Dal 6 Febbraio - RECENSIONE - Golden Globes 2025 - VINCITORE di 3 Statuette: 'Miglior film Drammatico'; 'Miglior Regista' (Brady Corbet); 'Miglior Attore in un Film Drammatico' (Adrien Brody) - VINCITORE del LEONE D'ARGENTO - Premio speciale per la regia a Venezia 81. - Adrien Brody architetto ebreo di origine ungherese sopravvissuto all'Olocausto, emigra con la moglie (Felicity Jones) in America in cerca di fortuna, e la trova con un ricco cliente (Guy Pearce), ma...
"'The Brutalist' esamina come l'esperienza dell'immigrato rispecchi quella artistica, nel senso che ogni volta che si realizza qualcosa di ardito, audace o nuovo, come l'istituto che László costruisce nel corso del film, si viene generalmente criticati per questo. E poi nel tempo è stato celebrato e osannato per questo... Per noi, la psicologia del dopoguerra e l'architettura del dopoguerra - incluso il Brutalismo - sono collegate. Qualcosa che portiamo in vita nel film attraverso la costruzione dell'Istituto, una manifestazione di trent'anni di trauma in László Toth e la ramificazione di due guerre mondiali. Abbiamo trovato poetico che i materiali sviluppati per la vita durante la guerra siano stati poi incorporati in residenze e progetti aziendali negli anni Cinquanta e Sessanta da artisti del calibro di Marcel Breuer e Le Corbusier... È un periodo che mi ha sempre affascinato, principalmente per il modo in cui la psicologia del dopoguerra ha avuto questa straordinaria impronta e influenza sull'architettura del dopoguerra... La verità è che la maggior parte degli architetti ebrei dell'Europa orientale o centrale rimasti bloccati in Europa durante la guerra non ne uscirono vivi... La storia racconta trent'anni della vita di un architetto che era ben affermato prima della seconda guerra mondiale. Lui e sua moglie rimangono bloccati nel pantano della guerra ed emigrano separatamente in America: László alla fine degli anni Quaranta ed Erzsébet alla fine degli anni Cinquanta. 'The Brutalist' parla essenzialmente di László che cerca di ristabilirsi in America dopo essere stato separato dalla moglie per un decennio".
Il regista e co-sceneggiatore Brady Corbet
(The Brutalist; Regno Unito 2023; drammatico; 215'; Produz.: Andrew Lauren Productions, Brookstreet Pictures, Carte Blanche in associazione con Killer Films, Madants, Yellow Bear Films; Distribuz.: Universal Pictures)
Miglior film drammatico
Miglior regista a Brady Corbet
Miglior attore in un film drammatico ad Adrien Brody
Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Felicity Jones
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Guy Pearce
Candidatura per la migliore sceneggiatura a Brady Corbet e Mona Fastvold
Candidatura per la migliore colonna sonora a Daniel Blumberg
2025 – Critics' Choice Awards
Candidatura per il miglior film drammatico
Candidatura per il miglior regista a Brady Corbet
Candidatura per il miglior attore ad Adrien Brody
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Guy Pearce
Candidatura per la miglior sceneggiatura originale a Brady Corbet e Mona Fastvold
Candidatura per la miglior fotografia a Lol Crawley
Candidatura per il miglior montaggio a Dávid Jancsó
Candidatura per la miglior colonna sonora a Daniel Blumberg
Candidatura per la miglior scenografia a Judy Becker
2025 – Independent Spirit Awards
Candidatura per il miglior regista a Brady Corbet
2024 – Mostra internazionale d'arte cinematografica
Leone d'argento - Premio speciale per la regia a Brady Corbet
In concorso per il Leone d'oro
2024 – Chicago Film Critics Association Awards
Miglior film
Miglior attore ad Adrien Brody
Candidatura per il miglior regista a Brady Corbet
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Guy Pearce
Candidatura per la miglior sceneggiatura originale a Brady Corbet e Mona Fastvold
Candidatura per la miglior fotografia a Lol Crawley
Candidatura per il miglior montaggio a Dávid Jancsó
Candidatura per la miglior colonna sonora originale a Daniel Blumberg
Candidatura per la miglior scenografia a Judy Becker
2024 – Gotham Independent Film Awards
Candidatura per la migliore interpretazione protagonista ad Adrien Brody
Candidatura per la migliore interpretazione non protagonista a Guy Pearce
2024 – New York Film Critics Circle Awards
Miglior film
Miglior attore protagonista ad Adrien Brody
Cast: Adrien Brody (László Tóth) Felicity Jones (Erzsébet Tóth) Guy Pearce (Harrison Lee Van Buren) Alessandro Nivola (Attila) Raffey Cassidy (Zsófia) Joe Alwyn (Harry Lee) Jonathan Hyde (Leslie Woodrow) Emma Laird (Audrey) Stacy Martin (Maggie Lee) Isaach De Bankolè (Gordon)
Musica: Daniel Blumberg; Steve Single, Szabolcs Gáspár (suono)
Costumi: Kate Forbes
Scenografia: Judy Becker
Fotografia: Lol Crawley
Montaggio: Dávid Jancsó
Scheda film aggiornata al:
12 Febbraio 2025
Sinossi:
In breve:
Il film racconta 30 anni nella vita di László Tóth (Adrien Brody), un architetto ebreo di origine ungherese sopravvissuto all'Olocausto. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, emigrò negli Stati Uniti con sua moglie Erzsébet (Felicity Jones) per sperimentare il "sogno americano". László inizialmente sopporta povertà e umiliazione, ma presto ottiene un contratto con un misterioso e ricco cliente che cambierà il corso della sua vita.
Così, quando il visionario architetto László Toth (Adrien Brody) e sua moglie Erzsébet (Felicity Jones) fuggono dall'Europa per ricostruire la loro eredità e assistere alla nascita dell'America moderna, le loro vite vengono cambiate per sempre da un cliente misterioso e ricco. L'industriale, apparentemente affascinante, Harrison Van Buren (Guy Pearce) offre a László e alla sua famiglia il sogno americano su un piatto d'argento, commissionandogli di progettare un grande monumento modernista e contribuire a modellare il paesaggio del paese che ora chiama casa. Sarà il progetto più ambizioso della sua carriera, quello che porterà László ed Erzsébet a livelli monumentali e bassi devastanti.
In dettaglio:
Primo tempo: L'enigma dell'arrivo
Nel 1947, l'ebreo ungherese László Tóth, scampato a Buchenwald, emigra negli Stati Uniti. L'Olocausto l'ha separato dalla moglie Erzsébet, che a lungo aveva creduto morta a Dachau e ora invece gli scrive da un campo profughi dell'Armata rossa promettendogli di riabbracciarlo non appena otterrà anche lei il visto. Uno stimato architetto del Bauhaus prima dell'ascesa del nazismo, László va a vivere a Filadelfia dal cugino Attila Molnár, immigrato prima della guerra e assimilatosi alla gente del posto, anglicizzando il suo cognome in Miller e sposando la cattolica Audrey. Per dargli una mano, Attila gli trova lavoro nel suo negozio di mobili, dove László si cimenta, con perplessità da parte di Audrey, in piccoli progetti di design d'interni in cui dà prova delle sue nuove sensibilità brutaliste nate dall'esperienza dell'Olocausto, mentre le Nazioni Unite ratificano il piano di partizione della Palestina. Nel frattempo, László stringe amicizia con Gordon, un senzatetto di colore con un figlio a carico. La grande occasione per i due cugini sembra arrivare quando Harry Lee Van Buren, giovane rampollo del magnate Harrison, gli chiede di ristrutturare lo studiolo del padre nella sua tenuta a Doylestown per fare una sorpresa a quest'ultimo. Impiegando anche Gordon come manovale, László rinnova l'ambiente da cima a fondo, trasformando l'angusto studiolo in uno spazio arioso e austero tramite l'uso di librerie a scomparsa. Tuttavia, Harrison rincasa prima del previsto e, trovando la villa messa a soqquadro da degli sconosciuti, si infuria e li caccia via prima che possano finire il lavoro. Vista la mala parata, Harry si rifiuta di pagare Attila per le costose migliorie che László l'aveva convinto ad approntare. A peggiorare le cose, Audrey, che non sopporta più quel forestiero che turba la loro esistenza borghese, convince il marito di essere stata insidiata da László, che viene cacciato di casa dal cugino.
Tre anni dopo, László è diventato un eroinomane che vive in un dormitorio assieme a Gordon e si mantiene spalando carbone. Un giorno, riceve la visita di Harrison, che si scusa per quanto accaduto e lo paga per il lavoro; dopo che il suo nuovo studiolo è diventato all'ultimo grido tra l'alta società, l'uomo si è informato sul conto di László, scoprendo il suo illustre passato in Europa. Lo invita a un ricevimento nella sua villa, dove lo presenta a tutta la famiglia e gli commissiona un ambizioso progetto con cui lasciare un'eredità come architetto: un monumentale centro ricreativo polivalente intitolato alla memoria di sua madre e costruito senza badare a spese lì a Doylestown. László accetta, ma deve combattere contro lo scetticismo dei cittadini per poter costruire l'Istituto Van Buren in calcestruzzo a nudo, anziché con materiali più pregiati. Mentre cominciano i lavori, riceve da Erzsébet la notizia che lo raggiungerà presto negli Stati Uniti grazie all'intercessione degli influenti Van Buren.
Secondo tempo: Il nocciolo duro della bellezza
Nel 1953, László può finalmente riabbracciare Erzsébet, accompagnata dalla nipote adolescente Zsófia, rimasta orfana. Scopre però che, a causa delle sofferenze patite in guerra, Erzsébet è ridotta in sedia a rotelle dall'osteoporosi causata dalla denutrizione, mentre Zsófia ha smesso di parlare. I tre si stabiliscono in una casa accanto al cantiere, dove intanto i lavori proseguono, non senza difficoltà: dopo aver scoperto che l'appaltatore dei Van Buren ha apportato delle modifiche al progetto per rientrare nei costi, László decide di devolvere il suo stipendio alla realizzazione dell'Istituto secondo il progetto originale. Le sue scelte creative, persino la bizzarra aggiunta di un sistema di gallerie sotterraneo, vengono difese da Harrison, che lo trova una compagnia intellettualmente stimolante fra tanti lacchè intimoriti dalla sua fortuna, ma spesso si stanca di questo suo "passatempo colto" e lo sottopone, come anche Harry, a crudeli esternazioni xenofobe e classiste, forte della sua posizione di potere. Il giorno dell'inaugurazione ufficiale del cantiere, Harry molesta Zsófia e informa László che è a malapena tollerato lì. Quando un treno che trasportava materiali di costruzione deraglia, uccidendo dei macchinisti, Harrison decide di averne abbastanza e annuncia la chiusura del cantiere, nonostante le proteste di László.
Nel 1958, i Tóth si sono trasferiti a New York, dove László lavora come progettista in uno studio ed Erzsébet scrive per una rubrica giornalistica. Zsófia, che ha ricominciato a parlare, aspetta una figlia, ma delude gli ideali cosmopoliti degli zii quando annuncia loro che lei e il marito faranno l'Aliyah, andando a vivere a Gerusalemme. Quando László viene informato che Harrison ha intenzione di ricominciare i lavori, in lui si riaccende l'ossessione. I due volano a Carrara per comprare il marmo con cui László vuole costruire l'altare al centro dell'Istituto. Concluso l'affare, László si unisce a una festa locale, ma Harrison lo sorprende nottetempo ubriaco e drogato tra i marmi della cava e lo stupra, accusandolo di essere un parassita e, come tutti gli ebrei, provocare così l'odio nei propri confronti. Tornato a Doylestown, László si chiude in sé stesso, trascurando Erzsébet, smettendo di frequentare la sinagoga e dedicandosi anima e corpo al completamento del progetto, arrivando a licenziare Gordon in un momento d'ira. Comincia a somministrare dell'eroina ad Erzsébet per alleviarne i dolori dell'osteoporosi per cui non hanno più i farmaci, ma finisce per mandarla in overdose: in ospedale, Erzsébet gli propone di trasferirsi in Israele e lui accetta. Tempo dopo, Erzsébet, in via di guarigione, si presenta a villa Van Buren e accusa di fronte a tutti Harrison dello stupro. Harry la rimuove di peso dalla stanza, per poi accorgersi che suo padre è sparito: dopo averlo cercato per tutta la tenuta, una squadra di soccorso setaccia palmo per palmo il cavernoso capolavoro architettonico di László, ormai quasi ultimato, scoprendovi il cadavere di Harrison.
Epilogo
Nel 1980, alla 1ª Mostra internazionale di architettura di Venezia, viene dedicata una retrospettiva alle opere di László, ormai anziano e vedovo, tra cui l'Istituto Van Buren, terminato un decennio dopo i fatti. Zsófia, ora adulta, legge un discorso in sua vece, su di come avesse progettato l'Istituto ispirandosi ai campi di sterminio dove lui ed Erzsébet erano stati rinchiusi, allo scopo di esorcizzare il trauma dell'Olocausto e la loro separazione. Conclude con una frase che lo zio soleva ripeterle: «conta la destinazione, non il viaggio».
Storyline:
Part 1: The Enigma of Arrival
Hungarian-Jewish architect László Tóth, forcibly separated from his wife Erzsébet and his niece Zsófia in Budapest during World War II and the Holocaust, manages to emigrate to America. He travels to Philadelphia, where his immigrant cousin Attila and Audrey, his American wife, run a furniture store and they allow him to stay with them while he looks for employment.
In 1947, as László helps with his cousin’s business, he and Attila are commissioned to renovate the study and library room of wealthy industrialist Harrison Lee Van Buren by his son, Harry, as a surprise to his father while he is away on business. Harrison arrives home furious at the state of the renovations, ordering László and Attila out. After Harrison refuses to pay for the labor and materials and Audrey falsely claims László made advances towards her, Attila evicts him from their home.
Years later, László is living with and working in a shipyard alongside Gordon, a poor African-American man trying to raise his young son. One day, Harrison locates László at work and takes him out to lunch, where he reveals that his modern study/library has been lauded by the architectural community. After discovering László’s past in Europe as an accomplished architect, Harrison invites László to live at his estate and commissions him to construct a community center in honor of his late mother featuring a library, a theater, a gymnasium, and, most importantly, a chapel. For László’s services, Harrison’s personal lawyer is able to expedite Erzsébet and Zsófia’s immigration to America.
Part 2: The Hard Core of Beauty
In 1953, László greets Erzsébet and Zsófia at the train station, where he learns that, due to the conditions and traumas suffered in the war and its aftermath, Erzsébet has developed osteoporosis and Zsófia has become mute. During construction of the center, László learns of changes to the design and materials made without his approval and butts heads with the other developers. Though László intends to pay out of pocket for the necessary materials necessary to his intended vision, Harry warns him to stay in his place, saying he’s merely "tolerated". Sometime later, the train carrying László’s materials crashes and derails, critically injuring two brakemen. With the expected legal fees and the cost it would take to transport the materials up, Harrison abandons the construction and lays off all workers, including Gordon.
Years later, László has been employed by an architecture firm in Philadelphia, where he and Erzsébet now live. Zsófia, having overcome her muteness, is expecting a child with her new devoutly Jewish husband. She announces to her aunt and uncle that they are moving to Jerusalem in the then-newly established state of Israel, urging them to come with them to no avail. One day, Harrison contacts László to inform him that, by forgoing his community center’s library to cover legal expenses from the train crash, they can resume construction while staying on budget.
In order to acquire cheap stone to complete the building, László contacts an old Italian ally whose antifascist militia has taken control of one of Italy’s quarries, and allows them to take its stone. During a party the night before László and Harrison return to America, Harrison finds a drunken László deep inside the quarry where, as a show of dominance, he anally rapes him and berates him for wasting his potential. A traumatized and anxious László later viciously yells at a worker playing on the scaffolding, creating a scene in front of his wife and avoiding a meeting with a developer.
After Erzsébet runs out of pain medication for her osteoporosis, László begins injecting her with heroin, which he developed an addiction to on the boat to America, and she nearly overdoses one night. Erzsébet, sickened by America, proposes to live in Jerusalem with Zsófia, her husband, and their grandniece; László accepts. One night, Erzsébet pays Harrison a visit during a business dinner at his home and declares him a rapist in front of his children and associates. After Erzsébet is dragged shouting from the dining room and ejected from the house, Harry and his sister, Maggie, notice Harrison is not in the house. Following a manhunt that lasts until the following morning, Harrison’s body is seemingly found inside the chapel.
Epilogue
In 1980 Venice, an exhibition of László’s designs and buildings (including the community center which finally completed construction over a decade after it was halted) paying tribute to a now-elderly László is held, Erzsébet having died sometime earlier. A now adult Zsófia gives a speech highlighting the importance and meaning of László’s work and how his family’s experience with the Holocaust shaped it, telling the audience that "it’s not about the journey. It’s the destination".
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Emotivamente e scenograficamente dirompente, dall’anima marcatamente socio-politica, The Brutalist è una pellicola di grande impatto, oltre che di una portata oceanica. Portata che non ha a che vedere tanto con la durata - la bellezza di tre ore e trentacinque! - quanto con il bagaglio a mano dei sensibili registri toccati, che ruotano intorno alla vicenda migratoria personale di un sopravvissuto all’Olocausto, separato con la forza, per un certo periodo di tempo, da moglie e nipote.
L’avvio di questa tentacolare storia nella Storia, talmente pluriarticolata da essere opportunamente suddivisa in capitoli, è da manuale: sono di scena scorci di drammatici eventi di cui sembra vergognarsi persino la fotografia, che tende a nascondere gli orrori nel loro pieno profilo. Ad affiorare sono solo frammenti di persone, di volti, maschere di terrore, nel bel mezzo dello smembramento di famiglie, così come è nelle corde della follia nazista: ed è dall’oscurità e da un
caos frastornante che nasce l’occasione di assimilare pienamente la soggettiva dei protagonisti. Mentre la voce fuori campo in lingua originale ungherese con sottotitoli sarà la formula mantenuta per tutto il film ogni volta che si tratta di lettere, inviate e ricevute: una scelta formalmente ‘verista’ oltremodo coinvolgente. L’altra voce che, intermittente, sopraggiunge in campo, è invece quella radiofonica, atta ad esprimere immagini positive, a promozione del luogo che accoglie gli immigrati: voce accompagnata da immagini riprodotte in formato 70mm.
E’ questa la cornice in cui lo scrittore e regista Brady Corbet (**) (Vox Lux, The Childhood of a Leader- L'infanzia di un capo) incastona la storia, trentennale, di László Toth, architetto ebreo ungherese che, dopo essere sopravvissuto all'Olocausto - scampato a Buchenwald - nel 1947 emigra negli Stati Uniti per iniziare una nuova vita: ed è anche l’Adrien Brody nello stato di grazia più prismatico, così come richiesto dalla complessità
introspettiva del suo personaggio. D’altra parte questo, per Brody, sembra essere un terreno emotivo oltremodo familiare: non certo estraneo al materiale storico e neppure agli accenti dell'Europa orientale, dopo aver vinto l'Oscar come miglior attore nel 2003, per aver interpretato il compositore ebreo polacco, e per l’appunto sopravvissuto all'Olocausto, Wladyslaw Szpilman, ne Il pianista di Roman Polanski. E ora Brody riaccende l’emozione con una storia potente e mastodontica che sente molto anche sul piano personale, perché stavolta racconta molto della sua stessa famiglia, emigrata dall’Ungheria in America, proprio negli stessi anni del film.
Ad ogni buon conto, per László/Brody, il sogno americano avrà un rovescio di medaglia indimenticabile, destinato a cambiarne per sempre carattere e rapporti interpersonali. Persino la calorosa accoglienza del cugino Attila (Alessandro Nivola), prenderà una brutta piega, a causa della giovane moglie, la bionda e cattolica Audrey (Emma Laird), intollerante alla presenza di uno straniero ebreo in casa
propria. Ma non solo: la precarietà del rapporto parentale diventa del tutto irreparabile con un incarico di lavoro apparentemente fortunato, commissionato da un committente blasonato, che contro ogni più rosea aspettativa, finisce male, sortendo nella furibonda irritazione del destinatario, al punto da cacciare László/Brody, il cugino Attila/Nivola e la loro squadra, tra cui l’amico acquisito di colore Gordon (Isaach De Bankolè), vedovo e con un figlio a carico, conosciuto da László/Brody alla mensa dei poveri. Il mancato pagamento promesso dal committente sottrae definitivamente a László/Brody ogni sostentamento, costretto ad arrangiarsi sempre più, tra miseria, fame e, di lì a poco, eroina.
E dire che l’enigma dell’arrivo aveva aperto lo spiraglio più luminoso possibile, con la scoperta che la moglie Erzsébet era poi sopravvissuta alla detenzione a Dachau. Occasione per una sequenza che Adrien Brody ha saputo rendere memorabile al climax della commozione e di un realismo che surclassa l’interpretazione stessa,
per abbracciare il pianto a dirotto di una gioia incontenibile, quello della vita vera. Ora Erzsébet gli scrive da un campo profughi dell'Armata rossa promettendogli di riabbracciarlo non appena otterrà anche lei il visto. Sarà d’altra parte lunga l’attesa per una ricongiunzione familiare negli Stati Uniti, con la moglie ancora intrappolata, dopo la guerra, nell'Europa orientale, insieme alla nipote adolescente Zsófia (Raffey Cassidy). E sarà scioccante per László/Brody il momento in cui, tre anni più tardi, potrà realizzarsi questa ricongiunzione, per una rivelazione del tutto inaspettata dello status della moglie, a lui sconosciuto: Felicity Jones nei panni di quella moglie, già giornalista professionista, esperta di Affari Esteri, entra in gioco solo a metà film, eppure diventa sempre più centrale nel dipingere la drammatica messa a fuoco del profondo cambiamento di entrambi i coniugi, che non sanno più bene come prendersi.
Ciò che László/Brody trova dunque al suo arrivo in Occidente è
un'America molto diversa da quella che si aspettava. La promessa del Sogno Americano si rivela illusoria poiché la sua statura e reputazione di architetto di successo a Budapest non si traduce nell'ambiente dell'alta società della Pennsylvania. Ma c’è un personaggio, il padre del committente blasonato, il ricco industriale Harrison Lee Van Buren (il villain perfetto per Guy Pierce) che, dopo la prima sfuriata e cacciata dalla proprietà, chiede un nuovo incontro con László/Brody, offrendogli patrocinio e protezione con un nuovo incarico: la costruzione di un Memoriale, di fatto un centro ricreativo polivalente, per la defunta madre nella sua tentacolare proprietà in Pennsylvania. Ma, com’è ben noto, non è tutto oro quel che luccica, e l’oligarca committente, non brilla solo per la sua generosità, quanto piuttosto per un dualismo di personalità alquanto sconcertante, tra corruzione, doppiogiochismo e un buon grado di meschinità pronta ad emergere sempre nelle occasioni meno opportune, in
cui il povero László/Brody si ritrova sempre più spesso a masticare i bocconi amari dell’umiliazione pubblica. E l’umiliazione privata è ancora peggiore, come emergerà più tardi, al netto di una scena madre in odore di denuncia, proprio nella villa dell’oligarca, tramite una visita a sorpresa da parte di Erzsébet/Jones.
La regia sceglie dove prendersi tutto il tempo possibile, magari peccando di prolissità - nelle feste, nelle bevute e nel sesso occasionale - mentre magari preferisce agire per sottrazione, sfumando sugli agganci in cui si annida un risvolto narrativo esplicativo di certi fatti, cui si arriva solo per intuizione. Ma è certo che nei trent’anni di un’esistenza estraniante in cerca una nuova sopravvivenza senza rinunciare alla propria identità professionale e personale, László/Brody si ritrova sempre più frustrato, arrabbiato, perché l’oligarca committente non manca di sferragli tiri mancini più o meno gravi, tra cui mettergli alle calcagna un supervisore di conti nella mastodontica
realizzazione del Mausoleo. Mausoleo che nelle mani dell’Architetto László/Brody assume sempre più le sembianze di un passato che parla al presente: spazi angusti a rievocazione di quelli nei campi di concentramento, ma con i soffitti alti della speranza, di chi ha tutto il diritto di poter guardare oltre. Quel Mausoleo, che si lascia dunque edificare non senza aspri contrasti e lunghe interruzioni, trova nello stile essenziale affidato ai materiali netti e crudi, privi di orpelli decorativi, motivazione e identità artistica nel titolo stesso del film, The Brutalist, radicato proprio nell’Architettura cosiddetta ‘brutalista’ (*), appunto, che qui diventa peraltro l’altra grande protagonista del film. Rigorosa ed ambiziosa al punto da necessitare un viaggio in Italia, a Carrara: occasione ghiotta per la regia di ostentare i meravigliosi scenari delle cave da cui sarà tratto il marmo per l’altare di quel Mausoleo. L’architettura, in fin dei conti, è ciò che l’uomo lascia a
testimonianza del suo passaggio sulla terra - così come l’Arte in senso lato - e se la dilaniata parabola esistenziale di László/Brody conta ben poco di eroico, con più cadute, fallimenti e vulnerabilità, che non rettitudine, l’innegabile talento e il successo delle sue opere, celebrato molti anni avanti nel cuore dell’epilogo del film - vale a dire nel 1980, alla 1ª Mostra internazionale di architettura di Venezia, dove viene gli dedicata una retrospettiva - lo conferma. A quel punto vedovo, anziano ed infermo, László/Brody viene celebrato pubblicamente per la sua opera con il discorso introduttivo di presentazione da parte della nipote, ormai madre di una figlia adolescente. Discorso che affonda nei più intimi significati di un’Arte che riflette la vita: un’esistenza in cui quell’Arte è stata scippata, negata, restando incompresa. Un’Arte che racchiude il senso di tante sofferenze, di un profondo tormento, e della resilienza che hanno pervaso l’intero percorso
del suo artefice, perché nella vita “conta la meta, non il viaggio”.
Le fondamenta L'architettura brutalista entrò in voga nel Regno Unito negli anni Cinquanta, tra i progetti di ricostruzione del dopoguerra. Costruzioni minimaliste che mettono in mostra elementi spogli come cemento o mattoni a vista, il brutalismo enfatizza gli elementi strutturali rispetto al design decorativo, come dimostrato nelle opere di Le Corbusier, Marcel Breuer, William Pereira, Moshe Safdie, Denys Lasdun e Alison & Peter Smithson. Corbet e Fastvold rimasero affascinati dall'architettura brutalista per la sua risonanza fisica e psicologica a partire dagli anni Cinquanta.
(**) Brady Corbet una regia navigata nel confronto con i momenti decisivi del XX secolo
Corbet ha realizzato due lungometraggi precedenti, entrambi film storici: The Childhood of a Leader – L'infanzia di un capo (2015), la storia di un giovane americano in Francia che cresce fino a diventare un dittatore fascista,
è ambientato tra il 1918 e il 1940; il suo seguito, Vox Lux (2018), è ambientato tra il 1999 e il 2017, e segue l'ascesa di una pop star americana sullo sfondo della violenza delle armi da fuoco e degli attacchi terroristici dell'11 settembre. I lungometraggi di Corbet si confrontano con i momenti decisivi del XX secolo. The Brutalist, la sua opera più costosa fino ad oggi, si concentra principalmente sull'era di metà secolo nella vita americana ed europea - il decennio immediatamente successivo alle due guerre mondiali.
Commenti del regista
"Quando si redige una dichiarazione formale o una nota d’intenti è consuetudine illustrare i temi o l’estetica di un film, ma dopo quasi un decennio passato a cercare di far partire questo progetto vorrei invece cogliere qui l’occasione per ringraziare tutti e ciascuno dei collaboratori che hanno reso possibile il 'film impossibile'. Il mio cast, la mia troupe, la mia famiglia: le parole non bastano. È un onore e un privilegio portare 'The Brutalist' al pubblico dell’81. Mostra del Cinema di Venezia in 70mm."
Il regista e co-sceneggiatore Brady Corbet