to applaud heartfelt ineptitude in a spirit of gleeful irony? These are questions with which the film, perhaps inadvertently, leaves viewers, though itâs having far too much fun with her to address them: Rather like Jenkinsâ own cronies, the filmmakers are tamed into submission by her gauche gusto.
And why wouldnât they be, when said gusto is filtered through the indefatigable performing presence of Streep? Once hailed as American cinemaâs most meticulous thespian technician, the 19-time Oscar nominee has, if not at any cost to her eerie knack for verisimilitude,
broadened into something of a high-volume barnstormer: Whether playing Margaret Thatcher or âMamma Mia!,â her latter-day work is largely defined by its vivid, palpable eagerness to entertain. And while some have complained that Streep has a monopoly on plum screen roles for women her age, that very rafter-reaching enthusiasm makes her an ideal fit for Jenkins, even if incompetence can hardly come easily to her. (Viewers should know well by now that the star can more than capably hold a tune.) Streep certainly has a ball mimicking the scarcely human strangulations of Jenkinsâ vocal technique, though her characterization skates graciously shy of belittling burlesque: Thereâs an empathetic ardor for performance at work here, one that deftly coaxes even bewildered viewers into her corner.
Frears gifts his star â with whom he has somehow never before collaborated, despite their mutually productive, down-for-whatever work ethic â with a dream of a movie-star entrance,
as sheâs lowered haphazardly from the ceiling in Jenkinsâ signature tinselly angel wings and a torrent of beige chiffon. Sheâs introduced as the climactic star of a ropey supper-club variety show directed by St. Clair, a failed Shakespearean actor more aware than his wife of his creative shortcomings. Heâs also sufficiently protective of what might kindly be termed Jenkinsâ unorthodox talent to curb her vocal contributions to the show, though when she bullishly insists on staging a solo concert, heâs quick to her aid, lavishly bribing Metropolitan Opera director Arturo Toscanini (John Kavanagh) to act as her fawning vocal coach, and hiring baffled young pianist Cosme McMoon (Simon Helberg, contributing his deft brand of dumbstruck aggravation from TVâs âThe Big Bang Theoryâ) to accompany her tortured warbling.
Money, it turns out, may not buy you talent, but it can buy you a one-way illusion of it, as St. Clair wheedlingly selects
and buys off appreciative high-society audiences, including a handful of hack critics for good measure. However, when a recording of one of her songs accidentally hits the radio airwaves â rapidly gaining in gobsmacked popularity, in what might be deemed the midcentury equivalent of going viral â the illusion becomes harder to control. Thanks to Grantâs spry, slippery turn, St. Clair might just be a more compelling character than his hilarious spouse: Whether heâs genuinely tricked himself into believing she deserves a platform, or whether his doting patronage is in fact the greatest performance of his own meagre career, is kept lithely in question throughout.
Their domestic relationship is likewise ambiguous. Though the marriage is rendered sexless by Jenkinsâ long-term battle with syphilis â a detail the script presents with pleasing, smut-dodging sensitivity â thereâs little evidence of physical connection between the two: To what degree Jenkins recognizes, or denies, her
husbandâs parallel relationship with bohemian beauty Kathleen (Rebecca Ferguson, spiky but underused) isnât easy to determine.
Such complexities are planted in the early going, yet peter out in the filmâs fluffily padded second half, which is concerned mostly with Jenkinsâ inflated presence as a performer â yielding repeated scenes of Streep in full, gloriously broken cry, but doing little to unpick what makes her tick so brazenly out of time. Escalating tension over a potential critical crucifixion by Wilsonâs pen isnât enough to fire up this wispy material, though there are pleasurable sideshows here and there â chief among them the splendid Nina Arianda, on incandescent Judy Holliday-esque form as a Brooklyn bimbo who becomes an improbable Jenkins champion. Stray scenes forge a tender bond between Jenkins and McMoon, abetted by Helbergâs put-upon, hangdog charm and the actorâs own impressive ivory-tickling, but finally donât ring entirely true; any implication that Jenkins
identified a kindred spirit in this awkward outsider glides unquestioningly the womanâs exploitation of her elite social standing.
There again, âFlorence Foster Jenkinsâ is best not scrutinized too closely â and luckily, Danny Cohenâs gleaming, high-key lensing and Alan Macdonaldâs bustling, print-heavy production design give our eyes more than enough surface candy to consume while our ears are being comparatively assailed. (Alexandre Desplatâs score hardly gets a chance to make an impression between number after number of vigorous Streepscreeching.) While shooting, perhaps counter-intuitively, on widescreen, Frearsâ mise-en-scene appears to subtly emulate the cluttered coziness of dinner-theater staging and styling, down to ornamental corner detailing over the closing credits â though editor Valerio Bonelliâs frequent screen-wipes might rep one cute touch too many. No one below the line, meanwhile, is enjoying themselves more than costume designer Consolata Boyle, who cloaks Streep in performance garb of chintztastic fabulousness, striking a balance between dowdy
and diaphanous that is barely toned down for her fifty-shades-of-lavender daywear. Itâs an appropriately subtle sartorial margin for a woman who, in her butterfly-filled head at least, was never off the stage.
Perle di sceneggiatura
"Forse possono dire che non so cantare⌠ma nessuno potrà dire che non ho cantato"
(Florence Foster Jenkins)
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Lucky Red e Simone Raineri (Ufficio Stampa)