RECENSIONE - Inedito al cinema in Italia - Disponibile in Streaming - Uscito negli USA il 28 Ottobre 2022 - Elizabeth Banks, Sigourney Weaver, Kate Mara, Chis Messina, in un dramma che vede sullo sfondo una gravidanza indesiderata e l'aborto illegale.
Cast: Elizabeth Banks (Joy) Sigourney Weaver (Virginia) Kate Mara (Lana) Chris Messina (Will) Grace Edwards (Charlotte) Cory Michael Smith (Dean) John Magaro (Detective Chilmark) Aida Turturro (Sorella Mike) Wunmi Mosaku (Gwen) Evangeline Young (Maeve) Kristina Harrison (Clare) Rebecca Henderson (Edie) Alison Jaye (Sandra) Bianca D'Ambrosio (Erin) Geoffrey Cantor (Dr. Falk) Cast completo
Brett Bartholomew (Giovane poliziotto)
Musica: Isabella Summers
Costumi: Julie Weiss
Scenografia: Jona Tochet
Fotografia: Greta Zozula
Montaggio: Peter McNulty
Makeup: Missy Scarbrough (direzione)
Casting: Sheila Jaffe e Bryan Riley
Scheda film aggiornata al:
03 Novembre 2023
Sinossi:
In breve:
Joy (Elizabeth Banks), una casalinga tradizionale negli Stati Uniti negli anni '1960, scopre di essere incinta di un secondo figlio, ma che la gravidanza minaccia la sua vita. Dopo che il consiglio di amministrazione del suo ospedale, composto da soli uomini, ha negato la sua richiesta di aborto, è stata coinvolta nel Jane Collective (diretto dalla Virginia di Sigourney Weaver), una rete di donne clandestine di Chicago che si è assunta dei rischi per aiutare le donne a ottenere aborti sicuri e illegali, a partire dalla fine degli anni '1960 e fermandosi solo nel 1973 con la sentenza Roe v. Wade.
Short Synopsis:
A married woman with an unwanted pregnancy lives in a time in America where she can't get a legal abortion and works with a group of suburban women to find help
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Potrebbe apparire come scorcio retrò sui diritti delle donne all’aborto, ma se, come pare, qualche eminenza grigia maschile statunitense, ha voglia di rimettere in discussione una legge oramai acquisita da tempo, allora forse questo Call Jane giunge a proporre una riflessione non poi così obsoleta. Peccato che, per quanto ispirata ad una storia vera, risulti comunque una pellicola debole e decentrata, a dispetto delle più che nobili interpretazioni di Elizabeth Banks e di Sigourney Weaver, che si sono prestate per contribuire alla causa, senza poter evidentemente intervenire sulle coordinate di scrittura, condotte dalla regista e sceneggiatrice teatrale e cinematografica statunitense Phyllis Nagy (Mrs. Harris, Carol).
I tempi cinematografici sono dilatati come a ricalcare la soggettiva della percezione di Joy (Elizabeth Banks), una ‘casalinga tipo’ nell’America degli Anni Sessanta, con una figlia adolescente e il marito avvocato assorbito dal lavoro quanto basta a delegare la gestione della quotidianità interamente dalla moglie. Epoca
in cui la solidarietà tra vicine (la giovane vedova Lana di Kate Mara) era incondizionata e irrorata di reciproca comprensione. I problemi iniziano per Joy/Banks quando scopre che sta mettendo a rischio la propria salute, in coda al fatto di essere di nuovo incinta del secondo figlio. Era l’epoca in cui la prospettiva dell’interruzione di gravidanza non solo era illegale ma improponibile di fronte al muro di totale rifiuto, senza se e senza ma, da parte della Chiesa. Il che aveva il suo peso, tant’è che, una commissione legale composta da soli uomini - il consiglio di amministrazione del suo ospedale - nega del tutto a Joy/Banks l’opzione aborto, per quanto mirato a salvaguardare la sua stessa salute. Paradosso nel paradosso, quando da parte di un medico donna di psichiatria, si vede proporre la possibilità di ‘architettare’ la condizione di aborto spontaneo, provocando una caduta dalle scale: “Con me ha
funzionatoâ€. Ecco con quale scenario si scontra Joy/Banks prima che si imbatta in un avviso speciale alla fermata dell’autobus. Avviso cui ammicca il titolo stesso del film e che suggerisce: “Call Janeâ€.
“Chi è Jane?†chiede Joy/Banks a una portavoce del Jane Collective. Sarà più tardi Virginia (Sigourney Weaver), la guida anziana di un nutrito gruppo di sostegno, a risponderle in merito: “Siamo tutte Janeâ€. Il Jane Collective era difatti l’identità di una rete di donne clandestine di Chicago che si è assunta dei rischi per aiutare ad ottenere aborti sicuri e illegali, a partire dalla fine degli anni Sessanta, per fermarsi solo nel 1973 con la sentenza Roe v. Wade. Ma il corpo del film percorre il viatico di presa di coscienza di Joy/Blake, al punto da ritrovarsi, a seguito della sua personale interruzione di gravidanza, ad assumere l’improbabile ruolo di prima operatrice sul campo. Il giovane medico, che poi
medico non lo era affatto, diventa l’anima inopportunamente leggera del variegato dramma di moltissime donne, anche molto giovani e con gravidanze non gestibili o, nei casi di stupro, inaccettabili. Non si fa problemi a far battute poco rispettose o addirittura sapide di un umorismo fuori luogo, del tipo, “è agitata come un cane dal veterinarioâ€. La sua priorità è del resto accordata al compenso in denaro, peraltro non di poco conto, considerato l’abuso di esercizio delle funzioni di medico abortista.
Per il resto, il film guarda al problema come ad una questione di tipo pratico e relativamente semplice o, persino, semplicistica, “come svuotare una zuccaâ€. Espressione poco felice che porterà nei fatti Joy/Blake a raccontare una caterva di frottole a marito e figlia per giustificare la frequente assenza da casa, con l’inevitabile ricorso a cene surgelate, pur di potersi fare carico nella pratica, dell’interruzione di gravidanza di centinaia di donne.
tradurrà nel finale in un pieno appoggio: ma solo dopo aver udito con le proprie orecchie i messaggi di queste donne registrati sulla segreteria telefonica. Ed è l’affresco al femminile che si completa, con l’anello di congiunzione multigenerazionale che guarda alle prossime conquiste, ancora in quota rosa. Ma ancora oggi la lotta continua!