Seconde visioni - Cinema sotto le stelle: 'The Best of Summer 2016' - Tra i più attesi!!! - Dalla 66. Berlinale - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by JUSTIN CHANG (www.variety.com) - In DVD e Blu-Raydal 6 LUGLIO (Uscito al cinema il 10 MARZO
"Non abbiamo vissuto quel periodo storico, quindi non possiamo dirci nostalgici. Il film presenta una visione romantica della Hollywood degli anni Cinquanta, e l’idea che tutto fosse una perfetta macchina per produrre film ci ha suscitato affetto e ammirazione. Non so come avremmo vissuto in quel periodo, non è facile immaginarlo, ma il nostro sguardo è affettuoso, anche se quello non è certo il nostro modo di lavorare"
Il co-regista e co-sceneggiatore Joel Coen
"Non abbiamo pensato che ci fossero legami tra 'Ave, Cesare!' e 'Barton Fink': l’unica similarità è che sono entrambi film su Hollywood"
Il co-regista e co-sceneggiatore Ethan Coen
Soggetto: La storia è incentrata su Eddie Mannix, un fixer nella Hollywood degli anni cinquanta, ovvero una persona incaricata di risolvere i numerosi problemi che sorgono durante le riprese di un film.
David Krumholtz (Sceneggiatore comunista) Fisher Stevens (Sceneggiatore comunista) Patrick Carroll (Sceneggiatore comunista) Fred Melamed (Sceneggiatore comunista) Patrick Fischler (Benedict) Tom Musgrave (Tom) Greg Baldwin (Dutch Zwiestrong) John Bluthal (Professor Marcuse) Alex Karpovsky (Mr. Smitrovich) Aramazd Stepanian (Sacerdote ortodosso) Allen Havey (Sacerdote protestante) Robert Pike Daniel (Sacerdote cattolico) Robert Picardo (Rabbino) Ian Blackman (Cuddahy) Geoffrey Cantor (Sid Siegelstein) Kyle Bornheimer (2° AD) Christopher Lambert (Arne Slessum) Clancy Brown (Attore di 'Ave, Cesare!') Robert Trebor (Produttore di 'Ave, Cesare!') Michael Yama (Maitre al ristorante cinese) Ming Zhao (Cameriera al ristorante cinese) Agyness Deyn (Allegra) Helen Siff (Malibu Maid) Basil Hoffman (Ragioniere Stu Schwartz) Luke Spencer Roberts (Peanut) Ralph P. Martin (Regista del western) James Austin Johnson (Assistente di studio del western) Noah Baron (JD AD) Timm Perry (Uomo sulla porta dello stage 8) Noel Conlon (Scotty) Natasha Bassett (Gloria DeLamour) Madison Rose (Ragazza col cappello) Jillian Armenante (Francie) Jessee Foudray (Arpista figlia di Jonah) Richard Abraham (Falco) Jon Daly (Poliziotto) Dennis Cockrum (Poliziotto) Tomoko Karina (Cameriera al giardino imperiale) Meggan Kaiser (Danzatrice di swing)
Musica: Carter Burwell
Costumi: Mary Zophres
Scenografia: Jess Gonchor
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Roderick Jaynes
Effetti Speciali: Steve Cremin (coordinatore effetti speciali); Dan Schrecker (supervisore effetti visivi)
Makeup: Aurora Bergere, Mary Burton e Victor Del Castillo
Casting: Ellen Chenoweth
Scheda film aggiornata al:
17 Luglio 2016
Sinossi:
IN BREVE:
Ave, Cesare! racconta le vicende che si susseguono in una sola giornata della vita di un fixer degli studios, chiamato a risolvere una marea di problemi.
Eddie Mannix (Josh Brolin), negli anni '50 lavora per gli Studios cinematografici per tenere pulita l'immagine delle stelle di Hollywood, prevenendo o coprendo scandali...
IN DETTAGLIO:
Quando la star cinematografica più importante del mondo svanisce nel nulla e i suoi rapitori pretendono uno spropositato riscatto per la sua libertà e incolumità , sono i nomi di grande calibro a Hollywood a doversi adoperare per risolvere il mistero che avvolge la vicenda.
Il lavoro di Eddie Mannix (Brolin) come “fixer†dello studio inizia ancor prima dell’alba, quando deve arrivare prima della polizia per scongiurare l’arresto di una delle stelle della Capitol Pictures fermata per comportamenti poco ortodossi. Un lavoro mai noioso e senza orari.
Ogni film prodotto dallo studio porta grane e Mannix ha il gravoso compito di trovare una soluzione per tutto. È l’uomo capace di far ottenere al prossimo film ispirato alle pagine delle Bibbia la benedizione delle autorità religiose, come la persona giusta per convincere e trattenere lo scontento regista Laurence Laurentz (Fiennes) che vuole sbarazzarsi della star del western Hobie Doyle (Ehrenreich) per il suo prossimo sofisticato lavoro prodotto dalla Capitol.
Mentre corre dall’emergenza di un divo al dramma di un altro, Mannix deve fare i conti con i problemi personali della sensazionale DeeAnna Moran (Johansson) o trovare una spiegazione plausibile sugli ultimi sospetti comportamenti della superstar Burt Gurney (Channing Tatum).
Come se le paturnie di questi enormi ego non fossero abbastanza per iniziare la giornata, Mannix deve confrontarsi con la più difficile crisi della sua carriera: uno degli attori più amati al botteghino, Baird Whitlock (George Clooney), è stato rapito proprio nel bel mezzo della produzione del peplum, Ave, Cesare! - Hail, Caesar!, e un misterioso gruppo che si fa chiamare “Il Futuro†ha rivendicato il rapimento: o lo studio è pronto a sborsare oltre 100.000 dollari o possono scordarsi la loro gallina dalle uova d’oro.
Passando da un problema all’altro, Mannix deve necessariamente evitare ogni possibile fuga di notizie, soprattutto per scongiurare la presenza dei nomi delle star dello studio sulle colonne di gossip scritte da due ostili sorelle, Thora e Thessaly Thacker (Tilda Swinton). In realtà , si tratta solo dei nomi che non provengono dalle storie inventate che ogni tanto lascia uscire per una facile promozione con le lettrici delle due
giornaliste.
Per quest’uomo si tratta solo della solita giornata di lavoro.
SHORT SYNOPSIS:
A Hollywood fixer in the 1950s works to keep the studio's stars in line.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
NON E' MAI TROPPO ALTO IL PREZZO PER MANTENERE IN VITA L'ILLUSIONE DELLA FAMA. L'OMAGGIO DOLCE-AMARO DEI COEN AL CINEMA DELL'ETA' DELL'ORO DI HOLLYWOOD. REGIA E CAST 'ALL-STAR' DA URLO (BROLIN-CLOONEY-FIENNES-JOHANSSON-SWINTON-TATUM-MCDORMAND) PER UNA TRA LE PIU' SOTTILI E UMORISTICHE COMMEDIE DEI COEN
"Sono le cinque del mattino. Per molti è notte fonda, ma per lui è l'inizio di una giornata di lavoro". Questa volta a parlare - in terza persona - è una voce fuori campo beffardamente cavernicola che ce lo presenta. Avvertendo
che quel che vedremo da quel momento in poi è più o meno il condensato interminabile e alquanto caotico della giornata tipo di Eddie Mannix: un Josh Brolin (Non È Un Paese Per Vecchi, Il Grinta) baciato dall'illuminazione del sole pieno, completamente risucchiato nelle spire di un personaggio che si nutre di stress con una pacatezza, una capacità di controllo e un'invidiabile tecnica di persuasione nei confronti di chicchessia e in ogni dove, da sembrare quasi surreale. Eddie/Brolin non è che il 'fixer' dell’immaginaria Capitol Pictures nella Hollywood degli anni Cinquanta: una bizzarra combinazione dell’originale Eddie Mannix e Howard Strickling, che aveva le stesse mansioni per la MGM. Un ex buttafuori tradotto in colui che ha il compito di togliere le castagne dal fuoco prima che si brucino irrimediabilmente. Cominciamo a farci un'idea di lui e del suo operato con il primo appostamento e un'irruzione in una casa privata che,
Ad ogni 'feudo' il suo mastino. Alla Capitol c'era Eddie con il suo variegato 'bestiario' di 'spalle' su cui contare per 'proteggere' le sue star, tra cui il Joe Silverman interpretato da Jonah Hill, uno bravo a fare da 'stunt' per parare i colpi mancini della vita altrui e restaurarne l'unica immagine di copertina idonea a circolare pubblicamente, tenendo la bocca chiusa. Ad evidenziare il contrasto tra il 'sogno' ricreato nell'intrattenimento, con generose dimostrazioni di scintillanti scenografie, e l'amara realtà dei fatti, interviene il personaggio della diva del cinema famosa per le scene in acqua DeeAnna Moran (a quanto pare vagamente ispirata a Esther Williams), interpretata da una Scarlett Johansson perfettamente 'double face' (già con i Coen all'altezza de L’uomo che non c’era): alla spumeggiante solarità in scena (occasione per incensare splendide coreografie acquatiche) fa da contraltare il carattere facilmente irritabile della persona, alle prese
con un problemino non da poco. Problemino che la Capitol ha tutto l'interesse a tenere sotto chiave a difesa della star in quanto 'money machine' irrinunciabile. Altra stella 'a doppio fondo' è il Burt Gurney di Channing Tatum (già visto in vena comica in Jump Street e Magic Mike), qui dispensatore di fascino in veste di marinaio tra i marinai avventori di un bar saloon incastonato nel genere musical. Vale a dire un'altra macchina a gettoni per lo studio system. Dunque, mai scoprire la polvere sotto il tappeto.
In un simile 'bestiario' poteva mancare la stampa a caccia di gossip? A farsi carico del ruolo, facendosi letteralmente in due, è la camaleontica Tilda Swinton, interprete di due giornaliste gemelle (Thora e Thessaly Thacker) inamidate in un'esasperante, conflittuale competizione. Beh, ci credereste se vi dicessero che l'improbabile e risibile coppia è ispirata a due persone in carne ed ossa? Curiosamente, pare
che la Thora e la Thessaly del film dei Coen siano in effetti ispirate alle vere giornaliste Hedda Hopper e Louella Parsons, come alle due firme delle rubriche di consigli Abigail Van Buren e Ann Landers, anch’esse gemelle identiche. Tenere a bada simili 'arpie' della comunicazione 'gossipara' dai pettegolezzi in pelle ad Hollywood sembrerebbe impossibile: eppure, l'Eddie di Brolin sa come fare, cavalcando il doppio gioco fatto di coccole e di pseudo esclusive.
comparse c'è il Baird Whitlock, star frivola e viziata del film in costume, di George Clooney, che con i Coen sembra aver fatto l'abbonamento - Fratello Dove Sei?, Prima ti Sposo, poi ti rovino, Burn After Reading – A prova di spia - divertendosi ad inanellare una collana di 'fesacchiotti'. E, per quanto possa risultare strano, ha molto a che fare con la politica del momento: gli anni Cinquanta corrispondono alla criticità dell'industria della celluloide, incalzata dallo spauracchio dell'avvento della televisione, e dalle dilaganti paturnie nei confronti dei Comunisti decollate sulle ali della Guerra Fredda (il recente Trumbo docet). I 'peplum', genere cinematografico biblico per eccellenza, erano la risposta Hollywoodiana dell'epoca a simili minacce, presunte o reali che fossero. Completavano l'offerta sulla cresta dell'onda dell'intrattenimento di pura evasione i western e i raffinati drammi da salotto. Ovvio che il preliminare consenso delle gerarchie ecclesiastiche prima dell'uscita di un film biblico
nelle sale, l'Ave, Cesare! oggetto del soggetto, fosse ritenuto di focale importanza. Ed ecco che il nostro Crocifisso torna protagonista. Questa volta in una tavola rotonda indetta da Eddie/Brolin tra un Patriarca di fede ortodossa, un rappresentante della fede cattolica ed uno di quella ebraica. E come potete immaginare, aggirando abilmente la risacca dissacratoria, i Coen riescono a far filosofeggiare sulla natura divina gli intervenuti a colpi di un irresistibile humour.
E' con un elegante e navigato intreccio che i Coen riescono a dirla tutta, nel bene e nel male, divertendo e divertendosi non poco, usando gli stessi mezzi del cinema per parlare di cinema. I set di film di genere sono il nutrimento primario e irrinunciabile del loro Ave Cesare!: dal 'peplum' in primis, a western e musical, fino ad arrivare a quell'irresistibile sequenza sul set di uno di quei raffinati drammi da salotto, per l'appunto in voga negli
anni Cinquanta. Si tratta di una ripresa di difficile gestione, per non dire impossibile, per il sofisticato ed esigente regista drammatico Laurence Laurentz (quello incarnato dall'immenso interprete Ralph Fiennes, qui ancora più comico che in The Grand Budapest Hotel), alle prese con la grottesca recitazione di Hobart (Hobie) Doyle (nella divertente giovane rivelazione di Alden Ehrenreich). Quel che si dice mandriano per professione, attore per caso. Divenuto il cowboy canterino della Capitol Pictures, Hobie/Ehrenreich si ritrova trascinato, suo malgrado, sotto le luci della ribalta di un set sbagliato, per le sue, a dir poco, modeste, risorse attoriali. Modeste e irrimediabilmente coriacee, tanto da vanificare ogni sforzo di migliorare la disastrata situazione sul set da parte dell'esasperato e incredulo regista Laurence/Fiennes. La battuta "Vorrei fosse così semplice" diventerà un esilarante tormentone. E dell'epilogo ne sapremo qualcosa poco più tardi in sala di montaggio, insieme all'altrettanto comico cameo di Frances McDormand,
nel film l'eccellente montatrice C.C. Calhoun, una delle 'spalle' di Mannix alla Capitol Studios, al comando della sua moviola dietro spessissime lenti, una coltre di fumo e una sciarpa... killer.
Ma a conti fatti, l'Ave, Cesare! dei Coen riecheggia nell'aria come un affettuosissimo omaggio. Un omaggio che, certo, non rinuncia alla tiratina d'orecchie in punta di quella comicità sarcastica, se non proprio nera, che contraddistingue i Coen per i due più talentuosi 'monelli' del cinema di tutti tempi. Due orchestrali in e per la celluloide che sanno bene come trasformare un film in una vera e propria sinfonìa, in cui persino gli intervalli, o gli intermezzi che dir si voglia, si caricano di preziosi ed irresistibili significati sottesi. Ave, Cesare! si tuffa così nell'oceano della leggerezza per riemergere dalle acque spumeggianti con la forza di un Tritone o, per meglio dire, di una sirena, cui inizia già a stare stretto
Secondo commento critico (a cura di JUSTIN CHANG, www.variety.com)
THE COEN BROTHERS DELIVER A GORGEOUSLY CRAFTED ROMP THROUGH VINTAGE HOLLYWOOD IN THIS DROLL AND RUMINATIVE ENTERTAINMENT
If there’s such a thing as poker-faced exuberance, you can feel it in every loving, teasing frame of Joel and Ethan Coen’s “Hail, Caesar!,†an inside-showbiz lark that regards the 1950s studio system with the utmost skepticism even as it becomes an expression of movie love at its purest. Starring Josh Brolin as a hard-working industry “fixer†tasked with keeping big-budget productions on track and wayward stars in line, this gorgeously crafted romp through the backlots and Malibu enclaves of Hollywood’s Golden Age tosses off plenty of eccentric comedy and musical razzle-dazzle before taking on richer, more ruminative dimensions, ultimately landing on the funny-sad question of whether life is but a dream factory. Although it boasts enough marquee names and splashy, crowdpleasing angles to deliver good returns for Universal, this is
as strange and singular an offering as anything the Coens have ever done, and as such its more thoughtful, elusive undertones could stand in the way of broader public acceptance. It bows Feb. 5 Stateside, a week before premiering overseas as the Berlin Film Festival’s opening-night attraction.
The high-powered Hollywood fixer has been enjoying an on-screen mini-renaissance, on the evidence of Showtime’s Liev Schreiber-starring “Ray Donovan†and now the Coen brothers’ lavish throwback to an earlier era of industry damage control, as overseen here by the character of Eddie Mannix (Josh Brolin), a fictionalized composite of the real-life studio VP Mannix and his head of publicity, Howard Strickling. The various scandals that Mannix and Strickling covered up during their decades working together at MGM could easily furnish several films of their own, but the Coens generally steer clear of salaciousness in favor of a jaundiced but affectionate character study, treating Brolin’s
eternally put-upon Eddie as a beacon of relative sanity and intelligence in a world overrun by irrationality, venality and corruption.
Indeed, had the Coens not already made a film called “A Serious Man,†neither the title nor the theological baggage would have been misapplied to this version of Eddie, a hard-working Catholic family man first seen unburdening his soul to a priest, and not just because he’s sneaked a few cigarettes behind his wife’s back. It’s the ’50s, and as the designated fixer for Capitol Pictures (played here in a sly amalgam of the Universal, Warner Bros., Paramount and Sony lots, plus the courtyard of Los Angeles’ Union Station), Eddie is tasked with preserving the illusion of Hollywood glamour and propriety at a time of pervasive moral crackdown and sociopolitical upheaval, taking not-always-savory steps to ensure that production runs smoothly and top talents stay out of the headlines.
That can mean anything
from smacking around an up-and-coming actress caught in an illicit photo shoot, to arranging for prized star DeeAnna Moran (Scarlett Johansson, terrifically brassy if a bit underused) to secretly adopt her own out-of-wedlock child (a twist inspired directly by the real-life Mannix’s similar arrangement for Loretta Young). It also means enforcing the studio’s questionable decision to cast the handsome, dumb-as-a-stump cowboy Hobie Doyle (Alden Ehrenreich, superb), an audience hit in a recent string of Westerns, in an elegant parlor drama called “Merrily We Dance†— to the quiet chagrin of the prestigious director Laurence Laurentz (Ralph Fiennes), whose patient attempts to steer the hopeless Hobie through a single line of dialogue provide the film with one of its most delicious scenes.
But Eddie’s stress load kicks up a notch with the sudden disappearance of Capitol’s top star, Baird Whitlock (George Clooney), who is abducted from the set of an expensive Roman
epic called “Hail, Caesar!†— clearly modeled on “Ben-Hur,†right down to the “A Tale of the Christ†subtitle — which the studio was hoping to be its big year-end cash cow. And so it falls to the fixer to track down Baird and bring him back, all while cleverly avoiding the threats and insinuations of rival Hollywood gossip columnists and identical twin sisters Thora and Thessaly Thacker, both played by Tilda Swinton in a succession of Hedda Hopper hats (the splendid work of costume designer Mary Zophres).
If nothing else, then, the Coen brothers have employed their gifts for satire and pastiche to concoct a vastly wittier, more knowing and entertaining evocation of HUAC-era Hollywood than the recent “Trumbo†— a connection driven home when Baird awakens in Malibu to find he’s been kidnapped by a cabal of disgruntled screenwriters, who have joined the Communist Party to protest “the pure
instrument of capitalism†that studios like Capitol (aha!) have become. Unsurprisingly, the Coens treat this self-righteous statement of principle as an opportunity for ridicule. Basically presented as a series of belligerent reaction shots, these socialist scribes (played by actors including Fisher Stevens, Patrick Fischler, David Krumholtz and Fred Melamed) may well pride themselves on sticking up “for the little guy,†but the film has no interest in exalting their politics, much less their benighted profession.
Instead it casts a casually withering stare at every corner and stratum of the industry, from the ego-driven auteurs and bed-hopping stars all the way down to the lowly extras who fill their frames and occasionally throw a major wrench into the gears. It’s no surprise, then, that Eddie is eyeing the exit — or he would be, if he had more than a minute to spare for the Lockheed headhunter (Ian Blackman) who’s trying to
lure him away from the frivolity of Tinseltown and help prepare America for its looming nuclear catastrophe. But try as he might, Eddie would rather make movies, not war, and it’s this impulse that accounts for why “Hail, Caesar!,†despite its wickedly serrated edge, never tilts into cynicism or intolerable cruelty.
Their craft seemingly honed to an even sharper point of perfectionism and clarity than usual, the Coens delight in laying bare the nuts and bolts of the process, whether they’re steering us through the gloriously artificial sets used on Baird’s Roman epic (built and shot entirely in L.A., as was the custom of the times), or granting us a peek at the film reels running through the old-school Moviola operated by editor C.C. Calhoun (Frances McDormand, getting in a terrific gag in a one-scene role). But the most sublime moments in “Hail, Caesar!†occur when the behind-the-scenes machinery drops away,
the films being produced become the film we’re watching, and we’re invited to lose ourselves in a state of vintage Hollywood rapture.
An early highlight finds Johansson’s DeeAnna donning a shiny green mermaid tail in preparation for a stunningly choreographed synchronized-swimming routine straight out of the 1952 Esther Williams tuner “Million Dollar Mermaid.†Even more dazzling is a musical number (“No Damesâ€) that pays homage to “On the Town†by way of “South Pacific,†with a sailor-suited Channing Tatum tapping and shuffling about like Gene Kelly reborn, all of it filmed by d.p. Roger Deakins in lengthy takes that allow us to see the dancers’ bodies in full view. The Coens harbor no illusions that the glossy tuners and sword-and-sandal epics of yesteryear were high art, but they’ve nonetheless fashioned a sophisticated yet utterly sincere tribute to what Andre Bazin called “the genius of the system,†and it touches an almost
hypnotic chord of pleasure.
Next to these gemlike moments — which the Coens, judicious editors of their work as always, refuse to linger on — the poky, eccentric shaggy-dog story being told here all but fades into insignificance. Compared with the numerous kidnapping plots they’ve spun in the past, from “Raising Arizona†to “The Big Lebowski,†the mystery of Baird’s disappearance is resolved with little tension or surprise; it exists, as in so many of their seriocomic fables, as a jumping-off point, a philosophical point of entry. Brolin, marching through the picture wearing a frown and a fedora, becomes one of the Coens’ most endearing and pensive leading men — a man searching for meaning in an industry that can supply only a reasonable facsimile of it at best. The movie’s other great performance comes from the 26-year-old Ehrenreich, who at last fulfills the promise of his work in “Tetro†and
the underrated “Beautiful Creaturesâ€: Astonishingly good at playing a bad actor, he turns a hapless matinee-idol stooge into a figure of dogged dependability and surprising selflessness.
Are Eddie Mannix and Hobie Doyle meant to be the faux-Hollywood version of the Father and the Son, the saving graces of the industry? Only the Coens know. In one amusing early scene, Eddie consults an Eastern Orthodox clergyman, a Catholic priest, a Protestant pastor and a Jewish rabbi to discuss the religious content of Baird’s Roman epic; the ensuing discussion pokes deft fun at the petty sectarianism of organized religion, and the ease with which it can be pounded and churned into big-screen kitsch. But there’s no denying the power of said kitsch in the studio’s climactic re-creation of Calvary, complete with stirring music and soaring speeches, turning “Hail, Caesar!†into a rousing new testament to that old-time religion known as the movies.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Universal Pictures International Italy e Silvia Saba (SwService)