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    I FIGLI DEGLI UOMINI

    Dalla 63a Mostra del Cinema di Venezia

    “Quando faccio un film esprimo un mio punto di vista, perciò il fatto che io sia una persona piena di speranza nella vita, in qualche modo ‘contamina’ questo film. L’umanità ha un talento straordinario per la distruzione, ma allo stesso tempo è capace di solidarietà e di superare insieme i problemi. In fondo ‘Children of Men’ non è tanto incentrato sull’umanità distruttiva, quanto sul potere delle ideologie e delle azioni al loro servizio… Mi sembrava una storia molto adatta per parlare del mondo di oggi, con la scusa che si tratta del ‘prossimo futuro’. Non volevo un film sul futuro, bensì un film sul presente e sulle circostanze odierne che sono alla base del nostro futuro. Questa non è fantascienza, ma un ‘chase movie’ (un film di inseguimenti) ambientato nel 2027â€.
    Il regista Alfonso Cuarón

    (Children of Men, UK/USA 2006; Thriller drammatico fantascientifico; 114'; Produz.: Universal Pictures International/Universal Pictures/Strike Entertainment/Beacon Communications LLC/Hit & Runa Productions/Quietus Productions Ltd.; Distribuz.: UIP Italia)

    Locandina italiana I figli degli uomini

    Rating by
    Celluloid Portraits:



    (Comment by PATRIZIA FERRETTI) - Not a sci-fi movie, but an achievable project to talk about today, about all those ideology, factions that brings the humanity to self-destruction; a very realistic vision more than a pessimistic one. Such as the movie leaves an opening to hope; hope based on the trust of the evolution of the human spirit. Just like in Oliver Stone’s “World Trade Center†the salvation of the human race, even though disposed to violence but at the same time capable of solidarity and affection, starts from the birth of a new life. In the movie the salvation comes to life in a miraculous way, a very unlikely event, only if you look at the wars still going on in our world, in our real and present time; this is just conceivable if we think that “every thing is cosmic war between faith and destinyâ€. (Translation by MARTA SBRANA, Canada)

    Titolo in italiano: I figli degli uomini

    Titolo in lingua originale: Children of Men

    Anno di produzione: 2006

    Anno di uscita: 2006

    Regia: Alfonso Cuarón

    Sceneggiatura: Alfonso Cuarón, David Arata e Timothy J. Sexton

    Soggetto: Da un romanzo di P. D. James

    Cast: Clive Owen (Theodore Faron)
    Julianne Moore (Julian)
    Michael Caine (Jasper)
    Chiwetel Ejiofor (Luke)
    Charlie Hunnam (Patric)
    Clairie-Hope Ashitey (Kee)

    Musica: John Tavener

    Costumi: Jany Temime

    Scenografia: Jim Clay e Geoffrey Kirkland

    Fotografia: Emmanuel Lubezki

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    La Terra, nel 2027: si è ormai persa ogni speranza nel futuro, poiché da ben 19 anni non nascono più bambini. Il tempo passa e ogni anno trascorre inspiegabilmente senza nascite, mentre l’umanità sembra condannata a una fine inesorabile. La maggior parte della gente ha scelto di abbracciare il separatismo, l’illegalità e il nichilismo; altri invece credono ancora in un pianeta unito e lottano per i diritti delle popolazioni meno fortunate.
    La Gran Bretagna è una contea che è riuscita – attraverso una politica di imperialismo militare – a sopravvivere ai crescenti conflitti interni, e a sua volta assiste a un incredibile afflusso di profughi clandestini che sbarcano sulle sue coste. Ma, con mano ferma e totalitaria, questi immigrati vengono prontamente rinchiusi nei campi di prigionia e quindi deportati.
    Per Theo (Clive Owen) tutto ciò ha poca importanza, giacché ha scelto di vivere nella più totale indifferenza. Theo, che vanta un passato di impegnato attivista, ha reagito al dolore e alla disperazione di un mondo senza futuro semplicemente limitandosi a sopravvivere, senza più coinvolgimenti. La sua esistenza viene ravvivata solo dalla visita del suo vecchio amico Jasper (Michael Caine) che vive in campagna, lontano da Londra. Insieme ricordano i bei tempi quando erano compagni di lotta, attivisti controcorrente, mentre ora non si sentono più parte di una società che non è più in grado di fornire alcuna risposta.
    Questa situazione si ribalta improvvisamente quando Theo viene prelevato da u gruppo di uomini che lo conduce da Julian (Juianne Moore), la sua ex compagna di vita e di lotta, che è ora a capo di un gruppo di dissidenti che si battono per i diritti dei profughi. Julian ha cercato Theo per chiedergli un favore: procurare i documenti di transito a una giovane donna dell’organizzazione di nome Kee (Clare-Hope Ashitey) che deve lasciare il paese senza problemi.
    Theo accetta, sia per il legame che ancora sente per Julian, sia per le 5000 sterline che riceverà in cambio e presto intraprende, al fianco di Kee e di un gruppo di compagni di Julian, u viaggio rischioso in cui dovranno superare diversi checkpoint prima di raggiungere la costa. Lì, alcuni membri del mitico Human Project – una delle menti più illuminate del mondo, che si adopera per costruire una nuova società – sono disposti ad aiutarli. Ma quando il gruppo viene attaccato dai terroristi, Theo comprende che la smaliziata Kee è molto più di una profuga e che c’è gente persino disposta a morire per lei..
    Infatti questa donna è incinta di 8 mesi e incarna in sé il miracolo atteso con speranza dal pianeta intero.
    Durante la corsa verso la libertà, in fuga dagli anarchici che rischierebbero tutto per la causa e da coloro che intendono usare il bambino per fini politici, Kee e Theo diventano gli improbabili eroi di una futura generazione.

    Commento critico (a cura di Patrizia Ferretti)

    NON UN FILM FANTASCIENTICO, MA UN PRETESTO NARRATIVO FUTURIBILE PER PARLARE DELL’OGGI, DI TUTTE QUELLE IDEOLOGIE E FAZIONI CHE CANDIDANO IL GENERE UMANO ALL’AUTODISTRUZIONE. UNA VISIONE REALISTICA, PIU’ CHE PESSIMISTA, CHE D’ALTRA PARTE NON MANCA DI LASCIARE UN VARCO APERTO ALLA SPERANZA, FONDATO SULLA FIDUCIA NELL’EVOLUZIONE DELLO SPIRITO UMANO. COME NEL ‘WORLD TRADE CENTER’ DI OLIVER STONE, LA SALVEZZA DEL GENERE UMANO, TALVOLTA PARTICOLARMENTE INCLINE ALLA VIOLENZA, MA ANCHE CAPACE DI SOLIDARIETA’ E AMORE VERSO IL PROSSIMO, GIUNGE DALLA NASCITA DI UNA NUOVA VITA, QUI MIRACOLOSAMENTE VENUTA ALLA LUCE IN CIRCOSTANZE IMPROBABILI, IMMAGINABILI SOLO SE SI GUARDA ALLE GUERRE ‘FUORI PORTA’ APPENA CONSUMATE O TUTTORA IN CORSO DEL NOSTRO PRESENTE REALE. IMMAGINABILI SOLO ALLA LUCE DEL FATTO CHE ‘OGNI COSA E’ UNA BATTAGLIA COSMICA TRA FEDE E CASO’
    .
    In effetti lo spunto della storia di Children of Men, tratto da un romanzo scritto dalla stimata autrice di ‘gialli’ P. D.

    James, può trarre in inganno e far pensare che il film di Alfonso Cuarón, a questi ispirato, possa inquadrarsi nel genere fantascentifico. Non è affatto così. Non almeno nel senso tradizionale del termine. In realtà di futuribile c’è solo l’alito, il pretesto, per trattare invece di un assoluto presente, tutt’altro che idilliaco, con un futuro all’orizzonte abbastanza imminente e ancor più catastrofico, ma non senza speranza. Non è un caso che non si sia scelta una data di riferimento estremamente distante dal momento in cui viviamo. Si tratta della Londra all’anno 2027, dunque il margine di scarto con l’oggi non è certo secolare. Lo scenario si delinea con tratti estremamente inquietanti fin dalle prime battute, quando, dopo la notizia televisiva trasmessa in un bar circa la morte di un ragazzo diciottenne, la persona più giovane al mondo, il locale esplode facendo strage degli avventori. Scenario dove veniamo a conoscenza di

    Theo, il personaggio protagonista interpretato da Clive Owen, un tipo apparentemente passivo, languido e annichilito, il tipo che lascia che gli eventi e le cose gli cadano addosso, prima di decidersi a reagire. Una sorta di antieroe con un ruolo invece centrale, direttamente o indirettamente, per la salvezza dell’umanità. Perché è proprio di questa che stiamo parlando. E’ questa che è in gioco, a rischio della perdita totale. Così, dietro quel caotico reticolo di inseguimenti, fazioni, schieramenti ideologici e fanatismi rivoluzionari, dietro quelle masse di persone ridotte a relitto umano, identificate per una volta in una svariata gamma di uomini e donne occidentali, maltrattati alla stregua di bestie, reclusi in gabbie di isolamento, o ‘ghettizzati’ in spazi tanto simili a dei lager, fino a generare e far esplodere tutta la violenza guerrafondaia che si possa immaginare, c’è una metafora di quel che ci succede sotto gli occhi (basta pensare ad

    Iraq, Afghanistan, Africa ecc.), ma che sentiamo ‘geograficamente’ distante. Una metafora studiata quindi per far capire ai Paesi che nella nostra realtà attuale non soffrono di questi problemi, che quelle drammatiche situazioni off-limits potrebbero invece investirli in prima persona. Il pretesto dell’improvvisa infertilità da parte delle donne, dell’impossibilità di procreare, mettendo dunque a rischio la sopravvivenza del genere umano, sembra strumentale ad amplificare il senso, l’importanza della vita umana nella sua integrità dignitaria e morale. Perciò, con l’evidente e dichiarata volontà di far provare come ci si possa sentire trovandosi dall’altra parte, il regista mette, per così dire, in gabbia, gli occidentali, affidando ai profughi, agli immigrati, in particolare alla giovane ‘donna – simbolo’ Kee (Clairie-Hope Ashitey) che, come per miracolo, sta per avere un bambino, la chiave della salvezza del genere umano. Altro che fantascienza! Qui si parla metaforicamente, e nemmeno più di tanto, dei veri punti di

    forza del soggetto del film: immigrazione, ambiente, fertilità, guerra e sopravvivenza.
    In mezzo a tanto sangue e violenza, tutto quel che comporta e produce lo spirito della guerra, scartando dalla retorica e secondo una cifra stilistica sua propria, Cuarón trova modo e ragione fondata per aprire il suo squarcio di speranza. Sostanzialmente in linea con il messaggio finale del World Trade Center di Oliver Stone, vede nella nuova vita, ancor più preziosa quando rara, anzi, unica, come nella contestualizzazione di Children of Men, lo spiraglio, l’apertura verso la salvezza e la soluzione dei problemi. Anche questo film porge la sua sequenza memorabile, appuntata sul momento in cui il protagonista Theo (Clive Owen), protettore della ragazza con la bambina partorita tra i bombardamenti (cui il sonoro provvede a renderci pienamente partecipi), passano in mezzo a raffiche di colpi d’arma da fuoco, esplosioni e stuoli di militari. Il loro passaggio blocca, sia

    pure temporaneamente, la guerra in corso, e i soldati guardano a questa sorta di miracolo, date le circostanze, in cui questa nuova vita è venuta al mondo, sia pure un mondo come quello. La metafora della ‘Sacra Famiglia’ ha comunque vita breve. Non vogliamo per ora dire di più. Quel che comunque il regista ha inteso affermare quale punto focale della storia dandole priorità assoluta e un futuro più duraturo nel tempo, è proprio questa nuova vita, con uno stimolo in più alla riflessione appuntato sulla sua provenienza, quella da cui nel film dipende la salvezza del genere umano.

    Commenti del regista

    “Molte delle storie del futuro si rifanno al concetto del ‘Grande Fratello’ di Orwell, ma questa è una visione molto novecentesca del potere dispotico. Oggigiorno le forme di tirannia assumono vesti diverse e ciò che chiamiamo democrazia è una di queste. Trovo che questa sia un’idea molto interessante che emerge in ‘Children of Men’… Nel creare la fittizia linea temporale che anticipa e spiega l’inizio del film, alcuni fatti che abbiamo inserito nella nostra storia si verificavano davvero e nei telegiornali assistevamo alle immagini che avevamo pensato per il nostro film, ambientato però a 21 anni di distanza da ora. Il mio intento non è certo quello di dare risposte, bensì di sollevare domande, di generare qualche pensiero. Nel complesso è senza dubbio un film che spera in un futuro miglioreâ€.

    Commenti dei protagonisti:

    Clive Owen (Theo): “Alfonso è il solo regista che conosco che metterebbe il suo ‘eroe’ in situazioni assurde per la maggior parte del film solo per ribaltare la nozione classica di eroismo. Voleva un uomo assolutamente normale calato in una situazione assolutamente non normale, ma affinché lo spettatore capisca questa rappresentazione, continua a farlo ‘inciampare’ in qualsiasi modoâ€.

    Clare-Hope Ashitey (Kee): “Ciò che fa più paura rispetto al mondo creato da ‘Children of Men’ è la reazione del governo agli eventi globali. Invece di unirsi e di aiutarsi reciprocamente, nel film gli stati si comportano in modo opposto. E’ una prospettiva spaventosa, l’idea che l’egoismo e l’isolamento abbiano il sopravvento sul bene e sul senso di compassioneâ€.

    Altre voci dal set:

    Il produttore Marc Abraham: “Alfonso è un regista di enorme talento. Nutre una profonda passione per ciò che fa e il modo in cui visualizza le sue storie è molto particolare. La sua partecipazione ci ha infuso una nuova energia… Mi è sempre piaciuta la tipologia dell’antieroe che all’inizio è riluttante a combattere. In questo senso mi hanno molto ispirato i film degli anni ’70. Il fatto che Theo, un uomo che in qualche modo ha ‘bruciato’ le sue risorse, debba occuparsi di proteggere qualcuno, la prima donna incinta del pianeta dopo quasi 20 anni, è un’idea drammatica molto chiara e precisa. Alfonso ha aggiunto a questa premessa altri temi di grande attualità e di forte rilevanzaâ€.

    Il direttore della fotografia Emmanuel Lubezky: “La cinepresa è diventata quasi un’altra persona sul set, una presenza curiosa, invadente che segue il nostro personaggio principale e che a volte diventa nervosa e scostante. In questo modo il pubblico entra nell’ambiente del film e avverte la sensazione del tempo realeâ€.

    Links:

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