THE CONGRESS: DOPO L'ECCEZIONALE FILM D'ANIMAZIONE 'VALZER CON BASHIR' IL REGISTA ARI FOLMAN TORNA SUL CAMPO CON UN INTERESSANTE IBRIDO TRA SCI-FI E ANIMAZIONE CON PROTAGONISTI DI SPICCO COME ROBIN WRIGHT, PAUL GIAMATTI ED HARVEY KEITEL
Dal 66. Festival del Cinema di CANNES (15-26 Maggio 2013) - 'Quinzaine des Realisateurs' - Dal 12 GIUGNO - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com)
"Quando una donna è una madre e unâattrice celebre; Quando suo figlio è malato e la sua bellezza sta svanendo, in un mondo che la può scannerizzare e tenere giovane per sempre quali sono le sue scelte? ... Nellâera post-Avatar, ogni regista deve riflettere se gli attori in carne ed ossa che da sempre popolano la nostra immaginazione sin da bambini possano essere rimpiazzati da immagini 3D generate da un computer. Questi personaggi computerizzati sono in grado di creare in noi lo stesso entusiasmo e la stessa eccitazione? E alla fine, importa davvero?"
Il regista e sceneggiatore Ari Folman
(The Congress; USA 2013; Sci-Fi; 122'; Produz.: Entre Chien et Loup/Liverpool/Opus Film/Pandora Filmproduktion/Paul Thiltges Distributions; Distribuz.: Wider Films)
Effetti Speciali: Jens DĂśldissen, Sven KĂźhn e Michael Lantieri
Makeup: Antje Huchel
Casting: Deborah Aquila
Scheda film aggiornata al:
03 Luglio 2014
Sinossi:
IN BREVE:
In un mondo futuristico apparentemente perfetto, sotto la superficie regna il caos. In questo mondo, un'attrice in pensione accetta un ultimo lavoro, senza sapere che le conseguenze della sua decisione si riveleranno imprevedibili...
IN ALTRE PAROLE:
Robin Wright, che interpreta se stessa, riceve da un grande Studio l'offerta di vendere la sua identitĂ cinematografica: verrĂ scansionata e di lei verrĂ creato un campione cosĂŹ che lo Studio possa utilizzare la sua immagine a piacimento in qualsiasi tipo di film di Hollywood â anche i piĂš commerciali da lei in precedenza spesso rifiutati. In cambio, Robin riceverĂ una cospicua somma di denaro, ma soprattutto, lo Studio promette di mantenere il suo alias digitale per sempre giovane â per l'eternitĂ â in ogni film. Il contratto ha una validitĂ di vent'anni. Ă a questo punto che Robin viene catapultata in un mondo animato dove si scoprono le sue tribolazioni successive alla firma e fino al momento in cui lo Studio decide di trasformarla in una formula chimica.
SHORT SYNOPSIS:
An aging, out-of-work actress accepts one last job, though the consequences of her decision affect her in ways she didn't consider.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
ARI FOLMAN TRA LIVE ACTION E ANIMAZIONE PARLA DEL FUTURO DISTOPICO INDOTTO DA SOSTANZE CHIMICHE CHE TRADUCONO LA REALTA' A PROPRIA IMMAGINE E SOMIGLIANZA. ALLA BASE DELLA PROVOCATORIA RIFLESSIONE, IL MCGUFFIN DEL CINEMA, DELLO STAR SYSTEM E DI TUTTA L'INFERNALE MACCHINA DI MARKETING CHE SOSTIENE LA STRUTTURA, CON AL CENTRO L'EMBLEMA DI UN'ICONA SUL VIALE DEL TRAMONTO (NEL FILM) COME ROBIN WRIGHT. DALLA DIGITALIZZAZIONE ATTORIALE CHE SOPPIANTA L'ATTRICE IN CARNE ED OSSA, CON LE SUE EMOZIONI AL COMPLETO, SCANNERIZZATE ANTE LITTERAM, SI SUPERA IL PENTAGRAMMA DELLA DISTOPIA STESSA, SCIVOLANDO SULL'ESASPERAZIONE FANTASTICA CHE A TRATTI SI ANNODA SU SE STESSA, A CAVALCIONI DI SIMBOLI, METAFORE E STOCCATINE UMORISTICHE. MA QUESTO SGUARDO OBLIQUO, DECISAMENTE SOPRA LE RIGHE, NON PERDE MAI DI VISTA NE' LO SCOPO NE' LA META
Nell'era della digitalizzazione al galoppo, e su tutta la linea, ci si chiede ancora una volta: realtĂ o surrogato di essa, epurato da tutte
le falle e i fallimenti che questa comporta? E ancora una volta, il confine tra realtà e finzione è piÚ sottile di quanto non ci siamo mai immaginati. Con il The Congress di Ari Folman (Valzer con Bashir) ispirato al Futurological Congress (Il Congresso futurista) di Stanislaw Lem, si parla del problema applicato al cinema, ma è inevitabile che questo si riallacci anche alla vita delle persone. Che siano attori o meno, sempre di persone si tratta, per quanto camuffate da maschere su maschere e non solo dei vari personaggi interpretati strada facendo. Ci sono anche e soprattutto le maschere che un'attrice abitualmente è costretta ad indossare, ora su un qualche red carpet internazionale, ora in una carrellata di interviste in tour promozionale del film in corso. In The Congress l'icona emblematica dello star system, nella proiezione cinematografica futuribile di Ari Folman, c'è Robin Wright, nelle vesti di se stessa,
alle prese con un'ipotesi sci-fi eccentrica e alquanto esasperata, ma con le sue scottanti veritĂ translucide occhieggianti dalle serrate pieghe di un'irriverente critica, beffardamente ironica, al 'baraccone strutturale' dell'attuale macchina di produzione cinematografica.
Oltre la fama (fallibile dell'inevitabile declino) l'immortalitĂ . Ma a quale prezzo? Lo sappiamo bene tutti che l'illusione non paga come la veritĂ , ma le argomentazioni condotte dalla poderosa sceneggiatura di The Congress, renderanno la riflessione piĂš che interessante: a cominciare dall'apertura del film, raffinatissima e potente grazie al piano sequenza che inquadra un primissimo piano di Robin Wright, congelata in una commozione contratta che si concede il silenzioso spargimento di poche lacrime mentre una voce le va facendo una sorta di predica-rimprovero da cui indirettamente se ne ricava un suo ritratto. Il ritratto di una star ormai in declino per colpa delle sue paure, fobie, e soprattutto delle sue scelte sbagliate, film sbagliati, uomini sbagliati, e botte
di testa sui set: "Avevi tutto, Robin, eri una stella a ventiquattro anni... adesso ti stanno facendo un'offerta, l'ultima, non ce ne sarà un'altra". Di lÏ a poco scopriamo che a parlarle è il suo agente Al, che ha il volto di un Harvey Keitel tradotto in una sorta di neo dracula coppoliano, e forse non è un caso, sull'onda della metafora del genere di ruolo paragonabile ad un vampiro che si nutre del sangue della stella del cinema che promette di tutelare, almeno finchÊ funziona da slot machine, producendo tanto denaro quanto investito nell'immagine pre-confezionata ad hoc per l'enorme tritacarne del marketing cinematografico: quello che induce non poche star a far uso di droghe o ad un lifting dietro l'altro fino a limitarne la naturale libertà espressiva. Le argomentazioni mosse da Al/Keitel sono i primi incandescenti carboni accesi di un vulcano già in odore della sua eruzione di lava
e lapilli: "Nell'era del digitale tu non vali due dollari. L'ennesimo volto destinato a scomparire nel dimenticatoio". Quale offerta, dunque? Quale scelta? E a quale costo?
Quale che sia quella offerta, avanzata da una fantomatica casa di produzione che risponde al nome fittizio di Miramount, (una sorta di 'vezzo matrimoniale' tra Miramax e Paramount), lo sapremo di lÏ a poco, e la capitolazione da parte di Robin Wright non sarà immediata, per dare alla riflessione tutto lo spessore che merita. Sarà battaglia, ma una battaglia persa in partenza. Ci sarà prima spazio per quella finestra di vita che inquadra la persona, immersa nella quotidianità di madre, di Sarah e di Aaron (il lirico Kodi Smit-McPhee di The Road), il figlio affetto da una particolare sindrome (di Usher) in cura dal Dr. Barker (Paul Giamatti). E ci saranno altresÏ finestre aperte su quello che è stato il cinema e quello che sarà ,
finchÊ la 'live action', che si fregia di una Robin Wright al top per intensità e spessore di uno charme travolgente, non cederà definitivamente il passo all'animazione, a capitolazione avvenuta. E' qui che la dimensione surrogata, partorita dalla digitalizzazione, non solo soppianta la realtà , ma annulla ogni scelta individuale devoluta in tutto e per tutto alla compagnia di produzione che, consociata con una compagnia farmaceutica, condiziona e vincola l'individuo che ha sottoscritto l'infernale contratto, nella parabola allucinogena creata dalla sua stessa mente, sotto l'effetto di un mix chimico assunto bevendo il contenuto di una fiala. Se è vero che la tecno fobia non ha mai portato da nessuna parte, (come considera la figlia Sarah) è anche vero che gli attori commutabili in un cheap sarebbero una proiezione ben piÚ triste di quanto non lo sia in certi casi la stessa realtà . Basta vedere a che si ridurrebbe il povero Tom
Cruise! Dio ci salvi da quello prefigurato nell'animazione di Folman, congelato in un monocorde sorriso a 360° da far paura, prima ancora che farci ridere a nostra volta.
Nel mezzo - prima che i sogni pindarici dell'animazione, ricreata sul grande schermo prendano il sopravvento, annodandosi su se stessi, non tanto per incoerenza quanto per parafrasare il filo illogico e incontrollabile degli ansiosi grovigli emozionali della vera Robin Wright - ci stanno sequenze indimenticabili come quella della stessa scannerizzazione emozionale dell'attrice in carne ed ossa, ancora in bilico sulla sua decisione, se accettare il naturale declino, o cedere all'offerta e vendere la propria anima ad un'operazione commerciale demoniaca che, mentre sentenzia la definitiva fine della sua carriera reale, gliene apre una surrogata, digitalizzata, con la quale le garantisce eterna giovinezza e il top della fama. Il racconto del suo agente Al/Keitel, un racconto vero, in grado di suscitare in lei emozioni forti
e sinceramente veraci, opposte tra loro, e la digitalizzazione delle stesse in scatto su scatto a sua insaputa, è un qualcosa di genuinamente potente sia dal punto di vista cinematografico che emotivo, oltre che una finestra aperta sul dramma della manipolazione negli artigli del potere.
In questa ultra eccentrica, futuribile parabola - Dio non voglia che abbia mai a veder la luce! - che si completa con la perdita di identità personale e con l'opzione di poterne assumere un'altra a nostro piacimento - cosÏ come celebra il drammatico finale - ci sarà chiesto di lasciarci andare alle correnti dell'immaginazione, quelle che tallonano l'intuizione tradendo la fiducia nella ragione. Ma c'è anche da considerare che nei sogni, nei percorsi allucinatori indotti dalla chimica, come in questo caso - anche se Folman si è lasciato in effetti prender la mano un tantino di troppo - non si segue il filo logico, quanto piuttosto
quello degli impulsi emotivi, spesso caotici e nebulosi, ma forti. E tale forza Ari Folman traduce nell'animazione, con una tavolozza di colori vivace, talora psichedelica, alternata ad un'altra dominata dal bianco e nero seppiati, lĂ dove tutte le tristezze e le ansie della reale Robin Wright - che in una nuova incursione nella realtĂ ci apparirĂ miracolosamente invecchiata e decadente, tanto quanto il piĂš professionale dei maquillage sia mai riuscito a fare senza intaccarne, anzi amplificandone, un glamour introspettivo spettacolare - si travasano in quella fittizia: un'unica anima spenta sulle ceneri della propria negazione, non fosse per quella scintilla d'amore che a tutto sopravvive, ben oltre ogni dimensione, e che alla fine diventa l'unica, incontrovertibile, realtĂ .
Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)
Robin Wright plays âherselfâ in âThe Congress,â a trippy cautionary tale about where society is headed, assuming movie stars license their essence to studios and audiences abandon cinema in favor of chemical cocktails that allow them to experience life as their celebrity of choice. Conceptually speaking, such a satire could only work as animation, but even then, it doesnât quite come together â though fans of last yearâs âHoly Motorsâ may appreciate a surreal double bill with this live-toon hybrid, ideal for midnight crowds and psychedelic enthusiasts. Meanwhile, admirers of director Ari Folmanâs âWaltz With Bashirâ should seriously adjust their expectations.
Ironically, Folman limits his audience by abandoning the Israeli-specific context of his earlier work in favor of a more universal cultural critique, returning (somewhat) to the world of live-action here by opening with what could be an hourlong episode of âThe Twilight Zone.â The remainder of the film functions as
an in-spirit-only adaptation of Stanislaw Lemâs âThe Futurological Congress,â redirecting the classic sci-fi novelâs anti-communist satire (minus nearly all of its humor) toward a society dominated by drug companies and Hollywood studios â two industries that make decidedly strange bedfellows.
This bizarre journey begins in a simplified version of the real world, where Wright and her two kids live in a renovated hangar adjacent to a busy airport. The actress sits in her home office taking the abuse of her manager (Harvey Keitel) about the lousy choices in her life. Itâs a helluva monologue, the gist of which â elaborated in the next few scenes â lambasts her for putting her family first (particularly the care of her ailing son Aaron, played by Kodi Smit-McPhee) instead of making good on the promise of âThe Princess Brideâ in her career.
Wrightâs rep has come bearing a unique offer from Miramount studio head Jeff
Green (Danny Huston, brandishing a smile so wide, you half-expect to see canary feathers on his lapel), a contract in which she would potentially sign over her digital likeness to star in whatever films the company pleases for the next two decades. (If âHoly Motorsâ was an homage to the work of old-school actors, âThe Congressâ is a manifestation of their projected demise.) The drawn-out first act, in which Wright ultimately decides to be scanned, might easily have been compressed from 50 minutes to a mere five.
The pic then jumps forward 20 years to find Wright retired from acting, yet now the bizâs biggest star, thanks to the successful âRebel Robot Robinâ franchise (the sort of sci-fi role the real Wright never would have taken). Summoned to the Futurological Congress, the actress must pass into the âRestricted Animated Zoneâ to enter the 100-story hotel where her fellow future folk willfully
escape their daily disappointments via chemical-induced hallucinations. For this portion, Folman ditches the cutout style of âBashirâ (or the obvious-fit approach of Asian anime) for a loonier toon look, resembling a cross between Fleischer Studiosâ âBetty Boopâ shorts and the drug-addled aesthetic of Ralph Bakshi (âCool Worldâ).
The style of this environment is lively enough, opening with a delightful bit of âYellow Submarineâ-worthy surrealism, though the rules are virtually impossible to follow. It seems Miramount has shifted its business to pharmaceuticals and wants Wright to help unveil its latest offering, but the scene has scarcely been set when assassins and terrorists start wreaking havoc. A debonair stranger named Dylan Truliner (voiced by Jon Hamm) intervenes, revealing himself to be the animator responsible for her climb to the top of a virtual star system to which Tom Cruise and Keanu Reeves evidently also belong.
Apart from its general knock against ageism in Hollywood,
âThe Congressâ doesnât have much insight to offer on the subject. Meanwhile, somewhere in his adaptation, Folman lost the thread that connects this speculative-fiction allegory to our world. Maybe the film is ahead of its time, though it already feels dated: Such digital scanning of actors is already taking place, and if it bothers Folman so much, why not give Wright a greater chance to act, instead of choosing mediocre animation as a means to criticize the industryâs shift away from flesh-and-blood performance?
Beyond the recurring symbol of her sonâs red kite, thereâs little to connect Wright to this hallucinogenic animated space where disgruntled citizens are free to pass as the persona of their choice, be it Marilyn or Magritte, Grace Jones or Jesus. If this mode of experience were really possible, chances are there would be a lot more Storm Troopers. In fact, the whole place would probably resemble the
halls of Comic-Con rather than a scene from Tex Averyâs classic âHollywood Steps Outâ cartoon.
Commenti del regista
"Nel suo romanzo Il Congresso del Futuro, il grande scrittore di fantascienza Stanislaw Lem predisse una dittatura chimica mondiale ad opera di importanti case farmaceutiche. Scritto nei tardi anni sessanta, il libro ci racconta un mondo in cui i produttori di medicinali hanno il pieno controllo sulle nostre emozioni, dall'amore e i desideri, alla gelosia e la paura. Lem, considerato il piĂš grande profeta e filosofo della fantascienza (assieme a Philip K. Dick), non aveva idea di quanto la sua previsione fosse azzeccata rispetto agli albori del terzo millennio. Nel mulinello psicochimico predetto da Lem, l'adattamento cinematografico di questo romanzo introduce le attuali tecnologie cinematografiche del 3D e del motion capture, che minacciano di soppiantare il cinema con cui siamo cresciuti".
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Wider Films, Inter Nos Communication e Studio PUNTO & VIRGOLA