I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Dal 20 Maggio al cinema - Sergio Castellitto veste i panni di Gabriele D'Annunzio per l'esordiente alla regia per il cinema Gianluca Jodice
Il napoletano Gianluca Jodice (Classe ’73, Cercando la grande bellezza, documentario sul film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino), qui, con Il cattivo poeta, esordisce alla regia e questo grava sulla cadenza un po' troppo flemmatica della pellicola, di cui la parte storica, inclusa la sceneggiatura, fiorita di passaggi alquanto interessanti, si direbbe vincere sulla confezione generale, dai tratti meta cinematografici che pagano pegno al teatro e al piccolo schermo.
Detto questo, la storia non è priva del suo fascino, ed è persino in grado di suggerire molto, richiamando alla memoria comportamenti ed atteggiamenti che, ingenuamente, hanno finito per accordare fiducia a chi fiducia non meritava affatto. Lo sa bene quel giovane, il Giovanni (Gianni) di Francesco Patanè, che, a cominciare dal 1936, si ritrova insignito, a dispetto della sua ‘green age’, di una carica di prestigio e alquanto delicata in pieno fascismo, poco prima che Mussolini facesse il temuto accordo
con Hitler. Già Federale del partito Fascista in quel di Brescia, Comini viene incaricato ben presto dal segretario generale del Partito a Roma Achille Starace (Fausto Russo Alesi) di ‘sorvegliare’ quella mente ‘ribelle’ e incontrollabile di Gabriele D’Annunzio: Sergio Castellitto, realitivamente somigliante al Vate, ne dà comunque un ritratto macchiettistico che decolla solo per dovizia di copione, niente male. La dichiarata contrarietà del poeta Nazionale, il cosiddetto Vate, nei rispetti del famigerato accordo, preoccupa non poco e la priorità ai piano alti sembra essere quella di metterlo in condizione di non nuocere. Ma D’annunzio/Castellitto, che prova immediata simpatia per il giovane Giovanni/Patanè, non solo non è uno sprovveduto, ma è sempre un passo avanti alle mosse governative e, ad un certo punto, dirà apertamente al ragazzo che è perfettamente al corrente del suo vero ruolo al Vittoriale, e, di comune accordo, studiano quel che far sapere a Roma e quello
Al Vittoriale, il disegno politico di cui Comini è solo un piccolo esecutore, inizierà a perdere i suoi solidi contorni e il giovane federale, diviso tra la fedeltà al Partito e la fascinazione per il poeta, finirà non solo per mettere in serio pericolo la sua
Sante e lungimiranti parole quelle di D’Annunzio che, tra un fasullo trastullo e l’altro, aveva sicuramente maturato una sua visione: “E quel che oggi a molti sembra grandezza, non è che prepotenza… E quel che sembra vita, non è che morteâ€. Come dargli torto?!
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)