SECOND CHANCE: 'FINO A CHE PUNTO PUÃ’ ARRIVARE UNA BRAVA PERSONA QUANDO LA TRAGEDIA SFUMA IL CONFINE TRA GIUSTO E SBAGLIATO?' E' CIO' CHE SI CHIEDONO LA REGISTA DANESE SUSANNE BIER CON LO SCENEGGIATORE ANDERS THOMAS JENSEN
Dal 32. Torino Film Festival - RECENSIONE - Dal 2 APRILE
(En Chance Til; DANIMARCA/SVEZIA 2013; drammatico; 104'; Produz.: Zentropa Entertainments/Danmarks Radio (DR)/Det Danske Filminstitut/Film Fyn in co-produzione con Film i Väst/Svenska Filminstitutet (SFI)/Sveriges Television (SVT)/Zentropa International Sweden; Distribuz.: Teodora Film)
Cast: Nikolaj Coster-Waldau (Andreas) Ulrich Thomsen (Simon) Nikolaj Lie Kaas (Tristan) Maria Bonnevie (Anna) Thomas Bo Larsen (Klaus) Peter Haber (Gustav) May Andersen (Sanne)
Musica: Johan Söderqvist
Costumi: Signe Sejlund
Fotografia: Michael Snyman
Montaggio: Pernille Bech Christensen
Scheda film aggiornata al:
20 Aprile 2015
Sinossi:
IN BREVE:
Andreas ha una vita serena, è sposato con una bella ragazza che ama e ha un figlio. Simon, da poco divorziato, passa tutto il suo tempo ubriaco allo strip club locale. Ma tutto cambia quando i due vengono coinvolti in una disputa domestica tra una coppia di tossici e finiscono in una spirale di droga e violenza.
SHORT SYNOPSIS:
How far would decent human beings be willing to go, when tragedy blurs the line between just and unjust? With "A Second Chance", Susanne Bier and Anders Thomas Jensen have crafted another startling yet moving drama, about how easily we loose our grasp on justice, when confronted with the unthinkable, and life as we know it is hanging by a thread.
Commento critico (a cura di ENRICA MANES)
Susanne Bier indaga ancora le reazioni e le relazioni tremendamente umane che stravolgono la quotidiana esistenza alla maniera del dramma antico: una moralità e una normalità lacerate dalla catastrofe dell'inopinabile e di un destino che si abbatte in modo spietato sugli eroi e antieroi comuni. Un mondo ove lo spettatore è portato a schierarsi sull'etica e sul dubbio che la trama sottende, come sul grande palco della vita reale, invitando a prendere le parti come in una tragedia teatrale, e poter giungere poi alla catarsi finale. Apparentemente semplice e apparentemente assurda è la tesi che viene posta davanti agli occhi e narrata, in maniera volutamente provocatoria, ma che si muove senza compromessi e senza mezzi termini, puntando talvolta all'eccesso del paradosso esistenziale ma soltanto per veicolare il senso di colpa e di menzogna che inutilmente i protagonisti cercano di soffocare. Una lezione difficile quella impartita questa volta dalla Bier che
Il dolore e il vuoto sono artefici di questa "seconda occasione" data alla madre, vera figura protagonista di una storia lacerata e lacerante, dominata dal lutto e dalla bugia interiore che si insinua nella mente di ciascuno, suggerita e incalzata dal paesaggio, come sempre "parlante"; un paesaggio dell'anima che agisce attraverso la fotografia sempre impeccabile ove la natura è passiva, incurante, spettatrice e matrigna. Fatta apposta per soffocare anche le più piccole certezze degli uomini, tese fino allo stremo del punto di rottura. Una
"seconda occasione" orchestrata nel confronto tra due famiglie e due figure - alla maniera tutta nordica che già Bergman e Ibsen avevano esplorato e assurto a paradigma - di donne - l'una drogata e indigente, l'altra benestante ma insicura e tormentata - a contatto con la maternità , per riportare sotto gli occhi di tutti i valori perduti del nostro tempo, che, velati sotto etichetta e stereotipo, si confondono nel dettaglio per arrivare infine a sottolineare come forse ogni uomo non arriva mai ad apprezzare e vivere fino in fondo ciò che ha.