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    GENIUS

    Dall'XI. Festa del cinema di Roma (13-23 Ottobre 2016) - sezione 'Tutti ne parlano' - Dal 66 Festival del Cinema di Berlino - Dal 9 NOVEMBRE - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com)

    "Se torniamo agli esordi di Fitzgerald, Hemingway e Wolfe, erano stati tutti e tre degli scrittori rifiutati... In effetti, Fitzgerald era stato rifiutato tre volte dalla Scribner prima che Max Perkins scommettesse sul suo lavoro. Hemingway stava per essere abbandonato dal suo editore e Thomas Wolfe aveva ricevuto rifiuti da tutta la città. Perkins è stato capace di vedere la genialità in tutti e tre questi autori e ha lavorato con loro, spesso nel suo tempo libero. Scribner non era nemmeno interessato; Perkins arrivò a dire a ognuno di loro 'Anche se dovremmo rivolgerci altrove per farvi pubblicare, io vi aiuterò'... E Perkins divenne letteralmente un angelo custode per questi scrittori. Chi era il genio in questa relazione? Perkins era un editor geniale o piuttosto l’editor del lavoro di geni?... È stato il primo a portare nell’ambiente un importante contributo creativo. E a parte questo, lui è stato in grado di capire che il momento in cui un autore ha davvero necessità di un editore, non è quando il lavoro è terminato, ma quando lo scrittore è in difficoltà con il manoscritto. Perkins, per i suoi scrittori, era un amico, un consulente matrimoniale, uno psichiatra e un supporto economico. Ha svolto questi ruoli non sono per Fitzgerald, Hemingway e Wolfe, ma per centinaia di altri scrittori".
    Lo scrittore A. Scott Berg

    "Non si sarebbe potuto immaginare due poli piĂš opposti di Max Perkins e Thomas Wolfe. Max era un editore Yankie, conservatore, riservato e signorile. Thomas Wolfe era un 'cavallo pazzo' della Nord Carolina. Ti bastava leggere cinque pagine di 'Angelo, guarda il passato' o di 'Il fiume e il tempo', per sentire la passione nelle parole che sceglieva e per capire il suo modo di raccontare le storie. I suoi romanzi ti rapiscono e ti schiaffeggiano con tante emozioni e passionalitĂ ... Costruirono un loro linguaggio, sia per la relazione tra editore e scrittore, sia per la relazione umana, che gli permise di diventare sempre piĂš intimi".
    Lo sceneggiatore John Logan

    (Genius; REGNO UNITO/USA 2015; Biopic drammatico; 104'; Produz.: Michael Grandage Company/Desert Wolf Productions/Riverstone Pictures; Distribuz.: Eagle Pictures)

    Locandina italiana Genius

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    See SHORT SYNOPSIS

    Titolo in italiano: Genius

    Titolo in lingua originale: Genius

    Anno di produzione: 2015

    Anno di uscita: 2016

    Regia: Michael Grandage

    Sceneggiatura: John Logan

    Soggetto: Basato sulla biografia scritta da A. Scott Berg, Max Perkins: Editor of Genius.

    Cast: Colin Firth (Max Perkins)
    Jude Law (Thomas Wolfe)
    Nicole Kidman (Aline Bernstein)
    Laura Linney (Louise Saunders)
    Guy Pearce (F. Scott Fitzgerald)
    Dominic West (Ernest Hemingway)
    Vanessa Kirby (Zelda Fitzgerald)
    Gillian Hanna (Julia Wolfe)
    Angela Ashton (Bertha Perkins)
    Eve Bracken (Zippy Perkins)
    Katya Watson (Jane Perkins)
    Lorna Doherty (Peggy Perkins)
    Makenna McBrierty (Nancy Perkins)
    Corey Johnson (John Wheelock)
    Lucy Briers (Miss Wyckoff)

    Musica: Adam Cork

    Costumi: Jane Petrie

    Scenografia: Mark Digby

    Fotografia: Ben Davis

    Montaggio: Chris Dickens

    Effetti Speciali: Neal Champion (supervisore)

    Casting: Jina Jay

    Scheda film aggiornata al: 06 Dicembre 2016

    Sinossi:

    IN BREVE:

    Storia dell'editore letterario Max Perkins (Colin Firth) che lavorò con autori leggendari come Hemingway, F. Scott Fitzgerald e Thomas Wolfe. Perkins ebbe anche ad intessere con il giovane Thomas Wolfe una relazione...

    In dettaglio:

    William Maxwell Evarts Perkins (Colin Firth) è uno degli editor letterari più conosciuti e rispettati di tutti i tempi, con il merito di aver scoperto scrittori illustri come F. Scott Fitzgerald (Guy Pearce), Ernest Hemingway (Dominic West) e Thomas Wolfe (Jude Law). Durante la sua carriera alla Charles Scribner’s Sons, storica casa editrice americana, Perkins ha contribuito alla pubblicazione di alcuni dei più grandi capolavori della letteratura americana, tra cui “Addio alle armi” di Hemingway e “Il fiume e il tempo” di Thomas Wolfe, ridefinendo il senso moderno del ruolo di editor.

    Il film ripercorre l’evoluzione della complessa e delicata amicizia tra Perkins e Wolfe. I due uomini strinsero un legame profondo, che li portò a collaborare sui primi due dei quattro romanzi di Wolfe: un rapporto durato poco più di un decennio, ma che li segnò indelebilmente.

    L’intensità della loro relazione, metterà a dura prova tutti gli altri rapporti della loro vita, come quello di Wolfe con Aline Bernstein (Nicole Kidman), nota costumista teatrale e amante di Wolfe e quello di Perkins con la moglie Louise Saunders (Laura Linney).

    Wolfe ha un talento irrefrenabile unito a una personalità esuberante e riscuote fama e successo sin da giovane. Perkins è uno degli editor letterari più conosciuti e rispettati di tutti i tempi, con il merito di aver scoperto scrittori illustri come F. Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway. Wolfe e Perkins sviluppano una delicata e complessa amicizia. Irrefrenabile e in continua trasformazione, quest’amicizia cambierà per sempre le vite di questi uomini brillanti e così diversi.

    SHORT SYNOPSIS:

    A chronicle of Max Perkins's time as the book editor at Scribner, where he oversaw works by Thomas Wolfe, Ernest Hemingway, F. Scott Fitzgerald and others.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    Genio, sregolatezza e il suo contraltare. Nell'arte di scrivere e di portarla ad altezza di occhio e di pensiero della gente. E' questo il nocciolo dell'affascinante storia vera di Genius nella New York del 1929, giĂ  raccolta nella biografia scritta da A. Scott Berg (Max Perkins: Editor of Genius). Ne riprende ora le fila Michael Grandage, giĂ  regista e produttore della compagnia di teatro cinema e televisione 'Michael Grandage Company' di Londra, qui al suo debutto cinematografico. E lo fa insieme a due super mattatori del grande schermo come Jude Law, nei panni del folle scrittore Thomas Wolfe - dal carattere ultra complesso e a dir poco indisciplinato, catapultato nella scrittura compulsiva e un filino prolissa - e Colin Firth, nell'opposta figura del suo iconico editor Max Perkins, signorile, conservatore e riservato, persino un tantino compassato, ma al contempo sensibile e umanissimo, calato nei panni di quella sorta "di divinitĂ 

    custode" cui ammicca il titolo nella definizione latina di 'Genius' (genio). Una parola sola per esprimere un universo che può riassumersi nel punto di domanda avanzato dallo stesso scrittore Berg: "Chi era il genio in questa relazione? Perkins era un editor geniale o piuttosto l’editor del lavoro di geni?". Bisognerebbe chiederlo ai nostri editori odierni. Ce li vedete nei panni di 'angelo custode' dei loro autori? Eh si, perché l'editor Max Perkins sembra sia stato l'antesignano di una politica editoriale da sogno, quasi surreale, di supporto a tutto tondo per i propri autori: "... lui è stato in grado di capire che il momento in cui un autore ha davvero necessità di un editore, non è quando il lavoro è terminato, ma quando lo scrittore è in difficoltà con il manoscritto. Perkins, per i suoi scrittori, era un amico, un consulente matrimoniale, uno psichiatra e un supporto economico...". E non

    stiamo parlando di scrittori da quattro soldi, ma di veri autori, a centinaia, tra cui F. Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway e, per l'appunto, Thomas Wolfe, il "cavallo pazzo" del Nord Carolina.Tutti scrittori rifiutati ai loro esordi letterari, portati alla ribalta dall'editor Perkins. Ma l'aspetto piÚ affascinante del film, oltre alle performance da Oscar di Law e Firth, è poter vedere il modo in cui decolla e prende corpo questa speciale interrelazione. Roba d'altri tempi! Tanto da guardare oggi all'editor Max Perkins come a un outsider, sia per la sua epoca che per i tempi a venire.

    E quel modo di fare, unico, umanissimo, oltre che rigorosamente professionale, può manifestarsi nella sua pienezza solo all'ombra della griglia di raffinata eleganza formale con cui sembrano gareggiare tra loro immagini e montaggio sincronizzati a cronometro, indimenticabili passi di sceneggiatura e sibilline riprese di una regia che riesce a stringere certi campi di visione,

    tanto da ricordare il formato delle predelle piĂš basse nelle pale d'altare in pittura. E' ad esempio il caso della sequenza d'inizio, da manuale, dominata da campi strettissimi su elementi diversi tra loro, con cui Grandage realizza un forte impatto emotivo rendendo protagonista il momento ansiogeno del personaggio Wolfe di Law. Domina il silenzio prima che possa esplodere il logorroico fiume in piena di parole che solo il suo contraltare potrĂ  tentare di riportare entro gli argini evitando l'esondazione. In mezzo ci stanno correzioni di chilometriche bozze, screzi e scontri a non finire. E non solo tra editor e autore. La questione dell'identitĂ  professionale al femminile poco conciliabile con la famiglia, o semplicemente con gli affetti, e il suo agognato riconoscimento privato prima ancora che pubblico, serpeggia di continuo nel film. Ne detengono il simbolico vessillo la Aline Bernstein - nota costumista teatrale e amante di Wolfe - di un'intensa

    ed irruenta Nicole Kidman, e la Louise Saunders di una dimessa per copione Laura Linney, a sua volta scrittrice di testi teatrali, continuamente mortificata dall'ombra lunga dominante del marito Perkins, per quanto madre responsabile di numerosa prole interamente al femminile.

    Non dobbiamo dimenticarci che siamo nell'anno 1929! Le quote rosa non dovevano trovarsi propriamente al rialzo, tanto quanto quelle della Borsa. E giacchÊ abbiamo toccato la nota dolens, quando ci troviamo nel cuore di nuove crisi economiche basta ripensare a quel fatidico 1929, anno leader del tracollo finanziario in America, per ritrovare code di gente in fila per le strade in attesa del proprio turno alle cosiddette 'banche del cibo', per dirla con Ken Loach e il suo contemporaneo Io, Daniel Blake. A questi lumi di luna, può sorgere il dubbio che persino la scrittura possa risultare uno 'schiaffo morale' nei confronti di quell'umanità sofferente e mortificata nel corpo e nello

    spirito, ma non è cosÏ. C'è un meraviglioso passaggio in Genius, laddove Perkins/Firth lo spiega a Wolfe/Law, richiamando alla mente l'atavica memoria dei nostri antenati, che già raccontavano storie davanti al fuoco, proprio per poter controllare la paura del buio e degli ululati dei lupi nelle vicinanze. Genius non è che lo straordinario inno rivolto ad un'amicizia speciale, reale, nata proprio all'ombra del raccontare storie. Un inno all'arte di scrivere e all'arte di riuscire a trasmetterla e ad offrirla nel modo migliore. Cosa indubbiamente piÚ facile a dirsi che a farsi! ("E' su questo che noi editori perdiamo il sonno: davvero miglioriamo i libri o li rendiamo solo diversi?") Col cuore. Un veicolo in grado di stringere legami forti, stretti, intimi, oltre lo spazio ed il tempo. Di lasciare tracce indelebili, sulle ultime appassionate righe di una lettera, come fossili nella pietra.

    Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)

    MICHAEL GRANDAGE'S HOMAGE TO ONE OF THE GREAT UNSUNG HEROES OF AMERICAN LITERATURE FEELS LIFELESS, DESPITE ITS ALL-STAR CAST

    Of all the fruits of genius that exist in the world, writing is perhaps the least dramatic to depict onscreen. Where other movies give us mad painters splashing away at canvases or tortured mathematicians scribbling equations on window panes, literary biopics typically fall back on lonely men seated at their desks, wresting sheets of paper from a typewriter, only to crumple each one up and begin again. But great writing isn’t an entirely solitary process, and though Michael Grandage’s dull, dun-colored “Genius” makes every effort to credit the editor’s role in shaping the century’s great novels, it’s nobody’s idea of interesting to watch someone wield his red pencil over the pile of pages that would become Thomas Wolfe’s “Look Homeward, Angel,” even if the editor in question is the

    great Maxwell Perkins. While the talent involved should draw smarthouse crowds, the result has all the life of a flower pressed between “Angel’s” pages 87 years ago.

    Over the course of his nearly-four-decade career with Charles Scriber’s Sons, Perkins (played by Colin Firth) fought hard to bring the best works of Wolfe (Jude Law), F. Scott Fitzgerald (Guy Pearce) and Ernest Hemingway (Dominic West) to the general public. Judging by the cast of “Genius,” one might never guess that these literary figures were in fact Americans, as Grandage (that dare-we-say genius of the London stage) has loaded his big-screen debut with the finest British and Australian stars of the Miramax generation, including a reunion of “Cold Mountain” lovers Law and Nicole Kidman, who plays Wolfe’s patron, Aline Bernstein.

    Because the actual business of editing — during which Perkins so casually marks up a Hemingway manuscript whose every word might be considered sacred

    today — can only be expected to hold our interest in brief intervals, Logan’s script focuses on the interpersonal dynamic between this literary gatekeeper and his greatest discovery. (Both Fitzgerald and Faulkner had been published before, whereas Wolfe, who’d been rejected by every company in town, was losing faith that his words “were worth a dime.”)

    According to A. Scott Berg’s biography, “Max Perkins: Editor of Genius,” upon which the movie is based, Perkins wasn’t entirely the musty, moth-eaten figure the dubiously accented Firth makes him out to be here. (The actor is either wearing false teeth, choking on a cracker or both.) Perkins was a fighter who put his own reputation on the line for the talents he believed in, and none would have demanded more defending than Wolfe, whose 1,000-page, single-spaced, typewritten first manuscript begins mid-sentence and unfurls in what appears to be a series of endless paragraphs. But

    gosh darn it, the thing sure does make Perkins’ eyes moisten, and together, they bludgeon it into one of Scriber’s unlikeliest bestsellers, with nary a note of skepticism from the editor’s superiors.

    The next book, which Wolfe hand-delivers in a series of crates, is an even more daunting task, running nearly five times as long … and counting, since Wolfe refuses to stop writing. Whipping “Of Time and the River” into shape will take at least nine months of after-hours editing sessions — and more like two years, when all is said and done. It’s enough to raise concerns on the part of both Bernstein and Perkins’ own wife, Louise Saunders (Laura Linney, rendered almost lifeless). The men are not having an affair, of course, but it’s perhaps the best metaphor a screenwriter can find for such an intense professional connection, where a form of love exists on both sides, the

    sheer intensity of which threatens the romantic partners who feel sidelined by the project.

    For this particular storytelling approach to work, however, audiences must also find themselves seduced by the figures in question — a tall order in a movie that’s overwritten, over-scored and wildly overacted by thesps who should all know better. In scenes that effectively seem to have been marinated in music, Law bellows and gesticulates like a barn-raised carnival barker, braying his lines from memory, rather than from the marrow of the tortured poet he’s playing. Though there’s altogether too much of it, Logan has written some splendid dialogue, trying to channel the voice of a writer who couldn’t stop the words from flowing. Pity, then, that most of the time, you just want Wolfe to shut up.

    Even Firth’s modesty feels disingenuous, practically pantomimed for effect. Grandage may know how to direct actors for the stage, but this

    new medium calls for subtlety. When shot in relative closeup, Firth is capable of conveying volumes with the slightest shift of the eye, but here, Grandage gives the character elaborate gestures. To read a letter, he might stand up from his desk, cross his office and shut the door. Watch how uneasy he looks — not so much in character, but in the scene itself — during a trip to a jazz club, where Wolfe requests a lively version of “Flow Gently, Sweet Afton” to illustrate the difference between his style and that of Scriber’s star Henry James.

    It’s a turning point in Perkins and Wolfe’s relationship, like the one where he kicks in the window of the tenement where Wolfe wrote “Look Homeward, Angel,” but both characters’ actions feel telegraphed. They don’t look, move or speak like believable people, and the airless sepia look of the film doesn’t help. From

    its ill-advised tone-setting opener, which fades from black-and-white to the still nearly-monochromatic dust hue that characterizes the rest of the picture, “Genius” is the sort of period re-creation where everyone seems to be wearing 80-year-old costumes. Even Wolfe’s manuscript looks old, like it’s been pulled out of deep storage, rather than written on whatever paper he could get his hands on.

    For a film that speaks of writers whose vivid modern voice transformed the shape of American fiction, “Genius” merely reminds us how, for all the excitement critics and readers showered upon him during the day, Wolfe has faded from our must-read lists. He’s a taxing presence, using up all the oxygen in rooms where someone really ought to open the windows. Meanwhile, Fitzgerald and Hemingway (who’ve benefited from far more frequent screen appearances) are reduced to cameos, making one long even for the liveliness their characters brought to “Midnight in

    Paris.” When Wolfe goes to Paris, he’s merely stepped from one series of drearily set-dressed backdrops to another, where a flower cart and an awning are somehow meant to stand in for Europe.

    Of all the characters, the one who seems to take Grandage’s theatricality best is Bernstein, who treats the world as her stage, giving Kidman a chance to camp things up as she pops pills, brandishes a tiny purse pistol and delivers the film’s most unfortunate line: “I don’t exist anymore. I’ve been edited.” The real question was never meant to be which of these two, mistress or editor, gets most of Wolfe’s time, but whether Perkins truly found an unrefined diamond and made it shine, or if Wolfe’s genius was somehow “O Lost” along the way. To answer that, one really ought to be looking to a book, rather than its relatively wooden adaptation.

    Bibliografia:

    Nota: Si ringraziano Eagle Pictures e Ornato Comunicazione.

    Pressbook:

    PRESSBOOK COMPLETO in ITALIANO di GENIUS

    Links:

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