I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Dal VI. Festival Internazionale del Film di Roma - In Concorso (2011) - 'La storia di una donna che ha dovuto reinventare il proprio mondo per sopravvivere' vede come interprete protagonista Noomi Rapace, la Lisbeth Salander della trilogia 'Millennium' - Preview in English by Jay Weissberg (www.variety.com) - Dal Dal 31 AGOSTO
"Babycall è un film su un’eroina moderna. Il film tratta di quanto un essere umano può sopportare, e di come il personaggio principale, Anna, come ogni persona, crei da solo il proprio mondo. Babycall è un thriller emozionale sull’empatia, sull’ansia, sul superamento dei limiti della nostra immaginazione. La pellicola porta il pubblico nell’universo di Anna, dove si muove con lei attraverso il disagio, un territorio spaventoso, dove impara che non ci si può fidare di nulla. Il film è fondamentalmente un viaggio mentale. Il suo stile narrativo cerca di portare la storia in una sorta di realtà . Ha uno stile puro e oggettivo, che rafforza la nostra impressione che ciò che vediamo sia reale. Successivamente nell’opera, quando la realtà di Anna comincia a vacillare, ci disperiamo con lei per gli eventi e freneticamente tentiamo di distinguere la realtà dall’immaginazione. Ma questo solleva un'altra domanda: chi decide ciò che è vero nella propria vita? Io, come molte altre persone, sono stato fortemente influenzato dalla mia educazione e sono sempre stato attratto dai meccanismi che governano i rapporti più stretti. Dopo essere diventato a mia volta padre, sono diventato sempre più consapevole di quanto delicato e vulnerabile possa essere il rapporto tra genitori e figli. Volevo esplorare questo tema da molto tempo, e quando si è sviluppata la storia di Babycall, ho capito che era diventata una storia su quanto l’amore può essere il più pericoloso di tutte le altre emozioni. Spero che Babycall sia un film che provochi uno shock allo spettatore, un film che lasci l’impressione della vulnerabilità dell’umanità e dei sogni".
Il regista e sceneggiatore PÃ¥l Sletaune
(Babycall; NORVEGIA 2011; Thriller psicologico horror; 96'; Produz.: 4 ½ Production Company/Pandora Film/Bob Film Sweden; Distribuz.: Nomad Film Distribution)
Anna ha un bambino di otto anni e una casa in affitto dove si è rifugiata, con l'aiuto dell'assistenza sociale, da un marito violento. Separata e terrorizzata dall'uomo che ha cercato di uccidere suo figlio, il piccolo Anders, Anna vive in uno stato di ansia e confusione permanente da cui sembra uscire davanti al sorriso di Helge, un giovane uomo incontrato sull'autobus che ne accoglie la fragilità e il dolore. Ossessionata dal padre di Anders, acquista un babycall, un dispositivo senza fili che le assicura il contatto costante col figlio addormentato nella stanza accanto. Una notte è svegliata di soprassalto dalle urla di un bambino che comprende molto presto non essere Anders.
SYNOPSIS:
Single mother Anna moves with her 8 year old son to a big flat with secret address outside Oslo to get away from her violent husband. Anna is scared stiff that they will be found, and is under heavy watch by a couple of child care workers. She get's the idea of buying a baby call so that her son doesn't have to sleep in her bed, only to find that the babycall picks up another troubled child somewhere in the flat. She meets shopkeeper Helge again when she complains about the baby call, and finds comfort in this shy guy which obviously also has a troubled past.
Anna is really on the edge, and maybe her imagination is playing her as well!? We follow Anna as she tries to hide out in her new flat, taking small steps into society only to feel threaten by anything that shows up onher doorstep. Is she imagining that someone is hurting a child somewhere in the big flat?
storia c’è Anna/Rapace, la donna a terra a cui nella prima scena - inquadrata solo per un primo piano - qualcuno le chiede dov’è Anders, colui che nel corso della narrazione scopriamo essere suo figlio di otto anni. Per inciso, un decennio più tardi Noomi Rapace si cimenterà in un qualcosa di ben più ardito riguardo al rapporto madre-figlio, in seno allo spiazzante Lamb (2022) dell'islandese Vladimir Jóhannsson. Per cui si direbbe quasi che il profondo Nord produca 'mostri'! Ma questa è tutta un'altra questione!
Una storia, quella di Babycall, che rende protagonisti i postumi di una violenza domestica occorsa in passato e da cui la donna continua a difendersi portando il figlio lontano dalla sua prima, originaria, abitazione. Vedremo una location condominiale asettica, assistenti sociali e l’ossessione materna, ai limiti della follia, di guardarsi sempre alle spalle per proteggere il figlio che non vorrebbe neppure mandare a scuola. Talmente ossessionata
da recarsi ad acquistare un ‘babycall’, comune strumento per controllare a distanze brevi i figli piccoli di pochi mesi. Anna/Rapace conosce il giovane commesso del negozio dove fa l’acquisto di questo oggetto (l’Helge di Kristoffer Joner) che ha la madre morente in ospedale, e con cui, gradualmente, stabilisce un contatto reale, di amicizia, compensativo di due solitudini differenti, seppur con molti tratti in comune sul parametro madre-figlio. L’unico elemento reale, di contro al resto della narrazione, che va a costituire il viaggio mentale della donna. Viaggio d’altra parte talmente realistico da contaminare lo spettatore dello stesso stato confusionale della donna che, in pratica, fa il film. Viaggio peraltro complicato dalle frequenti, inquietanti, ‘interferenze’ irradiate dal fatidico ‘babycall’. Una sorta di ‘rompicapo’ con una vena di soprannaturale, o, perlomeno surreale, in cui i morti, magari bambini - il che rende ancor più sensibile ed opprimente la percezione - tornano a tormentare
le coscienze. Così, se l’intento del regista era quello di provocare uno shock nello spettatore, diciamo che, almeno in parte, ha fatto centro.
Secondo commento critico (a cura di JAY WEISSBERG, www.variety.com)
Pal Sletaune's pics are stylish and creepy, but "Babycall" needs more time in script kindergarten. A tense tale of a paranoid woman desperate to keep her kid away from her violent ex-hubby, the helmer's fourth feature at times feels like a cross between "The Sixth Sense" and "Shutter Island," but too often uses a heightened atmosphere of dread to spackle over holes that widen considerably upon contemplating the overstretched premise. Brisk sales (18 international markets and counting) will cheer psychological-thriller fans, further drawn by star Noomi Rapace (the "Millennium" trilogy), who nabbed Rome's actress prize.
A clearly strung-out Anna (Rapace) and her 8-year-old son Anders (Vetle Qvenild Werring) arrive in a barren new apartment, hoping their location will remain unknown to Anna's ex, who tried to drown the boy. Anna doesn't want to let Anders out of her sight for a moment, insisting he sleep in her bed and only allowing
him to go to school because social services won't let her teach him at home.
She buys a baby monitor (also known as a babycall) from shy but solicitous salesman Helge (Kristoffer Joner, star of Sletaune's "Next Door"), which makes Anders happy since he can now sleep in his own room while remaining within earshot. But suddenly one night, Anna is startled by a violent screaming match coming from the monitor; she checks on Anders, who's fast asleep. The next day at the store, Helge reassures her that the babycall must have picked up someone else's monitor.
It's a great premise: What parent wouldn't be freaked out? Sletaune builds the air of mystery, forcing auds to question the nature of Helge's motives, the role of Anders' malevolent, unexplained schoolfriend (Torkil Johannes Hoeg Swensen), and Anna's general state of mind, even when she admits to seeing things. All this works on
a superficial level, yet viewers inclined to think while they watch won't be able to shake a nagging suspicion that they're being hoodwinked, notwithstanding the helmer's goal of conflating the real and the imaginary.
Indeed, the copout resolution is unlikely to satisfy anyone, and a considered reflection on the various elements reveals a host of unexplained MacGuffins more likely to induce exasperation than chills. Sletaune is adept at conjuring taut situations with a balance of cold visuals and tight editing, but such cinematic devices aren't enough to convince when the plot feels like a cheat.
Rapace keeps the edgy mood going with her stressed-out perf, though it's her moments of quiet vulnerability rather than the one-note tension that give the role some depth. Best of all is Joner's calm playing, which defies attempts to place Helge in the good or evil column until the very end. Visuals feature diffused colors
that tend toward frigid blues and grays, Scandinavian cinema's current default mode.