I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Da Venezia 80. - Tratto dal romanzo Il seminatore di Mario Cavatore, il nuovo dramma di Giorgio Diritti ci obbliga a rivedere il concetto dei confini tra bene e male attraverso le vicissitudini di un nomade molto legato alla sua famiglia - Dal 9 Novembre
"È stato un bel viaggio nel tempo, tra volti e luoghi bellissimi... ed un po' nomadi come Lubo il protagonista di questo film, abbiamo viaggiato tra Svizzera e Italia (Piemonte, Alto Adige e Trentino,) camminando sui suoi passi nelle sue sofferenze nelle lotte e follie di un uomo alla ricerca di una giustizia e di una nuova vita. Un bel lavoro di squadra, grazie alla determinazione e passione delle società produttrici e del bellissimo cast artistico e professionale''.
Il regista e co-sceneggiatore Giorgio Diritti
Si racconta la storia di Lubo Moser, un giovane jenisch, ovvero un appartenente a una delle popolazioni nomadi definite "zingare". L'uomo ha un carattere forte e al tempo stesso allegro, è molto legato alla sua famiglia, formata dalla moglie Mirana e dai loro tre figli. A Lubo la vita nomade non pesa, anzi adora essere libero spostarsi di volta in volta con il carro e racimolare denaro suonando la fisarmonica nei suoi spettacoli in piazza.
Siamo negli anni Trenta e dalla Germania soffia un vento di guerra, che si ripercuote su ogni frontiera europea. In questo clima teso il governo svizzero dichiara la mobilitazione dei suoi cittadini maschi, compresi gli zingari. È così che Lubo si ritrova in divisa con il compito di controllare e difendere i confini. L'uomo accetta di sottostare ai comandi dei suoi superiori, convinto che quella situazione, che vive come una prigionia, prima o poi finirà e lui potrà tornare alla vita di sempre.
Una notte Lubo riceve la visita di suo fratello, giunto per portagli tragiche notizie dal campo nomadi dopo l'intervento della polizia. Una parte di Lubo sembra morire per far posto a un uomo diverso, mosso da una sete di vendetta, che lo porterà a pronto a riformulare il senso di giustizia e a riconsiderare quel labile confine tra bene e male.
Lubo loses his family at the hands of an organization based on the principles of eugenics. His revenge will have unexpected implications, reconsidering the blurred lines between good and evil.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Ogni Paese hai suoi scheletri nell’armadio, anche la civilissima Svizzera! E non si tratta di una questione d’epoca - siamo nel 1939, in odore di guerra, e con l’impellente necessità di difendere i confini - ma di principio. Eppure è proprio il principio a non avere senso. E’ bene sapere che l’incredibile vicenda di Lubo raccontata da Giorgio Diritti (L'uomo che verrà , Un giorno devi andare, Volevo nascondermi) scaturisce dalla volontà di denuncia di un vergognoso capitolo di Storia che radica in un’operazione indegna ai danni dei popoli nomadi. Operazione giustificata dal fatidico programma di rieducazione nazionale della Kinder der Lanstrasse, vera e propria organizzazione attivata allo scopo di fare pulizia etnica, appunto. Col sostegno del governo distruggere le famiglie nomadi diventa più facile. E la distruzione è tanto spietata quanto sottile: esiste una violenza peggiore di quella fisica, ed è quella perpetrata alla psiche e al cuore, con la
sottrazione alla famiglia nomade dei propri figli. L’intenzione non era tanto prendersene cura quanto impedirne la riproduzione genetica e far terminare l’etnia.
nei sottotitoli per la lingua. Ma è proprio da un’atmosfera così serena, confortata dalla presenza e collaborazione di moglie e figli, che nasce la tragedia: di lì a poco la vita di Lubo/Rogowski prende una piega inaspettata, con il reclutamento immediato per la difesa dei confini. Curiosa faccenda quella di servire il governo che come ringraziamento, ti distrugge la famiglia! Quando gli viene comunicato dal cugino che gli hanno portato via i figli e che la moglie, intervenuta per impedirlo, è caduta battendo la testa ed è morta, per Lubo si apre una voragine e sarà disposto ad uccidere per appropriarsi di una nuova identità ed attuare la sua vendetta. Implacabile e sottile di cui esprime l’essenza il titolo del romanzo di Mario Cavatore da cui è tratto il film: Il seminatore. Per contraltare, Lubo spargerà difatti il proprio seme, ingravidando signore dell’alta società , mentre, disperatamente, cerca tracce dei suoi
figli. Figli che non troverà mai e di cui non saprà mai nulla, neanche quando un poliziotto con un rigurgito di coscienza - a seguito della documentazione fornitagli da Lubo su altre famiglie nomadi oltraggiate allo stesso modo - scoprirà come sono andate le cose. Meglio non rivelare una realtà troppo tragica per essere metabolizzata da un padre.
Giorgio Diritti ha dunque puntato un faro di luce su un capitolo di Storia poco conosciuto e di cui si è parlato poco, e si è preso tutto il tempo necessario per far assimilare la personalità del personaggio, in continua trasformazione sull’onda degli eventi, animata da una sofferenza compressa, anche quando si imbatte in una seconda possibilità di amare e di riattivare un nucleo familiare con Margherita (Valentina Bellè). La sua forzata distanza a seguito dell’incarcerazione, è destinata a generare altro dolore e a questo genere di storie non è mai concesso il
lieto fine, soprattutto se in linea verista come questa. Non resta che prenderne atto.