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    GOOD: DA UNA PIECE TEATRALE APPRODA SUL GRANDE SCHERMO UN DRAMMA VISSUTO NELLA GERMANIA NAZIONALSOCIALISTA, LA' DOVE SI APPUNTA UNA DELLE MIGLIORI PERFORMANCE DI VIGGO MORTENSEN

    Dal III. Festival Internazionale del Film di Roma

    (Good GRAN BRETAGNA/UNGHERIA 2008; drammatico; 96'; Produz.: Good Films Ltd/Kornel Sipos/Laurin Entertainment/Miromar Entertainment; Distribuz.: (Internazionale) Odd Lot International)

    Locandina italiana Good

    Rating by
    Celluloid Portraits:




    Titolo in italiano: Good

    Titolo in lingua originale: Good

    Anno di produzione: 2008

    Anno di uscita: 2008

    Regia: Vincente Amorim

    Sceneggiatura: John Wrathal

    Soggetto: Basato sulla piéce teatrale di CP Taylor.

    Cast: Viggo Mortensen (Halder)
    Jason Isaacs (Maurice)
    Joedie Whittaker (Anne)
    Steven Mackintosh (Freddie)
    Mark Strong (Bouhler)
    Gemma Jones (madre di Halder)
    Anastasia Hille (Helen)

    Musica: Simon Lacey

    Costumi: Györgyi Szakács

    Scenografia: Andrew Laws

    Fotografia: Andrew Dunn

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    IN BREVE:

    In Germania, durante l'ascesa del nazionalsocialismo, John Halder è un docente di letteratura con diversi problemi familiari: una moglie nevrotica, due figli particolarmente esigenti e la madre che soffre di demenza senile. In un libro, Halder esplora il dramma di sua madre, appoggiando l'eventuale scelta dell'eutanasia, ed immediatamente diventa un caso, considerato dalle alte sfere della politica come valido strumento di propaganda al regime. La sua carriera decolla, portando insensibilmente un uomo tranquillo verso le derive del nazismo.

    Commento critico (a cura di ERMINIO FISCHETTI)

    Dopo la presentazione dell’autunnale western Appaloosa di Ed Harris, è ancora una volta l’amicizia virile uno dei temi di questo secondo film con Viggo Mortensen presentato al Festival romano. Tratto dalla famosa e acclamata piece teatrale omonima di C.P. Taylor, Good è un solido dramma ambientato nella Germania nazionalsocialista degli anni Trenta, quando il potere di Hitler si stava consolidando. La pellicola scandaglia la tormentata anima di un docente di letteratura con problemi in famiglia a causa di una moglie depressa e una madre sofferente di una forma di tubercolosi cronica. Quando scrive un romanzo in cui sostiene l’eutanasia allo scopo di ridare dignità alle persone afflitte da malattie inguaribili, il governo lo porta al successo portando il libro come modello delle basi ideologiche della propaganda politica nei confronti di coloro che il Terzo Reich considera rifiuti umani. In breve tempo, l’uomo da sempre desideroso di uscire dalla sua miserrima

    vita attraverso la fama e il potere deve venire a patti col nazismo, tanto da diventare un ufficiale delle SS onorario. L’opera, però, prima di essere una denuncia sull’antisemitismo, racconta lo straordinario rapporto affettivo che il protagonista, John Halder, ha con Maurice, il suo confidente e migliore amico da molto tempo, messo a dura prova a causa delle origini ebraiche di quest’ultimo.

    Già presentata al Toronto International Film Festival, la coproduzione anglo tedesca, girata nelle location di Budapest, è diretta dal regista austriaco-brasiliano Vicente Amorim con solida e succinta impostazione linguistica (migliorata dall’ottimo montaggio di John Wilson), dotata di dinamici salti temporali, e seppur avvalendosi di interni molto soffocanti, per meglio sottolineare le limitazioni imposte dall’infelice periodo storico, non cade mai nel cliché di metaforizzare la Germania nazista attraverso descrizioni di luoghi morbosi e volgari e di personaggi psicologicamente caricaturali. Anzi, il film evita intelligentemente di entrare in questi

    meccanismi, privilegiando solamente una fotografia (di Andrew Dunn) che passa dai toni grigiastri a quelli più cupi del nero che diventano quasi espressionisti. In generale, l’impostazione europea dell’opera è evidente, come precisi sono alcuni riferimenti di stile a La caduta degli dei di Luchino Visconti, specie quando, nella scena di più forte impatto visivo, la seconda moglie di Helder gli intima di guardarsi allo specchio vestito con la divisa delle SS. Non si nota affatto l’impianto teatrale peculiare perché si prediligono scene brevi e molti cambiamenti di luoghi scenici, mentre è evidente la sua origine quando la mente del protagonista entra in una dimensione atemporale, manifestazione del suo rifiuto verso ciò che sta man mano accadendo nella sua patria, attraverso stacchetti musicali di Mahler che compaiono davanti a lui, all’improvviso, nel corso degli anni.

    Viggo Mortensen, dopo La promessa dell’assassino di David Cronenberg, ci regala la sua migliore interpretazione,

    che fra tutte risulta la più misurata e calibrata intorno ad un lavoro principalmente di sottrazione. Nel portare sullo schermo John Halder si ritrova ad impersonare un uomo mite che fa parte di quella classe politica suo malgrado, e scopre di essere corrotto egli stesso proprio perché aveva avallato tutto, credendo sempre che la situazione si sarebbe stemperata in breve tempo. Nel suo caso, la citazione alla teoria di Hannah Arendt sulla banalità del male diventa il riferimento per eccellenza, perché molte persone come Halder si lasciarono affascinare dal potere e dalla megalomania dei totalitarismi, sacrificando e abbandonando spesso gli amici e i cari vittime del sistema nel momento del maggior bisogno, come lui fa con Maurice. Sembra non ascoltare gli avvertimenti, le funeste previsioni e le richieste di aiuto dell’uomo, un apprezzato psicologo, che invece fu sempre al suo fianco quando in precedenza aveva avuto costantemente bisogno di lui

    (interessante il confronto fatto fra i due da un punto di vista sociale: più John faceva carriera e viveva nel lusso, più Maurice cadeva in disgrazia, mentre prima era decisamente il contrario). Halder raggiunge la consapevolezza di ciò che sta facendo in due momenti fondamentali, ossia nella famosa notte dei cristalli del 10 novembre 1938 (definita in tedesco Reichspogromnacht), quando ci fu il primo e più violento assalto contro civili ebrei nella Germania hitleriana e quando visita i campi ci sterminio per la prima volta nel 1942. Ma ormai è troppo tardi per rimediare.

    Eccellenti ed intense le brevissime apparizioni di Gemma Jones (attrice che avrebbe meritato una carriera più ricca e importante), nel ruolo della madre disabile che perde ogni granello della sua dignità di essere umano a causa della sua tragica malattia. Avrebbe meritato invece più attenzione la trasformazione sottile e meschina di Anne, la giovane seconda moglie

    di John, la quale alla fine accetta di buon grado il nuovo regime ed è colei che compie il vero tradimento: denuncia Maurice, mentre il marito le aveva chiesto di aiutarlo. Da tenere d’occhio Jason Isaacs. Bella sorpresa, uno di quei film da cui non ci si aspetta molto. E invece…

    Links:

    • Viggo Mortensen

    • Mark Strong

    • Jason Isaacs

    • Festival Internazionale del Film di Roma - III. edizione (22-31 Ottobre 2008) - INCONTRO con VIGGO MORTENSEN (A cura dell'inviato ERMINIO FISCHETTI) (Interviste)

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