Da -Cannes 72 - Tra i più attesi!!! - RECENSIONE - Dopo Django Unchained si riforma la coppia Leonardo DiCaprio e Quentin Tarantino per una storia che ha per sfondo il noto omicidio di Sharon Tate (all'epoca la moglie incinta di Roman Polanski e nel film interpretata da Margot Robbie), per mano di Charles Manson, uno psicopatico criminale membro di una setta. Nel cast anche Brad Pitt, Al Pacino, Tim Roth, Kurt Russell e Dakota Fanning - Dal 18 Settembre
(Once Upon a Time in Hollywood; USA/REGNO UNITO 2019; Drammatico; 161'; Produz.: Heyday Films/Sony Pictures Entertainment (SPE); Distribuz.: Warner Bros. Entertainment Italia)
Soggetto: Ispirato ai fatti di cronaca nera realmente accaduti a Bel Air nel 1969 con l'omicidio di Sharon Tate (all'epoca la moglie incinta di Roman Polanski), per mano di Charles Manson, uno psicopatico criminale membro di una setta.
Makeup: Heba Thorisdottir (capo dipartimento makeup); Janine Rath (capo dipartimento acconciature)
Casting: Victoria Thomas
Scheda film aggiornata al:
06 Novembre 2019
Sinossi:
In breve:
Il film racconterà una storia ambientata a Los Angeles nel 1969 sullo sfondo della furia omicida di Charles Manson, il criminale psicopatico (morto il 19 novembre 2017) che all'epoca massacrò Sharon Tate, la moglie, allora incinta, di Roman Polanski. Un attore televisivo (Leonardo DiCaprio) cerca di sfondare a Hollywood nel cinema insieme alla sua controfigura. L'orribile omicidio della giovane Sharon Tate per mano della setta di Manson fa da sfondo alla storia principale.
In dettaglio:
La storia si svolge nella caotica e famosa città di Los Angeles nell' anno 1969, momento di massimo splendore della hippy Hollywood. I due protagonisti sono Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), ex star di una serie tv western, e la sua controfigura di lunga data, Cliff Booth (Brad Pitt). I giovani attori vogliono trovare la fama ed entrare a far parte del lussuoso mondo hollywoodiano. Entrambi però, faticano ad affermarsi ad Hollywood, mondo che in quei anni sta subendo un cambiamento tale da diventare sconosciuto ai due uomini.
A TV actor and his stunt double embark on an odyssey to make a name for themselves in the film industry during the Charles Manson murders in 1969 Los Angeles.
Set in Los Angeles in the summer of 1969, the movie focuses on a male TV actor who's had one hit series and is looking for a way to get into the film business. His sidekick--who's also his stunt double--is looking for the same thing. The horrific murder of Sharon Tate and four of her friends by Charles Manson's cult of followers serves as a backdrop to the main story
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Con C’era una volta a… Hollywood, Quentin Tarantino ha ordito una tessitura di pregio particolare: un format stilistico che è una dichiarazione d’amore al cinema non priva di sarcasmo e di critica feroce. E ce n’è anche per piccolo schermo: la televisione americana con cui sono cresciute e crescono intere generazioni a colpi di violenza e morti ammazzati, senza contare le pubblicità ipocrite e mendaci (quella assestata sul finale del film è da urlo!). E se a fare della critica venata di humour, facendo le pulci ai dietro le quinte del mondo del cinema e degli attori, ci avevano già provato in altro modo i fratelli Coen (Ave, Cesare!), o al limite anche Barry Levinson con Disastro a Hollywood, tanto per citare solo un paio di esempi, Tarantino trova una strada tutta sua, fatta di spezzoni di classici cinematografici e televisivi, di poster e locandine chiamate in causa al momento
giusto per interagire con le vite stesse dei protagonisti: lo dicono le sue riprese intimiste, fatte di primissimi piani, di arditi ribaltamenti di piani e lo dicono in primis gli accostamenti ad hoc, studiati con cura maniacale. A tutto questo va ad aggiungersi il suo ‘omaggio alla memoria’ a Sharon Tate: omaggio tanto amorevole da creare sul grande schermo una realtà alternativa da come invece sono andate le cose, consegnateci dalla cronaca stessa molti anni fa. La sua personale rilettura dei fatti in versione ‘pulp-horror’ può fungere da catarsi, così come il personaggio ricreato (la Sharon Tate di Margot Robbie) omaggia la persona reale (la vera Sharon Tate) orchestrando la trovata di mandarla al cinema a vedere se stessa mentre recita, partecipando altresì agli entusiasmi del pubblico in sala, che si diverte ed applaude. Anche Tarantino professa la fede incondizionata del cinema nel cinema, e si compiace di aprire finestre
su finestre lasciando ampio spazio anche a frequenti ingerenze del piccolo schermo.
Per cui la scena della ribalta iniziale per Tarantino non poteva essere che quella: una scena di western in bianco e nero che presenta il personaggio prima ancora dell’interprete: il bounty killer della serie televisiva di successo Bounty Law. I tempi d’oro dell’attore Rick Dalton - un Leonardo DiCaprio tanto intenso e variegato, nelle note drammatiche quanto in quelle zampillanti di umorismo, per una dilatazione fluida verso orizzonti infiniti, laddove non è più possibile distinguere tra il realtà e finzione - da sempre sostenuto e compensato dalla speciale controfigura di stuntman Cliff Booth, personaggio indossato come una calzamaglia da un Brad Pitt manesco e persino un pò più cafone di quanto non abbia fatto in precedenza con il Chad di Burn After Reading - A prova di spia, pure dei Coen. Due galli in un pollaio che si contendono
lo scettro per la miglior performance - i prossimi Oscar si esprimeranno in merito! - per cui si opterebbe volentieri per un ex aequo, ma in caso di un ‘out out’ obbligato, vorremmo la spuntasse il vecchio Leo, qui un vero mostro di bravura!
Si diceva i western! Il western è andato alla grande fino ad un certo punto, poi si è fatto spazio ad altro e in C’era una volta a… Hollywood si mette il dito nella piaga passando per il senso di inadeguatezza e di frustrazione dei protagonisti di genere. Tarantino mette in bocca al Marvin di Al Pacino una proposta di cambio di rotta sul lavoro per risollevare le sorti della carriera in declino rivolta al Rick Dalton di Leonardo DiCaprio. Una proposta, che all’americano Dalton suona ‘indecente’. Certo che Tarantino poteva solo risparmiarsi tanto livore nei confronti dello spaghetti-western e del doppiaggio all’italiana! A meno
che gli attori americani dell’epoca non vedessero davvero la loro partecipazione a quel genere di film italiani come dequalificazione piuttosto che decorosa opportunità . Forse Clint Eastwood potrebbe dirci qualcosa in merito!
E comunque, animato da rigurgiti ‘pulp’, Tarantino si concentra su una storia tentacolare appuntata sull’anno del 1969 in quel di Hollywood, dintorni & contorni, tratteggiando il suo ‘american graffiti’ d’epoca in cui, tra le altre cose, non manca certo il fascino esercitato dall’auto lanciata in corsa come si deve (ma anche come non si deve). Epoca in cui un allora giovane Roman Polanski con la giovane moglie e attrice Sharon Tate (nel film incarnata da una Margot Robbie che incanta) si trova ad abitare proprio lì, ignaro dello spinoso futuro inquisitorio che lo avrebbe aspettato, e non solo per la sconcertante morte della consorte (Rosemarie’s Baby docet). I Polanski nel film di Tarantino sono i vicini di casa di un
attore televisivo di successo passato al cinema, quale per l ‘appunto il Rick Dalton di Leonardo DiCaprio, tanto affetto da sbalzi d’umore e crisi di amor proprio, da rispondere all’iconico e comico identikit di piagnucoloso alcolista ed attore in declino. Non privo di consapevolezza, quando non in compagnia del suo stunt (il Cliff di Pitt) che di fatto è ormai anche amico per la pelle, il Rick di DiCaprio riesce ad inscenare autocritiche esilaranti come quella davanti allo specchio, in cui blatera invettive ed insulti inviati al suo stesso indirizzo. Non privo di consapevolezza, eppure perseverante nei suoi errori come osservante delle esigenze di copione per quanto frustranti: il trucco e parrucco che non lo rende riconoscibile è solo un esempio. Ma Tarantino fa in modo che niente e nessuno si prenda mai troppo sul serio, sprigionando verve umoristica ed ironia a go go in svariate scene. Una per tutte
quella provocatoria ed esilarante del combattimento tra il Cliff di Pitt e il mingherlino ‘istruttore’ di arti marziali. Per questo, la sostenuta durata di C’era una volta a… Hollywood c’è ma non si sente. Anche le numerose scene dentro e fuori dai vari set, hanno sempre un loro scopo, con quel pizzico di divertimento assicurato da renderle inequivocabilmente opportune e necessarie. Una veste filmica indubbiamente elegante e autoriale dunque, che affida maggiore responsabilità del racconto all’immagine (c’è spazio anche per un misurato split screen), mentre limita al minimo necessario la voce fuori campo, più generosa proprio sulle frequenze di quel finale alternativo che si dilata ben oltre i titoli di coda: per cui, non abbiate fretta a lasciare la sala, quando scorgete il titolo del film! Vi perdereste, con una sua logica ragione di essere, un siparietto irresistibile!
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)