RECENSIONE - Per il suo debutto alla regia, lo scrittore Donato Carrisi, che traspone sul grande schermo un suo romanzo, chiama a raccolta un cast stellare - Dal 26 Ottobre
(La ragazza nella nebbia; ITALIA/FRANCIA/GERMANIA 2017; Thriller; 127'; Produz.: Colorado Film Production/Medusa Film con il sostegno di IDM Südtirol - Alto Adige Film Fund; Distribuz.: Medusa Film)
Soggetto: Il film La ragazza nella nebbia è la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Donato Carrisi pubblicato da Longanesi nel 2015
Cast: Toni Servillo (Vogel) Jean Reno (lo psichiatra Augusto Flores) Alessio Boni (il professore di letteratura Loris Martini) Michela Cescon (Maier) Lorenzo Richelmy (Borghi) Galatea Ranzi (Stella Honer)
Musica: Vito Lo Re
Costumi: Patrizia Chericoni
Scenografia: Tonino Zera
Fotografia: Federico Masiero
Montaggio: Massimo Quaglia
Makeup: Katharina Pöder
Casting: Valeria Miranda
Scheda film aggiornata al:
19 Maggio 2020
Sinossi:
Un banco di nebbia fitta avvolge il paese di Avechot, nella piccola valle incuneata tra le Alpi. La nebbia che ha inghiottito le case e le strade si abbatte anche sull'auto dell'agente Vogel: la vettura finisce in un fosso e l'uomo, pur essendo uscito incolume dall'incidente, ha i vestiti ricoperti di sangue. Smarrito, senza ricordi delle ultime ore, Vogel viene seguito da uno psichiatra insieme al quale ripercorre gli ultimi turbolenti mesi della sua vita. Bisogna tornare indietro alla scomparsa della sedicenne Anna Lou, capelli rossi, lentiggini sulle guance: la pista della fuga volontaria si incrocia con quella del rapimento, e la risonanza mediatica assunta dal caso richiede l'intervento dell'agente speciale. Abile nel pilotare l'attenzione di Tv e giornali, il modus operandi di Vogel prevede la "santificazione" della vittima e al contempo la creazione del fantomatico mostro che ne ha spezzato l'esistenza. Il profilo del pacifico professor Martini è perfettamente calzante con la descrizione dell'uomo che Vogel cerca, il colpevole ideale da dare in pasto all'audience. Eppure, ancora troppi interrogativi restano aperti: perché, dopo gli eventi di alcuni mesi prima, Vogel si trova ad Avechot? Qual è la causa dell'incidente? E a chi appartiene il sangue sui suoi vestiti?
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
"Una volta qualcuno ha detto che il più grosso peccato del diavolo è la vanità"
Un thriller che si rispetti, normalmente dovrebbe nutrirsi di quel feeling tensivo che ne diventa l'anima pulsante. Questo succede nel romanzo di Donato Carrisi che, come colto da un delirio di onnipotenza, o, con tutta probabilità, da una legittima ambizione, ha pensato di dirigere il film tratto dal suo stesso ultimo romanzo: La ragazza nella nebbia (2.500.000 copie vendute nel mondo). Chi meglio di me? Si sarà detto! Eppure, per quanto paradossale possa sembrare, la mancanza di nervo della versione cinematografica de La ragazza della nebbia, non sembra dipendere tanto dalla regia, diligente ed accademica al suo corretto esordio, quanto dal respiro delle interpretazioni degli attori. L'amplificazione a tratti teatrale, a tratti televisiva, per un complessivo effetto d'insieme in odore di un eccedente caratterismo, dilagante ed invasivo a macchia di leopardo, più 'impressionista' che 'espressionista', con
schegge di un melodramma che sa di cellophane, finisce per asfissiare quel pathos emotivo necessario al respiro del genere. E non si dice dei ruoli secondari, bensì di quelli primari, a cominciare dal Vogel di Toni Servillo, che cavalca un manierismo dal timbro teatrale anche quando lavora per sottrazione sulla complessità del carattere dl personaggio. Lo seguono a ruota lo scialbato psichiatra Flores di Jean Reno, l'eccessiva aggressività della giornalista Stella Honer inamidata da Galatea Ranzi - tra l'altro non era neppure necessario il look della femme fatale bionda per ritrarre un lato della morbosità mediatica legata alle news di cronaca nera - per non dire del professore di letteratura Loris Martini di Alessio Boni, ritagliato dal piccolo schermo con gli annessi e connessi della sua pseudo ambiguità, data in pasto alla famiglia tra le mura domestiche.
Quasi quasi verrebbe la voglia di assegnare il primo premio per l'eccellenza nel
co-protagonismo al paesaggio innevato della piccola ed isolata comunità di montagna Avechot, ritratta più volte in stile para-naif a ricordarne la costante in seno all'indagine, la testimone oculare e al contempo alcova del male che ivi è stato consumato. Il Donato Carrisi regista, se non altro, è riuscito a captare l'elemento chiave per trasporne sul grande schermo, nelle reiterate riprese, tutto il significante multistrato bagaglio. Per il resto è ancora la parola scritta a sostenere la debolezza dell'immagine, chiaroscurata quanto si vuole e ovviamente nebulosa come da copione e da titolo. Potrà apparire curioso, ma l'altro personaggio in grado di mostrare un autentico tocco sinistro che, come il paesaggio torna a più riprese a cadenzare l'indizio chiave per la soluzione del rebus, è quel fraseggio letterario che il professor Martini/Boni torna a ripetere ai suoi studenti: "La prima regola di un grande romanziere è copiare... il male è il vero
motore, il movente più frequente è il denaro".
Facendosi così largo nel sottobosco di trame e sotto trame che tessono l'intreccio narrativo anche del romanzo de La ragazza nella nebbia, a legittimare la versione cinematografica, alquanto incerta e in qualche modo asfittica, resta il corretto esercizio di denuncia di un problema reale. La famelica invasione dei media sempre assetati di scoop, per salire sul podio della prima pagina, preoccupati dell'audience e dell'attenzione pubblica, costi quel che costi, anche se questo può danneggiare le vittime, soprattutto quando si manipolano indizi che non costituiscono prove e che comunque non necessariamente portano alla verità. Nel libro come nel film si sottolinea ripetutamente - e l'eccesso di ripetitività è l'altro difetto della pellicola - che a nessuno interessa la giustizia, ma un capro espiatorio da fustigare con violenza. Si diceva un esercizio di denuncia di un problema reale. Ma forse anche un omaggio. Un omaggio
nei confronti di certe vittime reali, oggetto di lacerazioni postume, per l'appunto anche mediatiche. Basti pensare al caso Cogne o all'altro tristissimo capitolo di cronaca nera legato all'omicidio di Yara Gambirasio. Beh, La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi ha lo sguardo rivolto verso di loro. E questo è già un bel gesto, ma non necessariamente un pregio.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)