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GENOVA: UN PADRE - COLIN FIRTH - DUE FIGLIE E UN GRAVE LUTTO DA METABOLIZZARE IN UNA CITTA' IN UN CERTO QUAL MODO INQUIETANTE COME GENOVA
"Genova è in qualche modo la città gemella di Venezia, l'atmosfera è simile, entrambe hanno stretti vicoli. E' una città molto bella, ma anche abbastanza inquietante e mi ha fatto venire in mente il film di Roeg (A venezia... Un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg n.d.r.)".
Il regista Michael Winterbottom
(Genova GRAN BRETAGNA 2008; Thriller drammatico; 92'; Produz.: Revolution Films, con il sostegno di Film4 e UK Film Council, in associazione con Aramid Entertainment Fund e Hanway Films; Distribuz.: Officine UBU)
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Titolo in italiano: Genova
Titolo in lingua originale:
Genova
Anno di produzione:
2009
Anno di uscita:
2009
Regia: Michael Winterbottom
Sceneggiatura:
Laurence Coriat
Soggetto: Il film ha tratto ispirazione dal romanzo Moderato Cantabile di Marguerite Duras.
Cast: Colin Firth (Joe) Catherine Keener (Barbara) Hope Davis (Marianne) Willa Holland (Kelly) Perla Haney-Jardin (Mary) Margherita Romeo (Rosa) Alessandro Giuggioli (Lorenzo) Dante Ciari (Fabio) Gherardo Crucitti (Mauro) Monica Bennati (Elena)
Musica: Melissa Parmenter
Costumi: Celia Yau
Scenografia: Mark Digby
Fotografia: Marcel Zyskind
Scheda film aggiornata al:
25 Novembre 2012
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Sinossi:
IN BREVE:
La città di Genova rappresenta l’inizio di una nuova vita per Joe e le sue giovani figlie; una famiglia che cerca di ricominciare dopo la tragica morte della madre. Mentre Kelly esplora con curiosità i misteri di questo nuovo mondo, Mary, la più piccola, rivede la madre aggirarsi per i vicoli.
IN ALTRE PAROLE:
In seguito ad un tragico incidente stradale che provoca la morte della madre Marianne, Kelly di 16 anni e Mary di 10 lasciano gli Stati Uniti per trascorrere un anno in Italia insieme al padre Joe, che ha ottenuto un lavoro come professore presso l’università di Genova.
Arrivati a Genova, grazie a Barbara, una vecchia amica di Joe, trovano un appartamento in affitto e si sistemano in quella che sarà la loro nuova casa. Ognuno cerca di superare il dolore provocato dalla scomparsa di Marianne a suo modo e di ritrovare una normalità nel nuovo ambiente.
Mentre Joe insegna all’università e riempie le figlie di attenzioni, Kelly e Mary iniziano a conoscere Genova andando a lezioni di pianoforte da Mauro, che abita nel centro storico: un labirinto di stretti vicoli, dove è facile perdersi.
Joe intanto si appassiona al suo lavoro e stringe amicizia con Rosa, una sua studentessa. Kelly invece, giovane, bella e ribelle, inizia ad ambientarsi nella nuova città e frequenta una comitiva di ragazzi della sua età . Mary, però, è perseguitata da incubi notturni. La bambina, infatti, si sente responsabile della morte della madre e un giorno, mentre prende lezioni di piano, vede alla finestra dell’appartamento di fronte una figura che ha le sembianze della madre. La bambina rimane profondamente turbata da questa visione.
Durante una gita in riviera, Mary scompare dopo aver raccontato a Barbara delle sue visioni e del suo senso di colpa per la morte della madre. Barbara, nel panico perché non riesce più a trovare la bambina, corre ad avvisare Joe e Kelly, che nel frattempo si erano recati in spiaggia. Le ricerche continuano affannose e alla fine la piccola viene ritrovata dal padre in stazione. Una volta a casa, Barbara esorta Joe ad affrontare i disagi di Mary, ma Joe non accetta i consigli dell’amica.
Kelly si allontana sempre più dal padre e tratta malissimo la sorellina a cui imputa la responsabilità dell’incidente mortale della madre. Quando, però, per la seconda volta Mary scompare nei dedali e nel traffico di Genova, tutti devono fare i conti con la realtà , riscoprire il profondo legame che li unisce e trovare insieme un nuovo equilibrio.
Qualche tempo dopo, Joe accompagna le ragazze alla nuova scuola. Le guarda mentre si confondono tra gli altri ragazzi e comprende che ormai sono finalmente pronti per ricominciare a vivere.
Dal >Press-Book< di Genova
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
MICHAEL WINTERBOTTOM COME FABRIZIO DE ANDRE’ CON L’OCCHIO PUNTATO ALLA GENOVA CHE, PUR NON RINNEGANDO I SUOI LUOGHI D’ARTE E DI CULTO, SCARTA DAGLI SCATTI DA CARTOLINA A TUTTO VANTAGGIO DELLE SCHEGGE DI VITA VISSUTA TRA I VICOLI, SINISTRI QUANTO SI VUOLE MA SEMPRE APERTI VERSO IL SOLE. UN AFFRESCO MINIMALISTA, ASSOLUTAMENTE ESSENZIALE E ASCIUTTO, GIRATO TUTTO NELLA SOGGETTIVA DI CHI PUO’ GUARDARE A NUOVE OSCURITA’, SCANDITE DALLA ROUTINE DI UNA NUOVA QUOTIDIANITA’, CON IL TIMORE MITIGATO DALL’AVER VISSUTO SULLA PROPRIA PELLE UN’OSCURITA’ BEN PIU’ GRANDE E AD UN TEMPO DALLA REINCARNAZIONE - ‘EMOTIVA’ E DUNQUE PERCEPITA COME REALE - DI UN AFFETTO SCOMPARSO PER SEMPRE EPPURE ETERNAMENTE VIVO
L’indipendente regista inglese Michael Winterbottom (Codice 46) questa volta insinua il suo tocco documentaristico nei meandri dei sentimenti sconquassati di una famiglia resa ‘zoppa’ e devastata dal lutto improvviso della madre in un incidente d’auto causato dall’ingenuità della figlia più piccola Mary. |
Documentare l’elaborazione di un lutto da parte di un marito e padre (Colin Firth qui ancora in veste di insegnante dopo A Single Man) e soprattutto da parte di due ragazzine - di cui la più grande è solo un’adolescente con tutti gli effetti collaterali del caso - poteva far scivolare sulla buccia di banana dei clichè. Se questo è stato evitato - magari rinunciando volontariamente ad una veste più glamour dal punto di vista cinematografico - è perché Winterbottom, indipendente nel senso pieno del termine, questa volta ha deciso di affidarsi al minimalismo essenzialista, netto e crudo anche se quasi del tutto privo dei suoi veli più estremi. Minimalismo che dunque restringe e relega le sue tinte più fosche nel profondo interiore di ognuno dei protagonisti, denudati senza preavviso dal calore di un affetto familiare tanto irrinunciabile quanto inevitabilmente perduto per sempre. Protagonisti d’altra parte fermamente decisi, per il |
bene reciproco, a non esternare l’uno con l’altro la personale devastazione interiore.
Si tratta dunque di un affresco asciutto, assolutamente privo di tonalità rosate così come di altre, tanto acide o fosche quanto avrebbero potuto essere, dando libero sfogo all’esternazione espressiva dei veri sentimenti repressi, le tinte emotive consone ad un dramma come questo. Tutto qui è invece estremamente contenuto, anche per la piccola - fatta eccezione per i cupi disegni o le crisi notturne dove i mostri interiori di un senso di colpa schiacciante si materializzano in carne ed ossa con pianti e ulra di disperazione - e tutto mira a confluire in una sorta di grande binario congiunto sull’asse portante di un incrocio di soggettive: quelle di coloro, padre e figlie, che alla luce di un simile dramma ancora fresco, guardano con occhi diversi alle novità apportate da un ambiente - da Chicago si trasferiscono in Italia e precisamente |
a Genova - a loro estraneo.
Ma prima di arrivare al punto di un nuovo avvio di percorso voluto dal padre per tentare una svolta di sopravvivenza per le figlie - oltre che per se stesso - c’è tutta una sorta di prologo che introduce lo spettatore in quel mondo familiare che di lì a poco andrà in frantumi. Un gioco innocente destinato a sfociare nel dramma. Un prologo dalla narratività tanto lineare da suonare persino didascalica, eppure per questo prologo Winterbottom non mostra alcuna fretta e si prende tutto il tempo che gli serve prima di decidersi a far approdare i nostri protagonisti a nuova destinazione. Solo allora il titolo Genova compare sul grande schermo a caratteri cubitali mentre tra uno scorcio cittadino e l’altro permette agli altri titoli di testa di insinuarsi a loro volta.
Genova: una città qui personaggio indagato dalla m. d. p. di Winterbottom in una |
lunga e variata soggettiva rinnovata ogni giorno con uno sguardo per certi versi affine a quello già trasposto da Fabrizio De Andrè sul suo pentagramma, portavoce unico di vite vissute all’ombra di vicoli sporchi e stretti, alcove elettive di traffici strani e di prostituzione, vicoli dalle ombre sinistre e d’altra parte mai completamente oscurati da spicchi di sole, quelli che vanno a ricongiungerli col mondo circostante, magari, volendo, cavalcando i caldi umori di spiagge assolate. Schegge di vita quotidiana, più che scatti di scorci visivi da cartolina, così come intraviste con titubanza, ma mai con terrore, dagli occhi di una bambina. Ma fino a che punto Winterbottom sia disposto a spingersi sul filo della soggettiva lo raccogliamo con la concreta presenza della madre defunta accanto a lei in varie circostanze: materializzazione lenitiva della sua irrimarginabile ferita, ad effetto parzialmente catartico del suo senso di colpa e della voragine di solitudine |
che silenziosamente la logora, mentre la sorella adolescente Kelly cerca di affogare il proprio dolore represso nel confuso groviglio degli impulsi dell’età , mantenendo le distanze dalla sorella più piccola. Su di loro l’occhio sempre vigile di un padre esemplare per tolleranza, discrezione, pazienza, amore grande e responsabile.
Non vi è posto, nella Genova di Michael Winterbottom, per scampoli di enfasi, e neppure allo spettatore sarà riservata gratificazione alcuna sul versante emotivo, né per un sorriso, né per una lacrima da versare sul filo di una solidale commozione: solo il privilegio di osservare e comprendere in rispettoso silenzio, prima del sopraggiungere dell’epilogo che segna il loro vero inizio.
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