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    L'INTERVISTA

    GRAZIE A DIO - INTERVISTA al regista FRANÇOIS OZON

    20/10/2019 - GRAZIE A DIO - INTERVISTA al regista FRANÇOIS OZON

    Grazie a Dio è il suo primo film tratto da una storia di attualità e con tanti
    personaggi…


    "La mia idea iniziale era di fare un film sulla fragilità maschile. Ho portato molti personaggi femminili forti sullo schermo. Questa volta ho voluto volgere la mia attenzione su uomini che sono visibilmente sofferenti e estremamente emotivi, stati d’animo che di solito associamo al genere femminile. La prima idea per il titolo infatti era 'The Crying Man'. Poi mi sono imbattuto nel caso Preynat. Nel sito creato dalle vittime 'La Parole Libérée', ho letto storie di uomini vittime di abusi perpetrati da uomini di Chiesa. In particolare mi ha colpito Alexandre, un cattolico fervente che denunciava gli abusi che aveva nascosto fino all’età di 40 anni, quando finalmente si è sentito pronto a raccontare la sua storia. Sul sito erano pubblicati anche filmati con interviste, articoli e la corrispondenza mail tra Alexandre e alcuni rappresentanti delle gerarchie della Diocesi di Lione tra cui il Cardinale Barbarin e Régine Maire, la psicologa incaricata dalla Chiesa di supportare le vittime dei preti. Sono rimasto molto colpito dai documenti pubblicati sul sito così ho deciso di cercare Alexandre".

    Ci racconti cosa è successo

    "Ha portato con se un file della corrispondenza con la Chiesa fin dalla sua prima denuncia. Mi ha colpito molto la fiducia che ha dimostrato mostrandomi quelle lettere. Alcune potete sentirle in voice over all’inizio del film. Ho anche pensato di farne un documentario. Ho incontrato Alexandre spesso e ho portato avanti una specie di inchiesta giornalistica, incontrando le altre vittime come François e Emmanuel e le persone che gli sono vicine, le mogli, o i loro compagni, la madre di Emmanuel, i loro avvocati… non ho voluto filmare queste interviste, ma ho ascoltato e preso nota".

    Cosa le ha fatto decidere di realizzare un film e non un documentario?

    "Quando ho iniziato a spiegare il mio progetto alle vittime, ho sentito che erano reticenti all’idea che realizzassi un documentario. Avevano già fatto tante interviste con i media ed erano apparsi in servizi giornalistici e reportage. Erano invece interessati al tipo di approccio di un regista di cinema. Immaginavano un film tipo 'Spotlight' dove sarebbero stati interpretati da attori famosi. Così ho pensato: questo è quello che si aspettano da me ed è anche quello che penso di saper fare meglio. Ero preoccupato dalla realizzazione del film, perché le persone che avevo incontrato mi piacevano veramente e avevo paura che non sarei stato capace di trasporli sullo schermo, in un modo che avrebbe reso loro giustizia".

    Come ha proceduto per la scrittura della sceneggiatura?

    "Inizialmente avevo pensato di adattare la storia e renderla più funzionale. Ero tentato dall’idea di semplificare le storie dei personaggi e di non riportare le aree grigie che li circondano. Mi spaventava il grande numero di personaggi. Ho pensato di eliminarne qualcuno, per esempio volevo ridurre ad un solo personaggio le due avvocatesse di François e Emmanuel. Ma le due donne hanno personalità così diverse, hanno due differenti punti di vista sui fatti accaduti, così ho scelto di non eliminare nessuno e realizzare un film che raccontasse i fatti così come erano accaduti realmente. Per la prima parte del film, ho chiesto ad Alexandre di essere il più preciso possibile sui dettagli temporali che riguardavano la sua corrispondenza con la Chiesa. Specialmente riguardo ad i suoi incontri con Régine Maire e al suo confronto con Preynat. È stato più semplice con François e Emmanuel perché avevo le loro deposizioni, inoltre avevo accesso a tutti i contenuti pubblicati on line sul sito 'La parole libérée'. Conoscevo le parole che avevano usato, i loro modi di dire. 'Ero solo un bambino' sono parole pronunciate realmente da Emmanuel ma nel film può dirle direttamente al prete che ha abusato di lui, Preynat".

    Ha incontrato il Cardinale Barbarin, Régine Maire e Bernard Preynat?

    "Una volta che ho abbandonato l’idea di realizzare un documentario non aveva più alcun senso incontrarli. Non c’erano altre rivelazioni da fare. I fatti dimostrati dalle indagini e tutti i particolari di cui avrei scritto erano già stati pubblicati dai media o su internet. Non mi sono preso nessuna libertà rispetto ai fatti. La mia priorità è stata raccontare le storie personali di uomini, che sono stati molestati quando erano bambini, dal punto di vista delle vittime. Mi sono preso delle libertà solo con i personaggi che gli erano vicini, rimanendo però sempre fedele alla verità delle loro esperienze e ai contenuti delle loro testimonianze. Questo è il motivo per cui ho cambiato i cognomi di alcuni di loro".

    Perché ha deciso di strutturare il film come una sorta di staffetta di rivelazioni?

    "La realtà di quello che era successo si raccontava da sola. Ho rapidamente capito che ad un certo punto, il processo di Alexandre si sarebbe fermato e che la storia sarebbe andata avanti anche senza di lui. La sua deposizione aveva permesso al capo della Polizia di aprire un’indagine e contattare François, che aveva creato l’associazione 'La parole libérée', grazie al quale si era messo in contatto con Emmanuel. Un effetto domino!. Il film inizia come una battaglia personale: Alexandre contro l’istituzione. Poi il testimone passa a François, che dà vita ad un gruppo. Tramite questo gruppo il testimone passa ad una nuova vittima: Emmanuel.

    Alexandre e François sono stati scelti perché hanno un ruolo attivo nella vicenda, mentre Emmanuel è quasi una vittima anonima

    "La scelta del terzo personaggio è stata molto difficile, perché le vittime tra cui scegliere erano molte. Avevo bisogno che il film avesse una progressione drammatica, avevo bisogno che il dolore e le emozioni di ogni personaggio fossero diverse così avrei potuto mettere insieme diversi aspetti della vicenda, conseguenze differenti delle azioni della Chiesa sulla vita privata delle vittime. Dopo Alexandre e François, che erano cresciuti in un contesto confortevole e avevano un compagno che li supportava, dei bambini e un
    lavoro - era importante coinvolgere un personaggio che fosse meno integrato socialmente, il cui dolore fosse più vivo, più evidente, sia fisicamente che psicologicamente. Alexandre e François mi avevano parlato di Emmanuel, che aveva una provenienza sociale più umile, ed era più emotivo e vulnerabile. Così l’ho incontrato. Nello scrivere il suo personaggio, che si chiama anche lui Emmanuel, ho voluto rappresentare anche le altre vittime che portavano ancora i segni visibili di una grande sofferenza. Volevo che si sentisse la rabbia inesplosa. La sfida era far sentire allo spettatore ogni personaggio vicino fin dalla sua comparsa in scena".

    Il film inizia con il cardinale che cammina di spalle, poi contempla la città di Lione dall’alto della Basilica di Notre- Dame de Fourvière

    "Era fondamentale collocare il film a Lione. Lione è stato il primo luogo della cristianità in Gallia ed è legata ad una tradizione molto conservatrice della Chiesa. Geograficamente, la basilica sulla collina con la vista su tutta Lione, è una metafora del potere che la Chiesa detiene su tutta la città. L’intenzione non è mai stata di esprimere una condanna nei confronti della Chiesa ma di indagare le contraddizioni interne e la complessità del caso. Ad un certo punto uno dei personaggi spiega la sua dedizione all’associazione con queste parole 'sto facendo questo per e non contro la Chiesa'. Alexandre rispetta l’istituzione ecclesiastica e crede che Barbarin sia onesto, un uomo coraggioso che ha sempre condannato la pedofilia e che agisce per combatterla. Crede
    nella buona fede di Barbarin e della Chiesa. E perché non dovrebbe? Ad un certo punto riprendo Barbarin mentre sta pregando, probabilmente sta chiedendo aiuto a Dio. Ma è difficile per una istituzione millenaria fare dei cambiamenti al suo interno. È paralizzata dalle sue vecchie abitudini, dall’istinto di autoconservazione, da una cultura di segretezza e preservazione che impedisce a chiunque al suo interno di operare un cambiamento
    significativo. Preynat è considerato un buon prete. È ben voluto dai suoi parrocchiani e dalla gerarchia ecclesiastica".

    È tutto chiaro sin dall’inizio del film. Non c’è suspense sugli abusi commessi. La tensione è nelle conseguenze che avranno le dichiarazioni di Alexandre

    "Dovevamo partire in quarta e puntare dritto al cuore della questione, scandire il ritmo con lo scambio di mail tra Alexandre e la Chiesa. Ho trovato queste mail così potenti e ben scritte che volevo assolutamente usarle, anche se i finanziatori del film erano preoccupati di utilizzare i 'voice over'. Quello che più mi affascina e che mi disorienta in questo caso è che ogni accusa è stata dimostrata. I fatti sono tutti lì, ma a questi non sono seguite le azioni, rendendo l’ingiustizia ancora più grave e incomprensibile. Avrei potuto basare l’intero film sullo scambio di mail tra le vittime e la Chiesa, e tra le vittime stesse. I social e internet hanno giocato un ruolo significativo, permettendo la creazione del sito 'La parole libérée'. Ho utilizzato elementi che ho preso dal sito per scrivere le scene degli incontri dell’associazione. Anche se nella vita vera non si conoscevano così bene tra di loro".

    I partner di Alexandre e François sono molto presenti nel film

    "Così come nella vita reale. Senza di loro tutto sarebbe stato ancora più difficile. I loro compagni hanno condiviso pienamente la loro battaglia. Le vittime hanno sofferto così lungamente in silenzio che quando finalmente hanno potuto parlarne, le loro parole hanno travolto tutti quelli che avevano intorno, suscitando anche gelosie come nel caso del fratello di François, che ha sbottato 'ne ho abbastanza dei tuoi preti. Mamma e papà non parlano d’altro!'. Ho voluto che il pubblico percepisse la violenza fisica e emotiva che è esplosa, quando finalmente le vittime hanno potuto condividere le loro storie. Volevo che le ripercussioni fossero visibili".

    Soprattutto all’interno della relazione di Emmanuel

    "Si, anche la sua ragazza è stata vittima di abusi, aveva vissuto un’esperienza terrificante con il sistema giudiziario. Quando Emmanuel aveva letto gli articoli pubblicati su di lui dalla stampa si era inebriato. Ed era stata una sensazione inebriante poter raccontare tutto ed essere riconosciuto come vittima. Improvvisamente le persone erano interessate alla sua opinione. Riusciva a dare un senso alla sua vita. Mi ha raccontato che era stata una sorta di 'terapia dal vivo'. Il gruppo era diventato un modo attraverso cui fiorire e svilupparsi come individuo. Era stato così anche per François e Alexandre ma soprattutto per Emmanuel, che non aveva un lavoro o una posizione sociale. Il rischio era che venisse marchiato. Didier, la vittima che si è rifiutata di denunciare, parla proprio di questo, che non avrebbe voluto essere identificato per tutta la vita come una vittima di pedofilia".

    Sono stati coinvolti anche i figli di Alexandre

    "È stato difficile per Alexandre raccontare quello che aveva passato, ma loro avevano anche un età in cui avrebbero potuto subire abusi. Le vittime spesso riescono a raccontare quello che è successo a loro solo quando i figli hanno l’età in cui potrebbero essere abusati. Improvvisamente tutto diventa spaventosamente chiaro: 'io ero come loro, innocente come loro'. E questo allarme li sprona a parlare e ad agire".

    La moglie ha detto ad Alexandre che sarebbe stato una vittima tutta la vita se non avesse dimenticato Padre Preynat

    "La sua osservazione solleva quesiti che ho preso in considerazione. La logica della redenzione cattolica alimenta il confronto organizzato da Régine Maire tra Alexandre e Preynat. Durante il quale si supponeva che Preynat avrebbe chiesto perdono. Ma Preynat non lo fece mandando Barbarin su tutte le furie.
    D’altro canto secondo gli psicologi delle vittime che ho intervistato, questo confronto è esso stesso un’aberrazione perché pone ancora una volta Alexandre nella posizione di vittima che deve accusare colui che ha abusato di lui, che è quello che Preynat continua ad essere. Perché il confronto possa essere positivo e risolutivo devi abbandonare l’ambiguo spazio della morale e della religione ed entrare in un ambito legale. Il che pone la domanda: l’atteggiamento di attesa della Chiesa è un sintomo di una istituzione invecchiata rallentata nei suoi modi o è radicato nella cultura stessa della religione Cattolica, una religione basata sul perdono? Barbarin diceva, 'la porta è sempre aperta per i peccatori' pur ammettendo che Preynat dovesse essere punito. La sua posizione è sempre stata ambigua. Da quale parte stava veramente? Questa ambiguità fa sorgere in Alexandre dei dubbi sulla sua fede, come mette in evidenza la scena finale quando il figlio gli chiede: 'Credi ancora in Dio?' la vera questione è: credi ancora nell’istituzione cattolica?"

    Come ha scelto gli attori?

    "Non succede spesso di conoscere le facce dei reali protagonisti ma non avere l’urgenza di cercare attori che gli somiglino perché sono persone sconosciute al grande pubblico. Avevo già lavorato due volte con Melvil Poupaud, un attore che aveva lavorato con Eric Rohmer quando era giovane e che mi è sempre piaciuto molto. Ed è diventato più interessante con gli anni. Avevo già lavorato con Denis Ménochet, lo conosco, sotto la sua irruenza e la sua forza fisica si nasconde una grande sensibilità, sarebbe stato perfetto nei panni di François. Avevo notato Swann Arlaud in 'Petit Paysan' ed aveva quella irrequietezza e fragilità che corrispondeva esattamente a quello che volevo per Emmanuel. Nel ruolo di Padre Preynat, Bernard Verley, anche lui attore nei film di Rohmer, avrebbe portato carisma, forza e una cordialità che arricchiva il personaggio. Non aveva paura di recitare in un ruolo poco lusinghiero. L’aspetto più terrificante è che sembra assolutamente ignaro della gravità delle sue azioni".

    François Marthouret, che interpretava il padre in Sitcom, interpreta il cardinale Barbarin

    "Amo il tono della sua voce e quell’intonazione un po’ teatrale. Barbarin aveva degli aspetti simili al personaggio del padre nel mio film del 1999 Sitcom. Entrambi avevano una voce profonda, piena di comprensione e simpatia, ma poi non facevano nulla. Questo aspetto che era divertente in Sitcom, qui è terrificante, data la gravità della situazione e lo sconvolgente scollamento tra le sue parole e le sue azioni".

    E Josiane Balasko

    "Ho pensato subito a Josiane Balasko, che ammiro molto. Interpreta raramente ruoli drammatici. Non ero sicuro che volesse accettare un ruolo da non protagonista. Mi sarebbe anche piaciuto lavorare con Hélène Vincent, ma non sapevo se nel ruolo della madre di François o di Regina Maire. Ha scelto lei stessa di interpretare il ruolo della madre e ha fatto un lavoro meraviglioso, impersonando una donna molto umana piena di sensi di colpa. Martine Erhel interpreta Régine Maire. Era una delle interpreti del cortometraggio che ho realizzato quando ero studente al Fémis, è stata un’ottima scelta per Regine Maire. Sapevo che avrebbe trasmesso l’affascinante miscela di freddezza e gentilezza del personaggio".

    La musica è stata composta da Evgueni e Sacha Galperine

    "Mi era piaciuto molto il lavoro realizzato da loro per il film 'Loveless' di Andrey Zvyagintsev, specialmente il modo di usare la ripetizione e creare tensione. Ho chiesto che realizzassero una colonna sonora contemporanea che utilizzasse però anche elementi tradizionali tratti da musiche di chiesa con l’organo e i cori".

    Pensa che questo film possa aiutare a cambiare le cose?

    "Ho fatto vedere il film ad un prete che ha detto 'questo film potrebbe essere una opportunità per la Chiesa. Se la Chiesa lo sostenesse, potrebbe finalmente simboleggiare un’assunzione di responsabilità sulla pedofilia al suo interno e combattere questa piaga una volta per tutte'. Spero che accada"

    La redazione

    Fonte: Dal Pressbook di 'Grazie a Dio'


     
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