"Il film parla dell’Affare Dreyfus, un soggetto che è rimasto nella mia testa per molti anni. In questo vasto scandalo, probabilmente il più grande della fine del 19° secolo, si intersecano errori giudiziari e antisemitismo. Per dodici anni, l’Affare Dreyfus divise la Francia, portando scompiglio anche nel resto del mondo. Ad oggi è uno dei simboli dell’ingiustizia politica e di cosa si possa arrivare a fare in nome dell’interesse nazionale".
Il regista e co-sceneggiatore Roman Polanski
(J'accuse; FRANCIA/ITALIA 2019; Thriller drammatico storico; 126'; Produz.: Legende e R. P. Productions in co-produzione con Eliseo Cinema e RAI Cinema; Distribuz.: 01 Distribution)
Gennaio del 1895, pochi mesi prima che i fratelli Lumière diano vita a quello che convenzionalmente chiamiamo Cinema, nel cortile dell'École Militaire di Parigi, Georges Picquart, un ufficiale dell'esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all'umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, un capitano ebreo, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi.
Al disonore segue l'esilio e la sentenza condanna il traditore ad essere confinato sull'isola del Diavolo, nella Guyana francese. Un atollo sperduto dove Dreyfus lenisce angoscia e solitudine scrivendo delle lettere accorate alla moglie lontana.
Il caso sembra archiviato.
Picquart guadagna la promozione a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ed è allora che si accorge che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato.
E se Dreyfus fosse stato condannato ingiustamente?
E se fosse la vittima di un piano ordito proprio da alcuni militari del controspionaggio?
Questi interrogativi affollano la mente di Picquart, ormai determinato a scoprire la verità anche a costo di diventare un bersaglio o una figura scomoda per i suoi stessi superiori.
L'ufficiale e la spia, adesso uniti e pronti ad ogni sacrificio pur di difendere il proprio onore.
L'affare Dreyfus è uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia, avvenuto in Francia tra il 1894 e il 1906 e che vide protagonista il soldato ebreo francese Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato di essere una spia e quindi processato per alto tradimento.
Dreyfus sostenne fermamente la sua innocenza combattendo contro un'intera nazione. Il suo caso ebbe una notevole risonanza mediatica dividendo l'opinione pubblica del tempo, tra chi ne sosteneva l'innocenza e chi lo riteneva invece colpevole.
Tra gli innocentisti si schierò Émile Zola, il quale scrisse un articolo in cui puntava il dito contro il clima di antisemitismo imperante nella Terza Repubblica francese. Tale intervento venne intitolato proprio J'Accuse.
Short Synopsis:
In 1894, French Captain Alfred Dreyfus is wrongfully convicted of treason and sentenced to life imprisonment at Devil's Island
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Il tema si presterebbe ma intendiamo soprassedere, ritenendo non sia affatto il caso, e che anzi, sarebbe l’ora di finirla con questa solfa assurda, protratta ad oltranza tanto da aver coperto un’intera vita, all’insegna della persecuzione. Mirata all’emarginazione? Anche se non hanno mancato l’occasione tutti coloro che si sono prodigati in commenti vari sulla valutazione dell’ormai annoso e ben noto ‘incidente’ di molestie sessuali negli Stati Uniti per Roman Polanski, per l’appunto ridicolo alla luce dei decenni trascorsi. Il tema della condanna ingiusta ha fatto evidentemente istituire un parallelo tra il caso Polanski e l’affaire Dreyfus nel film J’accuse (L’ufficiale e la spia) presentato alla 76 Mostra del Cinema di Venezia. E ci mancavano pure le ‘bizze’ di Lucrecia Martel con l’annuncio di non presenziare alla cerimonia di gala per la proiezione del film, salvo poi ritrattare! Cosa assurda, considerato che a un Presidente di Giuria si richiede l’imparzialità , con
l’aggiunta dell’offesa indiretta all’indirizzo di coloro che hanno operato la selezione dei film. Per nostro conto trattiamo solo del film.
vendita d’informazioni segrete alla Germania. Come poi il caso Dreyfus, infangato dell’accusa di alto tradimento, abbia potuto creare un clamore di portata mondiale, dà conto in maniera capillare il film, tenendo a precisare fin dall’inizio che si tratta di personaggi e fatti realmente accaduti. Una macchia nella Storia e nell’esercito, tra le tante purtroppo inanellate nei secoli, mentre si va a dimostrare che la corruzione e la menzogna sono nate con l’uomo. Polanski affronta il racconto in termini di un classicismo rigorosamente storico su ogni registro – dalle ambientazioni, alle scenografie ai costumi con il trucco e parrucco dei personaggi, ma cavalca le note da thriller con le indagini e contro indagini che si dipanano dall’epicentro del caso Dreyfus, intersecandosi l’una sull’altra. Caso che mostra le prime ombre e contraddizioni fin da subito, fregiandosi di scarsa chiarezza in odore di intorbidamento di svariate prove documentarie. Ed ecco che lo scandalo
lievita fino a diventare un caso giudiziario di proporzioni monumentali, soprattutto quando entra in azione il capo dell’unità di controspionaggio militare in Francia Georges Picquart, cui dà corpo massiccio e anima profonda Jean Dujardin. Un ruolo il cui gran peso fisico si fa speculare a quello istituzionale, malgrado si veda scavalcato ripetutamente da chi tenta in ogni modo di scardinare le sue comprovate teorie di innocenza riguardo al condannato Dreyfus. Un personaggio determinato ed integerrimo nella ricerca della verità , cui si affilia la frequentazione di una donna sposata ad un alto ufficiale di Stato: ma nelle vesti di Pauline Monnier, Emmanuelle Seigner si immola ad un ruolo minimale da cameo allargato. Una sorta di inciampo di poco conto se non fosse funzionale all’uso nella storia come motivo di ricatto. L’illecita e clandestina relazione viene difatti tirata in ballo per ricattare ed incastrare Picquart, screditando la sua persona e, di conseguenza,
le sue velleità di innocenza appuntate su Dreyfus. Passeranno in rassegna numerose arringhe inquisitorie in svariate aule di tribunale - in cui si consumano passaggi anche suggestivi - e un ventaglio di operazioni di spionaggio reciproco, di ufficio in ufficio, di casa in casa.
Eppure, a dispetto della solida sceneggiatura di Robert Harris, che è tornato a collaborare con Polanski dopo L’uomo nell’ombra - il film è tratto da L’ufficiale e la spia (The Dreyfus Affair), in Italia edito da Mondadori - non si può affermare che questo J’accuse scivoli via come l’olio. Anzi, si direbbe che soffra di ripetuti ingolfamenti, con un discreto contributo dell’uso di flashback in seno alla racconto che, se funzionano alla grande in una storia cinematografica comune, in un film storico in costume tendono a confondere le acque. Inoltre, fatta eccezione del protagonismo quasi assoluto di Picquart/Dujardin, il resto dei personaggi sembrano trovarsi spesso ammassati
dietro l’anonimato conferito loro dalle stesse impeccabili ed inamidate uniformi militari. Del resto, è la battaglia del singolo contro il sistema ad essere voluta in primo piano. Un sistema che già allora indossava la faccia più conveniente, di copertina, integra e pura, quando sotto la maschera apparente si nascondeva quella vera, escoriata di tutte le macchie possibili. Puntando il dito sull’alto tradimento di un innocente si cercava di sviare lo sguardo dall’alto grado di corruzione e clientelismo del governo francese. E Polanski non manca di veicolare l’affaire Dreyfus in tutti i dintorni e contorni, dando il giusto risalto al tracciato stampa, vale a dire il riflesso privilegiato dell’eco pubblica derivato dalla gogna mediatica alimentata quotidianamente anche all’epoca. Gogna esplosa e riassorbita fino alla verità finalmente rivelata, sulla scia dell’articolo di giornale che dà il titolo al film: il J'accuse di Emile Zola pubblicato su "L'Aurore".