TRUMAN CAPOTE: A SANGUE FREDDO - PHILIP SEYMOUR HOFFMAN DA OSCAR!!!
'CELLULOID PORTRAITS' rende Omaggio alla Memoria di PHILIP SEYMOUR HOFFMAN - VINCITORE al Premio OSCAR e al GOLDEN GLOBE come 'MIGLIORE ATTORE DRAMMATICO' (PHILIP SEYMOUR HOFFMAN) - Il film è pluricandidato all'Oscar come 'Miglior Film', 'Miglior Attore Protagonista', 'Migliore Attrice non protagonista'; 'Migliore sceneggiatura non originale', 'Miglior Regia'.
(Capote/Truman Capote: a sangue freddo, USA 2005; biopic; 98'; Produz.: United Artists/Infinity Media/A-Line Pictures/Cooper's Town Productions in co-produzione con 'Eagle Vision Inc.'; Distribuz.: Sony)
"Nel novembre 1959, Truman Capote (Phillip Seymour Hoffman), autore di Colazione da Tiffany e tra i personaggi favoriti di quello che diverrà ben presto noto come il 'jet set', legge un articolo sull'ultima pagina del 'New York Times'. Il pezzo parla degli omicidi di quattro membri di una nota famiglia di agricoltori, i Clutter, avvenuti a Holcomb, Kansas. Storie del genere vengono pubblicate tutti i giorni sui quotidiani, ma questa ha qualcosa di particolarmente interessante per Capote, che vede nella vicenda l'opportunità di dimostrare la sua vecchia teoria, secondo la quale , nelle mani di un bravo scrittore, qualsiasi fatto di cronaca può diventare affascinante quanto un romanzo. Che impatto hanno quegli omicidi sulla piccola cittadina spazzata dal vento? Stabilito il taglio da dare alla storia - visti i suoi obiettivi, non ha alcuna importanza che gli assassini vengano catturati o meno - lo scrittore convince la rivista 'The New Yorker' a incaricarlo di scrivere il pezzo, e parte perciò per il Kansas. Lo accompagna un'amica di vecchia data con cui ha condiviso l'infanzia in Alabama: harper Lee (Catherine Keener), che di lì a pochi mesi si aggiudicherà il Premio Pulitzer - e la fama - come autrice de Il buio oltre la siepe. Benchè la voce infantile, le maniere eccentriche e gli abiti convenzionali di Capote suscitino inizialmente l'ostilità dei gruppi più tradizionalisti in una cittadina che ancora si considera parte del vecchio West, ben presto lo scrittore riesce a conquistarsi la fiducia degli abitanti, e soprattutto di Alvin Dewey (Chris Cooper), agente del Kansas Bureau of Investigation e responsabile delle indagini. Dopo essere stati catturati a Las Vegas, i due killer, Perry Smith (Clifton Collins Jr.) e Dick Hickock (Mark Pellegrino), tornano nel Kansas, dove vengono processati e condannati a morte. Capote va a trovarli in cella. Dopo averli conosciuti, si rende conto che quello che avrebbe dovuto essere l'articolo per una rivista sta diventando un libro a tutti gli effetti, un libro che potrà inserirsi a pieno titolo tra le grandi opere della letteratura moderna. Ora lo scrittore è in grado di affrontare un argomento ben più profondo e impegnativo di quello iniziale: lo scontro tra due diverse Americhe. Da un lato la realtà sicura e protetta in cui vivevano i Cuttler; dall'altro il paese amorale e privo di scrupoli in cui si muovono i loro assassini. Dietro la facciata spesso frivola e superficiale di Capote si nasconde uno scrittore dalle colossali ambizioni.
Malgrado ciò, talvolta lui stesso dubita di riuscire a scrivere il libro - il grande libro - che il destino gli ha messo in mano. 'Qualche volta, quando penso a quanto potrebbe essere grande, mi manca il respiro', scrive a un amico".
Dal >Press-Book< di Capote: a sangue freddo ("www.sonypictures.it/film/capote/main.htm")
Commento critico (a cura di Patrizia Ferretti)
QUANDO LA STAR PROTAGONISTA FA IL FILM! CAPOTE SEMBRA IL CLASSICO FILM CHE SFRUTTA A PIENO TUTTO IL POTENZIALE DI UN SOGGETTO ACCATTIVANTE E SOPRATTUTTO LA LEVATURA ARTISTICA, VERAMENTE DA OSCAR, DELL’INTERPRETE PROTAGONISTA PHILIP SEYMOUR HOFFMAN. UNA PERFORMANCE LA SUA CHE PARTE IN SORDINA SU UNA SCIA APPARENTEMENTE CONTENUTA, QUASI DA CARATTERISTA, SALVO CRESCERE STRADA FACENDO, SVISCERANDOSI IN UN PROFONDO E SOTTILMENTE STRATIFICATO CALEIDOSCOPIO DI SFUMATURE COMPORTAMENTALI E PSICOLOGICHE. QUEL CHE DELINEA A TRATTI INDELEBILI UN PERSONAGGIO ALQUANTO COMPLESSO E NEPPURE TROPPO AMABILE, CONSIDERATANE L’ANIMA EGOCENTRICA E SPUDORATAMENTE VANESIA, OLTRE CHE CINICAMENTE STRUMENTALE AL PROPRIO LAVORO DI SCRITTURA, MIRATO ALL’IPER SUCCESSO. E QUESTO MALGRADO UN INDISCUTIBILE TALENTO. COSI’ SE E’ BEN COMPRENSIBILE LA NOMINATION ALL’OSCAR PER IL SOFISTICATO HOFFMAN/CAPOTE (PERALTRO GIA’ PREMIATO CON IL ‘GOLDEN GLOBE’ COME ‘MIGLIORE ATTORE DRAMMATICO’), SI CAPISCONO POCO TUTTE LE ALTRE ESTENSIONI DI NOMINATIONS.
Un ottimo soggetto questo biopic appuntato sul grande scrittore statunitense Truman
Capote, morto nel 1984 per alcolismo. E’, tra le altre cose, anche l’autore del celebre Breakfast at Tiffany’s (Colazione da Tiffany), poi trasposto sul grande schermo da Blake Edwards con Audrey Hepburn come protagonista. Così come tratteggiato in maniera impeccabile, profonda e sofisticata da Philip Seymour Hoffman (che ritroveremo ben presto in Mission Impossible III a fianco di Tom Cruise), Truman Capote è un eccentrico e alquanto ‘tendenziale’ personaggio che non disdegna di celebrare la propria opera ad ogni occasione privata o mondana, ad esempio in night club fatti di chiacchiere salottiere e drink su drink, beneficiando di compagnie osannanti quell’esibito talento. Autocelebrativo fino alla nausea (“quando penso a come può venire questo libro mi manca il respiroâ€), patetico e comico, mostruosamente geniale nella scrittura e, soprattutto, come dimostra nei confronti di una vicenda terrificante che doveva costituire solo il soggetto di un articolo e che invece diventerà il romanzo-documento
della sua vita, letteralmente ossesionato, disposto a tutto, a mentire spudoratamente, a usare ogni mezzo di persuasione per estorcere informazioni vitali alla trasposizione di un efferato crimine reale - “una vera miniera d’oro†- in un libro sensazionale, il suo, intitolato A sangue freddo. Peccato che di mezzo ci siano le vite condannate a morte di due assassini seppure responsabili di aver letteralmente massacrato un’intera famiglia in Kansas. A questo proposito è interessante quanto gli farà osservare alla fine l’amica d’infanzia Nelle Harper Lee (Catherine Keener), a sua volta autrice (Premio Pulitzer) di Il buio oltre la siepe, anch’esso sfociato nell’omonima e celebre trasposizione cinematografica, diretta da Robert Mulligan, con Gregory Peck e Robert Duvall. Cogliendo Capote in una confusionale crisi di coscienza subito dopo la fine dei due - quella che d’altra parte gli ha permesso di scrivere il finale del suo libro, liberandolo da un’interminabile attesa diventata insopportabile,
vera e propria tortura - la Harper Lee fa osservare a Capote che tutto quel che ha fatto, i suoi costanti rapporti con uno degli assassini per quattro anni, lo ha fatto soltanto pensando a servire la storia del suo libro, nient’altro, non certo mosso dalla volontà di fare qualcosa per evitare loro la forca.
Il film ripercorre capillarmente la vicenda personale di questo scrittore, sottolineandone la complessa e problematica personalità che eredita con piena responsabilità l’interprete protagonista, talmente irradiante e del resto così fondamentale e logicamente centrale in tutta la vicenda che praticamente quasi da solo fa il film. Quella di Capote è un’indole meticolosa che lo fa scivolare di diritto nella dimensione investigativa in prima persona, al punto da aprire il coperchio delle bare dei massacrati e visionarne i corpi, coperti in volto per la consequenziale deturpazione. Il motivo di cotanto azzardo sarà chiaro all’anteprima del libro, quando
leggerà una selezione di brani tra cui, appunto, quello della descrizione dei cadaveri. La prosa che ne esce, le parole scelte per la descrizione ci danno l’idea di cosa avesse spinto fino a tanto il nostro protagonista: respirare l’essenza della vicenda fin nei dettagli ed essere in grado di ritrasmettere le stesse sensazioni al lettore. Questa la metodica con cui seguirà le varie tappe di questo tragico fatto di cronaca ritagliato con cura dal giornale, dalla ricerca alla cattura degli assassini, all’osservazione invasiva ma arguta di questi durante la detenzione, in particolare di uno di loro, Perry, con cui intesse un rapporto più stretto e continuativo. Niente è lasciato più al caso, persino il cercare un avvocato serio per loro al fine naturalmente di prendere tempo e poter disporne lui stesso per conoscere meglio i fatti e scrivere il suo romanzo-verità , persino pagare l’istituto di pena dove sono segregati i
due per poter accedere liberamente…“Se esco di qui senza averti capito, il mondo continuerà a vederti come un mostro, per sempre, e io non voglioâ€. Ecco una delle tante armi di persuasione usate da Capote, dopo aver recuperato l’assassino dal digiuno, strumentale ad ottenere l’infermità mentale, dedicandosi ad accudirlo e nutrirlo pazientemente con l’omogenizzato per neonati. Tra i risvolti particolarmente interessanti di questa storia, ci sono alcuni tratti affini, così come fa osservare lo stesso Capote a Perry, nell’ambito dei loro rispettivi, tragici percorsi d’infanzia. Più tardi ne trae un’interessante riflessione: “E’ come se io e Perry fossimo vissuti nella stessa casa, e un giorno io fossi andato via dalla porta davanti e lui da quella di dietroâ€, per sfumare nella deduzione-metafora di un’America divisa in due: “In questo Paese esistono due mondi: quello quieto borghese e quello del ventre molle cui appartengono i due assassini. Due mondi che convergono
in quella notteâ€. Ma tutto ciò non impedisce a Capote di strumentalizzare ogni presunto tratto di affinità con il suo interlocutore per consolidarne la fiducia acquisita e mirare dritto al suo scopo. Tant’è che il titolo A sangue freddo dato da Capote al suo romanzo-documento, potrebbe ben sposarsi con il suo stesso modo di rapportarsi con i responsabili di una tragedia umana. Una tragedia nella tragedia. Comunque sia, certo è che il vero Capote raggiunse l’obiettivo, il suo libro diventò un best seller, ma come aveva previsto (“Ho assistito ad una cosa tremenda, non mi riprenderò più da questa cosaâ€), tutta la vicenda ebbe su di lui un effetto devastante da cui non si sarebbe più ripreso del tutto.