"Credo che al cuore del film ci sia una lotta morale e che la sceneggiatura lo riveli quasi subito. Penso sia questa la sfida più grande per i personaggi. Spero che il film sia in grado di mostrare come Cameron sia spinto e tirato proprio da questo dilemma morale. Più ci avvicinavamo al cuore del lavoro, più diventava spaventoso e più grandi diventavano le domande che ci ponevamo. Una sorta di posta in gioco crescente…".
Il regista e sceneggiatore Benjamin Cleary
(Swan Song; USA 2021; Sci-Fi drammatico; 116'; Produz.: Anonymous Content, Apple, Concordia Studio, Know Wonder; Distribuz.: Apple TV+)
Ambientato in un vicino futuro, Il canto del cigno è un viaggio potente ed emozionante raccontato attraverso gli occhi di Cameron (Mahershala Ali), marito e padre amorevole, cui è stata diagnosticata una malattia terminale; quando il suo medico (Glenn Close) gli prospetta una soluzione alternativa al fine di proteggere la sua famiglia dalla sofferenza, si troverà davanti a un bivio. Mentre Cam è alle prese con la scelta se alterare o meno il destino della sua famiglia, impara molto più di quello che avrebbe mai potuto immaginare sulla vita e sull’amore. Il film esplora quanto lontano arriviamo a spingerci e quanto siamo disposti a sacrificare, per rendere la vita delle persone che amiamo più felice possibile.
Synopsis:
In the near future, Cameron Turner is diagnosed with a terminal illness. Presented with an experimental solution to shield his wife and son from grief, he grapples with altering their fate in this exploration of love, loss, and sacrifice.
Set in the near future, "Swan Song" is a powerful, emotional journey told through the eyes of Cameron (Mahershala Ali), a loving husband and father diagnosed with a terminal illness who is presented with an alternative solution by his doctor (Glenn Close) to shield his family from grief. As Cam grapples with whether or not to alter his family's fate, he learns more about life and love than he ever imagined. "Swan Song" explores how far we will go, and how much we're willing to sacrifice, to make a happier life for the people we love
Una premessa fondamentale questa, per comprendere a fondo la riflessione esistenziale che
pulsa come cuore al centro del corpo del film Swan Song, Il canto del cigno appunto, di Benjamin Cleary (premio Oscar per il corto Stutterer), regista, sceneggiatore e produttore irlandese qui al suo debutto in un lungometraggio. Con la sostanziale differenza che, mentre il cigno gioisce, incarnando la linfa più spirituale e poetica del ragionamento filosofico che sta alla radice di tutto, l’uomo si dimostra non solo molto più terreno, ma anche molto meno disposto a distaccarsi dalla vita e dagli affetti di questo mondo per proiettarsi verso l’origine della luce celeste. Ne è la reale dimostrazione il Cameron Turner di Mahershala Ali (Premio Oscar per Moonlight e Green Book), l’attore americano qui eccellente interprete protagonista di un malato terminale e del clone che lo sostituirà nella vita di tutti i giorni.
E’ dunque la storia di un uomo che si trova davanti all’amletico dilemma: raccontare la verità della sua malattia
terminale a moglie e figlio causando loro uno tsunami emotivo e pratico, od evitare il dramma accettando di farsi clonare? In un futuro non troppo lontano potrebbe non essere più una prospettiva fantascientifica e chiunque potrebbe trovarsi di fronte allo stesso dilemma di Cameron/Ali. Un’opportunità o una maledizione? Senza considerare il fattore etico. Non staremo qui a stilare autori più o meno noti che, in vario modo, hanno trattato la questione umano-non umano o pseudo umano e, come in questo caso, umano ricreato di tutto punto, memoria reale compresa nei minimi dettagli, al punto da far impallidire certi antefatti. Per inciso, Il canto del cigno non manca di omaggiare il principe degli antefatti in celluloide: Blade Runner, anche, e non solo, con la comparsa sulla scena di un origami.
Vi diremo piuttosto di un montaggio basculante che alterna i rigurgiti di memoria, nostalgici, di chi ne assapora l’imminente perdita, e di
colui invece, che, al culmine dello smarrimento, li ha appena acquisiti e sa di dover dare loro un degno seguito. E fin qui, con la mediazione del medico di Glenn Close, molto asettico e zen tanto quanto la metafisica clinica-laboratorio futuribile di cui è a capo, le dinamiche sono credibili e funzionanti. L’architettura si inclina invece pericolosamente fino ad incrinarsi quando l’ago della bilancia, in un’ottica quasi sadica, decide di puntare verso una sorta di 'Grande Fratello', in cui il protagonista, osserva come il suo clone se la cava con la moglie Poppy (Naomie Harris) e il suo figlioletto. Così, come stridente ed illogica, si profila la diretta conoscenza del reale Cameron e del suo clone che, per convenzione, viene chiamato Jack, prima che sia definitivamente pronto a prendersi interamente carico dell’identità di Cameron. Ne nasce un comprensibile conflitto condito in salsa melodrammatica. Salsa che per la verità , dilaga qua
e là per tutto il film, e non solo per l’interpretazione un po' troppo leziosa di Naomie Harris come moglie di Cam, in attesa del secondo figlio e già traumatizzata dalla morte precoce del fratello gemello. Lutto che ha peraltro pesato nella comunione di coppia, tanto che, moglie e marito, si sono a lungo rifugiati ognuno nella rispettiva dimensione di artista (disegno e musica).
Il canto del cigno, memore di una pista in celluloide lunga kilometri, percorsa nel tempo sull’argomento, vuol essere dunque l’ennesimo tentativo di riflessione sulla vita e sulla morte, sulla caducità della natura umana e su un futuribile riscatto attraverso l’intelligenza artificiale, immaginata sempre più interscambiabile con l’originale umano, inclusa la dotazione di coscienza. La questione dell’anima è decisamente più complessa e, guarda caso, al cinema non è mai contemplata. Operazione di cui già si intravedono peraltro gli effetti collaterali, non propriamente ortodossi. Come è ovvio che
sia, la tecnica può portarsi molto oltre, la sua gestione invece, può consegnare sul piatto di portata, un conto salatissimo da pagare. Inaccettabile! O forse si?! Esattamente come restare spettatore inerme di una vita che non è più la tua e mai lo potrà più essere. L’uomo sarà mai davvero pronto per un passaggio del testimone di questo genere? Potrà mai rappresentare un’autentica consolazione lo scenario qui proposto di una sorta di staffetta per la vita? Infine, quale etica potrà mai sostenere tutto questo?
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)