MR. HOLMES – IL MISTERO DEL CASO IRRISOLTO: LA STORIA DEL PIÙ FAMOSO DETECTIVE DEL MONDO SOTTO UNA LUCE NUOVA E DIVERSA

È il 1947 e il leggendario Sherlock Holmes (Ian McKellen), ormai anziano e senza più molta voglia di alcunché, si è ritirato nella sua casa di campagna, lontano da tutto e da tutti. Diventato praticamente un apicoltore e abbandonata la professione, Holmes trascorre le giornate circondato dalle sue amiche ronzanti e in compagnia di una governante (Laura Linney) e del giovane figlio di lei, Roger. Tormentato dalle difficoltà legate alla senilità e alla perdita di memoria, il detective continua a vivere nel loop della sua ultima indagine, il cui fallimento lo ha costretto a ritirarsi. E il ricordo sempre più annebbiato di quell’investigazione è tenuto in vita da un dettaglio che riaffiora con ostinata persistenza: il guanto di una donna. Holmes “usa” quindi la giovane mente del ragazzo per ripercorrere a ritroso le circostanze di quel suo unico caso rimasto irrisolto per trovare il colpevole. E assolvere se stesso.

A volte 'repetita non iuvant', si sa. Forse non lo sa Bill Condon, regista indeciso su cosa voglia fare da grande e che aveva già diretto Sir McKellen nel raffinato e dolente Demoni e dei (il film che gli valse l’Oscar per la Miglior sceneggiatura non originale). Condon ritrova quindi il suo monumentale e gigionante attore per questo Il mistero del caso irrisolto, nel quale lo Sherlock Holmes è quello tratto dal romanzo A slight trick of the mind di Mitch Cullin, un dettaglio non da poco. L’investigatore, infatti, ha qui perso i totem che lo rendono unico nel panorama giallo-letterario: non porta il caratteristico berretto che tutti conosciamo così bene, ha smesso di fumare la pipa per il più prosaico sigaro, e si rivede al cinema con malcelata stizza perché rappresentato con troppe libertà artistiche; per non parlare del fatto che non è il fidato Watson a raccontare gli

avvenimenti. Una forma di destrutturazione del mito che preferisce affacciarsi dalle parti della realtà. E fallisce. Formalissimo e in cerca di un guizzo autoriale che elevi il contesto generale alla recitazione del feticcio McKellen, Condon dà la sensazione di rimpiangere se stesso, occhieggiando proprio al quel suo Demoni e dei - che resta però lontano - nella ricerca di un’aura di dolenza e mistero. Da parte sua, McKellen si diverte un mondo nei panni del vecchio burbero-non-burbero che non si rivede affatto nello specchio magico che gli offre il grande schermo, inscenando gli ultimi giorni di un mostro sacro che si avvia a calare il sipario e pretende quasi di scegliersi l’erede perfino. Peccato che il vero mistero non sia il caso irrisolto, ma come si sia potuti arrivare a tanto.