Il titolo del film fa riferimento al termine inglese "passing", che si riferisce alla pratica di membri di minoranze, religioni, gruppi etnici oppressi, che fingono di essere bianchi (o comunque membri della cultura maggioritaria) per sfuggire al pregiudizio.
Cast: Tessa Thompson (Irene) Ruth Negga (Clare) Andre Holland (Brian) Bill Camp (Hugh) Gbenga Akinnagbe (Dave) Antoinette Crowe-Legacy (Felise) Alexander Skarsgård (John) Justus Davis Graham (Ted) Ethan Barrett (Junior) Ashley Ware Jenkins (Zulena) Stu S. Becker (Cabbie)
Mixed-race childhood friends reunite in middle class adulthood and become increasingly involved with one another's lives and insecurities. While Irene identifies as African-American and is married to a black doctor, Clare "passes" as white and has married a prejudiced, but wealthy white man.
Il motivo per cui, tanto per rincarare la dose, per il suo primo film da regista la Hall ha scelto la cifra stilistica del bianco e nero di contro al colore.
E’ l’epoca in cui le discriminazioni razziali in America sono all’apice, epoca in cui le persone di colore vivevano riunite in quartieri ‘dedicati’, per così dire, come ad esempio Harlem a New York. Epoca in cui non mancavano occasioni di linciaggio e persecuzione per motivi presunti o ‘confezionati ad hoc’, epoca in cui il colore della pelle faceva davvero la differenza e ogni privilegio, com’è ben noto, era appannaggio dei bianchi. Epoca in cui le opportunità di lavoro, di scuole per l’educazione dei figli od altro, non erano affatto paritarie. Beh, in uno scenario di questo genere, ovvio che la tentazione di ‘mescolare le carte’ per poter ‘passare’ dalla parte in vantaggio sulla corsa della vita, era alquanto forte.
Lo è stato per la Clare di Ruth Negga che la ritroviamo di nuovo a New York biondissima e sufficientemente chiara di pelle da essersi potuta permettere di giocare la carta vincente: si è ‘passata’ per bianca e ha sposato un bianco da cui ha avuto una figlia, fortunatamente nata bianca, andandosene a vivere a Chicago. Il suo comportamento sfrontato e molto snob lascia ben intendere di essersi venduta l’anima per ottenere una vita agiata e libera da ogni vincolo o limitazione. L’incontro con la vecchia amica Irene (per gli amici ‘Rini’) con cui Tessa Thompson si gioca la sua carta migliore in fatto di cifra estatica ed introspettiva - anch’essa sposata e con due figli, coerente con se stessa al punto da vivere ancora ad Harlem una vita serena e dedita alla famiglia - innesca dinamiche relazionali alquanto ‘costruite’, sul filo di un espressionismo esasperato, a tratti flaccido
e stanco, quando non sopra le righe, al punto da partorire ibridazioni un po' surreali: la stessa relazione tra le due donne, per cominciare, interfacciata a quella di Clare/Negga con il marito di Irene/Thompson.
Ad un certo punto tutto diventa meno interessante e persino fuorviante, soprattutto quando lo spaccato sociale perde di spessore, cedendo il passo al thriller. Thriller che ben presto sfocia persino in un improbabile noir di marca hitchcockiana. Epilogo in cui tutto viene livellato, a piano terra, per l’appunto, e stranamente nessuno, dato il contesto, va oltre la mera costatazione dell’accaduto. Ogni dubbio viene dissolto su due piedi e l’indagine - che nella realtà dell’epoca sarebbe stata d’obbligo - muore sul nascere, ben sapendo di appartenere ad un altro film.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)