La follia di Nicolas Cage indotta da un'esplosione di colore aliena - RECENSIONE
"Che cosa sia, Dio solo lo sa. In termini di materia suppongo che la cosa sia un gas, ma obbediente a leggi che non sono quelle del nostro cosmo; non è il frutto dei pianeti o dei soli che splendono nei telescopi […] non è un soffio dei cieli di cui i nostri astronomi misurano i moti e le dimensioni […] era soltanto un colore venuto dallo spazio, messaggero spaventoso degli informi reami dell’infinito, al di là della natura che conosciamo"
(Lo scrittore Howard Phillips Lovecraft nel racconto Il colore venuto dallo spazio, 1927)
(Color Out of Space; USA/PORTOGALLO/MALESIA 2019; Horror, Sci-Fi; 111'; Produz.: SpectreVision/ACE Pictures Entertainment/XYZ Films, in associaz. con BRO Cinema; Distribuz.: Adler Entertainment/CG Entertainment)
Makeup: Abigail Machado (direttrice del reparto trucco); Sandra Meleiro (direttrice del reparto parrucco)
Casting: Danielle Aufiero e Amber Horn
Scheda film aggiornata al:
09 Giugno 2024
Sinossi:
In breve:
La famiglia Gardner si trasferisce in una remota fattoria del New England per sfuggire alla frenesia del XXI secolo. Mentre si adattano a questa nuova vita, un meteorite si schianta davanti alla loro casa e sembra fondersi con il suolo, infettando sia il terreno sia le proprietà dello spazio-tempo con uno strano colore extraterrestre. I Gardner scoprono con orrore che questa forza aliena sta mutando gradualmente ogni forma di vita che tocca… inclusa la loro.
Un tocco di stile che radica nella formazione del regista:
Alla luce del background di un regista come Richard
Stanley (Demoniaca, Harware-Metallo letale, L’isola perduta), sudafricano antropologo per formazione e per pratica - a lungo al fianco della madre, antropologa per l’appunto, in numerosi viaggi di studio - riaffiorano qui i suoi spiccati interessi per folclore e stregoneria, non a caso divenuti centrali nel suo percorso cinematografico, e dunque anche ne Il colore venuto dallo spazio.
Scenario classico con il germe di una contaminazione post moderna:
Tratto dall'omonimo racconto di H.P. Lovecraft The Colour out of Space, la storia si incastona nel più classico degli scenari per dar vita ad un incubo, per l’appunto in una remota fattoria sperduta nel New England, laddove trova rifugio la famiglia Gardner: Nathan (Nicolas Cage) e Theresa (Joely Richardson), con i tre figli Lavinia (Madeleine Arthur), Benny (Brendan Meyer) e Jack (Julian Hilliard). Nessuno di loro può immaginare, neppure lontanamente, quello che sta per accadere, e tantomeno fino a che punto stravolgerà le loro vite.
Un meteorite che va a schiantarsi davanti alla loro casa sembra fondersi con il suolo ed infettare terreno e falde acquifere, materia posta al vaglio del giovane idrologo Ward Phillips (Elliot Knight), dando luogo a strani fenomeni mutageni. Ma quando si verificano effetti mutanti anche nelle coordinate assiali dello spazio-tempo - con quell’inquietante colore viola-magenta declinato in tutte le sue sfumature in movimenti ad effetto - si misura appieno la devastante portata del fenomeno, assolutamente fuori controllo. Una forza aliena mutante così come ogni forma di vita con cui entra in contatto. Occasione ghiotta per effetti visivi che scartano dal digitale pur facendone indubbiamente ricorso, mantenendo sempre viva l’anima spiccatamente ancestrale del film che trova il suo volto simbolo più eclatante nel personaggio del vegliardo Ezdra (Tommy Chong), ahimè destinato a restare nel marginale cono d’ombra dei primi protagonisti.
Quali citazioni?:
Le citazioni a grappolo ne Il colore venuto dallo spazio si
sprecano: Poltergeist, soprattutto per il video televisivo come veicolo di trasmissione e comunicazione con forme aliene o presenze non terrestri, ma anche, se vogliamo, per i rituali (vedi l’indiano nel secondo atto della trilogia) versati a stabilire, in un ancestrale retaggio, un nesso tra l’uomo e la spiritualità della natura e degli animali con cui deve aspirare a vivere in armonia; Alien, per alcuni riferimenti iconografici tentacolari e il concetto di contaminazione fisica e psichica; La cosa (vedi la trasformazione orrorifica, molto carnale e sanguinolenta dei cani nel recinto prima ancora che delle persone); Invasion (originale e remake) con la proliferazione di fiori inediti e mai piantati. Tra i motivi iconografico-iconologici di ritorno anche la gigantesca esplosione che illumina il cielo, mentre abbondano altresì fonti letterarie antiche sui motivi chiave della paura e di iconiche location, elettive per l’orrore in campo. Già in Incontri ravvicinati del terzo tipo poi, i
veicoli primari di intromissioni aliene erano luce e colore invasivi e rumorosi, mentre Il villaggio dei dannati ricorre qui per l’iride luminosa, semplice o doppia nella luminosità amplificata e sinistra. Torna anche l’idea dello stop in cui il protagonista resta in blackout fisico e psichico per un po' di tempo, frazione in cui avviene la contaminazione preannunciando la conseguente trasformazione e propagazione. In alcuni passaggi si richiama in causa persino Blob-Fluido mortale.
Il climax dei climax una sequenza horror particolarmente disturbante:
preciso risultato, rendendo peraltro del tutto plausibile e logica, la pazzia del marito e padre di famiglia (il Nathan di Nicolas Cage).
In conclusione:
Il colore venuto dallo spazio di Richard Stanley si offre in una cifra stilistica che coniuga antico e moderno, mantenendo la supremazia di un’anima rustica che alita su tutta la pellicola dopo esser stata rinvenuta in fondo all’iconico pozzo, e non solo. Un nuovo ibrido in celluloide insomma, giocato tra B movie, vecchio romanzo Sci-Fi, dal retrogusto asprigno come lo stesso colore portabandiera, terreno su cui gli interpreti protagonisti, corazzati di spirito camaleontico, sanno bene come spalmarsi in un corale afflato.