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    IL CORAGGIO DI CLINT EASTWOOD DI RACCONTARE DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA!

    I bellissimi di ‘CelluloidPortraits’
    Da 57. Festival del Cinema di Berlino; Vincitore ai Golden Globes 2007 come 'Miglior Film Straniero'

    "Questi uomini hanno dato la vita per difendere il loro paese, in un’azione bellica che i loro superiori ritenevano potesse ritardare l’eventuale invasione del Giappone... Penso sia importante per il pubblico, non solo del Giappone ma di tutto il mondo, sapere quali tipi di persone fossero... Nella gran parte dei racconti di guerra con i quali sono cresciuto, vi erano i buoni ed i cattivi. Ma la vita non è così e soprattutto la guerra non è così. Questi film non parlano di chi ha vinto o di chi ha perso. Parlano degli effetti della guerra sugli esseri umani e di coloro che hanno perso la vita troppo precocemente... E’ stata... un’esperienza molto toccante, quella di camminare su quell’isola, luogo in cui tante madri avevano perso i propri figli, in tutti e due gli eserciti... Vi sono ancora 12,000 soldati giapponesi mancanti ad Iwo Jima. Ritengo che quelle vite meritino un pensiero, un certo rispetto, proprio allo stesso modo in cui le forze americane meritano rispetto. Mi sento terribilmente addolorato per entrambe le fazioni di quella guerra, come d’altronde di ogni guerra. In quelle situazioni molti innocenti vengono sacrificati, ma se riusciremo a mostrare qualche aspetto delle loro vite attraverso questi giovani attori, sarà un omaggio che tributeremo a questi soldati che hanno dato la vita per il loro paese".
    Il regista Clint Eastwood

    (Letters from Iwo Jima USA 2006; storico drammatico di guerra; 2h, 20'; Produz.: Malpaso/Amblin Entertainment; Distribuz.: Warner Bros. Pictures Italia)

    Locandina italiana Lettere da Iwo Jima

    Rating by
    Celluloid Portraits:



    (Comment by PATRIZIA FERRETTI - Clint Eastwood gives us his second point of view about the same historical event with his latest masterpiece Letters from Iwo Jima (winner of the 2007 Golden Globe for the category Best Foreign Language Film). Just the thought of making another movie, about the same topic in such a short time is a very brave, and the latest one is above the other one (we are referring to Flags of Our Fathers). Letters From Iwo Jima leaves the battles in the background to bring up-close and personal the men, the great majority of them very young, and their private lives with their sense of honour and sense of duty, the baggage of a strong and, at the same time, weak humanity that one time exhaled an intense smell of burned youth and hopes kept too high. The movie starts from the heart of these men (from the letters written by a General, from those written by a mother or by a son) and it paints a sorrowful fresco that connected with a cultural cross-section (a good choice the Japanese dialogue with subtitles) that, even though so different, is so alike to the other side of the war and with even more similarities than we could have think of. Scenes full of an universal authenticity and devoid of bombastic style that make Letters From Iwo Jima a cross-section of the human race more than one about the war; an unforgettable intimist signature - (Translation by MARTA SBRANA, Canada).

    Titolo in italiano: Lettere da Iwo Jima

    Titolo in lingua originale: Letters from Iwo Jima

    Anno di produzione: 2006

    Anno di uscita: 2006

    Regia: Clint Eastwood

    Sceneggiatura: Iris Yamashita

    Soggetto: Soggetto di Iris Yamashita e Paul Haggis, tratto dal libro Picture Letters from Commander in Chief di Tadamichi Kuribayashi (Edito da Tsuyuko Yoshida e pubblicato da Shogakukan-Bunko)

    Cast: Ken Katanabe (Generale Tadamichi Kuribayashi)
    Kazunari Ninomiya (Saigo)
    Tsuyoshi Ihara (Barone Nishi)
    Ryo Kase (Shimizu)
    Shidou Nakamura (Tenente Ito)
    Nae (Hanako)

    Musica: Kyle Eastwood e Michael Stevens

    Costumi: Deborah Hopper

    Scenografia: James J. Murakamì

    Fotografia: Tom Stern

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    E' la storia inedita dei soldati giapponesi e del loro Generale che 61 anni or sono si difesero contro le forze americane che stavano invadendo l’isola di Iwo Jima.
    "Sessanta anni fa, l’esercito americano e quello giapponese si affrontarono ad Iwo Jima. Molti decenni dopo, centinaia di lettere vennero alla luce dalla desolata terra di quell’isola. Queste lettere danno volto e voce agli uomini che hanno combattuto sull’isola ed allo straordinario generale che li ha guidati.
    I soldati giapponesi vennero inviati ad Iwo Jima pur sapendo che con tutta probabilità non avrebbero fatto ritorno in patria. Tra questi vi è Saigo (Kazunari Ninomiya), un fornaio che vuole rimanere in vita solo per riuscire a conoscere la sua bambina appena nata; il Barone Nishi (Tsuyoshi Ihara), un campione olimpico di sport equestri di fama mondiale, conosciuto per la sua bravura e per la sua correttezza; Shimizu (Ryo Kase), una ex guardia militare di giovane età, il cui idealismo non è ancora stato messo alla prova dalla guerra; ed il Tenente Ito (Shidou Nakamura), un militare con idee e atteggiamenti molto rigidi, che preferirebbe il suicidio alla resa.
    Al comando della difesa vi è il Generale di Corpo d’Armata Tadamichi Kuribayashi (Ken Watanabe), i cui viaggi in America hanno fatto comprendere l’inutilità della guerra, offrendogli anche, tuttavia, le informazioni strategiche su come sfidare la numerosa armata americana proveniente dall’altro lato del Pacifico.
    Con pochi strumenti di difesa a disposizione, se non una volontà di ferro e le rocce vulcaniche dell’isola stessa, le tattiche geniali del Generale Kuribayashi riescono a trasformare quella che era stata immaginata come una sconfitta rapida e sanguinosa in circa 40 giorni di combattimento eroico e pieno di risorse.
    Circa 7,000 soldati americani sono stati uccisi ad Iwo Jima; più di 20,000 uomini appartenenti alle truppe giapponesi sono deceduti. Le sabbie nere di Iwo Jima si sono tinte del loro sangue, ma i loro sacrifici, il loro impegno, il loro coraggio e la loro pietà rivivono attraverso le lettere che inviavano a casa...".

    Dal >Press-Book< di Lettere da Iwo Jima

    Nota: Si ringrazia Valerio Roselli (Warner Bros. Pictures Italia)

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    PRELIMINARIA:

    "Nel tentativo di raccontare un avvenimento che continua a essere ricordato da tutte e due le parti, Clint Eastwood è stato assillato dalla preoccupazione sul fatto che realizzare un unico film – Flags of Our Fathers – avrebbe permesso di raccontare solo metà della storia. Con questo progetto senza precedenti, comprendente due film, realizzati in contemporanea per essere distribuiti in sequenza, Eastwood ha cercato di descrivere la battaglia di Iwo Jima – e, conseguentemente, la Guerra del Pacifico – come scontro non solo di eserciti, ma anche di culture.
    Narrando storie separate da punti di vista diversi e con lingue diverse, Lettere da Iwo Jima e Flags of Our Fathers rappresentano l’omaggio di Eastwood a coloro che hanno perso la vita in entrambi gli schieramenti del combattimento. Il regista spera di riuscire a rappresentare entrambe le facce della vicenda e, con un po’ di fortuna, a rivelare

    un modo nuovo di considerare questo momento altamente toccante della nostra storia".

    COMMENTO CRITICO:

    La seconda lettura dopo Flags of Our Fathers (il fronte americano) che Clint Eastwood con questo Lettere da Iwo Jima (il fronte giapponese) porge a distanza così ravvicinata dello stesso evento, già di per sé encomiabile e inedito atto di coraggio (già vincitore del Golden Globe 2007), supera di gran lunga la prima prova, lasciando sullo sfondo la battaglia per mettere in primo piano gli uomini, molti anche giovanissimi, e le rispettive sfere private che li rendono così quali sono, con il loro, estremo, senso dell’onore e del dovere, il bagaglio di un’umanità forte e debole ad un tempo che emana, intenso, l’odore di gioventù bruciata e di speranze strozzate. Partendo dal cuore di questi uomini (dalle lettere di un Generale, da quelle di una madre o di un figlio), ne esce un affresco accorato e

    rigorosamente congiunto ad uno spaccato culturale (felice scelta la lingua giapponese con sottotitoli) che, nella diversità, è anche per certi versi affine al versante opposto, e con molti più punti di contatto di quanti non avremmo potuto supporre. Sequenze memorabili prive di enfasi e cariche di un’autenticità universale fanno di Lettere da Iwo Jima uno spaccato umano, prima ancora che di guerra, di marca intimista indimenticabile.

    Iwo Jima 2005. Un monumento ai caduti. Armi dissotterrate per metà e cannoni ancora in posizione occhieggianti dalle feritoie fanno di Iwo Jima una sorta di Museo Naturale di uno dei più drammatici frammenti di guerra storica. Ricercatori in una galleria muniti di torce cercano reperti-documento. E’ su queste indagini ‘archeologiche’ della nostra contemporaneità, su quello scavare nel terreno e metaforicamente nella verità storica degli eventi, che la macchina da presa sfuma sull’oggi per posarsi sulla Iwo Jima del 1944, quando dei giovani soldati scavano

    la verità che si andrà cercando decenni più tardi, le vere trincee. Ma questa volta non sono americani, bensì giapponesi. Il coraggio inedito (non si conoscono precedenti) di Clint Eastwood, che già aveva dedicato a quella ormai nota battaglia di Iwo Jima un primo omaggio con il film, Flags of Our Fathers (il fronte americano), si esprime pienamente porgendone adesso un secondo, a distanza peraltro ravvicinata, con Lettere da Iwo Jima (il fronte giapponese). E lo fa con uno sguardo ancor più accorato, e oltremodo rigoroso, scegliendo la lingua giapponese con sottotitoli. (Forse è questo che ha scoraggiato la distribuzione del film ridotta all’osso, malgrado vincitore del Golden Globe 2007).
    Quel che ne esce è infatti davvero sorprendente perché Lettere da Iwo Jima è di gran lunga migliore dello stesso Flags of Our Fathers. E’ semplicemente perfetto. Un respiro a pieni polmoni dell’espressività e dell’interiorizzazione di una cultura particolare, ben diversa

    da quella americana - il suicidio come etica in risposta al fallimento militare di una missione - ma su altri versanti, soprattutto umani, anche alquanto affine - l’incoraggiamento delle madri a fare “quello che si ritiene giusto perché è giustoâ€, la condivisione di uno spirito giovanile e la passione per attività sportive, il reciproco soccorso al di fuori degli abusi di potere da entrambe le parti, sempre in agguato in stato di guerra. Due lati opposti della stessa medaglia in cui la guerra è sullo sfondo, nelle intercapedini di un discorso già avviato con Flags of Our Fathers, su cui si torna con Lettere da Iwo Jima, talora calcando i chiaroscuri di medesimi fotogrammi, proprio per sottolineare l’unicità del medesimo conflitto raccolto in una duplice visione. Là dove, sul versante giapponese, come già su quello americano, non mancano grandezza d’animo e lezioni di umanità, soprattutto di un grande Generale,

    ma non solo, così come affiorano le consuete atrocità mosse da chi approfitta del caos e del potere affidatogli per dare sfogo ai più bassi e infami istinti, ossia i vari pruriti per punizioni violente, perfino mortali, e non solo agli umani: agghiacciante la sequenza del cane colpevole di distrarre la concentrazione militare cui si lega lo struggente percorso umano e militare di uno dei giovani protagonisti di questa nuova storia. Il fatto che qui sia più forte e incisivo che in Flags of Our Father un capillare respiro umano è perché regia, sceneggiatura e ogni aspetto del film ha mosso i suoi passi dal cuore di ciascuno: non documenti di strategie militari, poste solo in sottofondo, ma da lettere private sia del Generale che di altri, là dove, l’uomo si ricorda di essere tale e ritrova per un momento se stesso, raccontando e comunicando con i rispettivi familiari. Per

    questo Lettere da Iwo Jima ha un’impronta decisamente più intimista, che guarda alla vita privata dei combattenti prima del loro arruolamento, mettendo in risalto ad esempio, il rammarico del Generale per essere partito senza aver finito il pavimento della cucina. Aspetti questi, comuni ad ogni mortale senza distinzione di sorta e Clint Eastwood trova anche modo e spazio per avvicinare tra loro, trovando dei plausibili tratti comuni o momenti di incontro pur nello scontro, le due parti avverse: non è che un esempio la sequenza del soldato americano ferito soccorso dai giapponesi, il dialogo con uno di loro che ricorda le sue olimpiadi a Los Angeles, la stretta di mano con cui si presentano sentendosi in qualche modo uniti in qualcosa. La lettura dei giapponesi della lettera indirizzata al figlio dalla madre del giovane statunitense, dà la misura dell’universalità dei rapporti umani, tra madri e figli, vite umane sospese dalla

    loro quotidiana realtà, momentaneamente adagiata in un cassetto che con tutta probabilità non si avrà più l’opportunità di riaprire. Ed è forse questo il messaggio dominante tra i tanti disseminati in un film come questo, bellissimo anche sul piano estetico-scenografico, con una fotografia anche qui monocromo-seppiata, sorella stretta del bianco e nero. Messaggio condensato in una battuta dal giovane soldato giapponese: “Ero convinto che gli americani fossero dei vigliacchi, ma non è vero. Le parole di sua madre erano le stesse di mia madre.â€
    Ma i risvolti umani si appuntano anche sulle soggettive dei giovani soldati nei confronti dei superiori (vedi le visioni contrastanti nei confronti del Generale, sospettato di scelte filo-americane, o sull’importanza data dallo stesso Generale, fermo e fedele osservatore delle (spietate) regole militari del suo popolo, a fare in modo che almeno uno dei suoi giovani soldati possa riabbracciare la moglie e la bambina neonata mai vista prima.

    Non c’è bisogno di esibirlo e Clint Eastwood, da eccellente navigato cineasta qual è, lo sa bene. Niente è più esplicito di quanto espresso tra le righe di questo toccante racconto a più voci a lettera aperta. Tutte quelle che, ritrovate in un sacchetto dissotterrato dai ricercatori - si torna dunque alle indagini del 2005 - ricadono a pioggia sul pavimento della galleria, uniche testimoni oculari superstiti di Iwo Jima, in grado di ricordare ai posteri distratti che cosa ha significato quella battaglia ma anche e soprattutto, che cosa vuol dire
    guerra.

    Commenti del regista

    A proposito del Generale Kuribayashi:
    "Durante le ricerche, mi sono incuriosito molto sulla strategia di difesa che il Generale Kuribayashi aveva ideato per l’isola. Le forze americane non capivano perchè i giapponesi riuscissero a resistere al feroce bombardamento da parte della Marina e dell’Aviazione... Mi sono domandato che tipo di persona fosse per riuscire a difendere l’isola in modo così feroce ma anche così intelligente. Creando questo sistema di tunnel nell’isola e mettendo tutto sottoterra, ha inventato qualcosa di diverso da quello che erano le difese giapponesi di quel tempo, la maggior parte delle quali erano costituite da strategia basate sulla testa di sbarco e ricorrevano all’uso massiccio dell’artiglieria navale. In questa battaglia particolare, non si potevano seguire tali sistemi. Ha incontrato molta resistenza da parte delle sue truppe riguardo alla difesa dell’isola. Molti dei suoi colleghi ufficiali lo hanno considerato pazzo mentre allestiva la rete dei tunnel... Le lettere erano indirizzate a sua moglie, a sua figlia ed a suo figlio. Molte di queste erano state spedite dagli Stati Uniti quando vi si era recato come inviato tra la fine degli anni ’20 e gli inizi degli anni ’30. Era un uomo molto sensibile e dedicato alla famiglia, della quale sentiva una forte mancanza. In quelle lettere, si capisce veramente che tipo di uomo fosse... Il Generale Kuribayashi era un uomo unico. Sotto tutti gli aspetti, era un uomo di grande immaginazione e creatività ed era pieno di risorse".
    Ma sotto la sua guida c'erano anche dei giovani soldati:
    "I giovani chiamati alle armi, che erano sull’isola, erano molto simili agli americani. Non volevano necessariamente essere in guerra. Ci erano stati mandati ed era stato loro detto di non pensare di poter tornare a casa. Questa è una cosa che non si potrebbe mai dire così perentoriamente ad un americano. La maggior parte delle persone che va al fronte pensa: ‘Si, può essere pericoloso e potrei venire ucciso, ma potrei anche farcela, invece, e ritornare a casa e alla mia normalità... Esisteva una grande probabilità che su quell’isola ci rimanessero per sempre. E’ un tipo di mentalità molto difficile per me da capire. Ma per poter comprendere meglio, ho letto tutto quello che potevo su di loro e su come fosse la loro vita in quella circostanza particolare".

    Altre voci dal set:

    La sceneggiatrice IRIS YAMASHITA (giapponese-americana di seconda generazione) a proposito del carattere e della personalità del Generale Kuribayashi:
    "Man mano che le leggevo, ho avuto la stessa impressione che Clint deve avere avuto quando queste lettere lo hanno ispirato a realizzare il film. Non potevo credere che questo padre tenero e amorevole fosse il generale delle forze giapponesi ad Iwo Jima. Le lettere erano piene di scarabocchi e di caricature e di tratti umoristici. Si capiva perfettamente quanto adorasse suo figlio e quanto questi gli mancasse".

    Il produttore ROBERT LORENZ sulle ricerche mirate al rigore filologico-storico degli avvenimenti narrati:
    "Abbiamo sottoposto il copione... a varie persone competenti sulla vicenda di Iwo Jima al fine di verificare l’esattezza degli avvenimenti storici in esso contenuti. Con l’aiuto di William Ireton (Presidente e Direttore Rappresentativo della Warner Entertainment Japan), Clint (Eastwood) ed io abbiamo incontrato il nipote del Generale Kuribayashi, il figlio del Barone Nishi, ed il capo dell’Associazione dei Veterani di Iwo Jima. Tutti hanno condiviso con entusiasmo il progetto e ci hanno dato consigli e informazioni dettagliate che hanno dato maggiore autenticità alla storia".

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