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    L'INTERVISTA

    63a Mostra (Lido di Venezia 30 agosto-9 settembre 2006) PRESS CONFERENCE & DINTORNI: BOBBY di EMILIO ESTEVEZ

    05/09/2006 - Si era avuta come l’impressione che lei fosse scomparso. Dov’è stato tutto questo tempo? Qual è stata la sua ispirazione per tornare e fare questo film così forte, che scaturisce dal cuore. Perché Bobby?

    Emilio Estevez: “Si è vero, ero scomparso, però mi sembrava di essere nella mia cantina e di lavorare su quello che volevo fare ed è venuto fuori questo film dal mio cervello un po’ contorto. Sono veramente orgoglioso di essermi rimesso in gioco e di essere stato accolto bene da questo Festival e dalla critica. Sono molto grato. E’ il momento giusto per parlare di Robert Kennedy, è il momento di ricordare la sua voce, ciò che ha fatto. Era un leader straordinario, era più di un politico. Lui rappresentava il piccolo, rappresentava l’oppresso. Io avevo bisogno di questo, di un rappresentante così”.

    In che modo questo sarebbe un ‘work in progress’? Vorrebbe continuare a lavorare per la televisione o per il cinema?

    E. Estevez: “Questo film è sempre un lavoro in stato di avanzamento: dobbiamo ancora includere i crediti di coda e anche una canzone introduttiva che sarà una specie di inno alla speranza. E’ una canzone molto gloriosa, emozionante che sarà estremamente appropriata per il film… Ho poi vari altri progetti in via di avanzamento”.

    Lei è così molto giovane e ha già lavorato con molte star in buoni film. Com’è stato lavorare con Sharon Stone e con Demi Moore? E’ vero che Sharon Stone non è venuta alla mostra perché voleva essere pagata molto?

    Lindsay Lohan: “Non so perché Sharon non sia qua. So per certo che tutti noi siamo qua per rappresentare il film e siamo molto orgogliosi di farlo. Mi sento molto fortunata di aver lavorato con tutti questi attori di così alta levatura. Io continuo ad imparare sempre molto e comunque tenevamo molto a questo film. Mi ritengo molto fortunata…”.

    Uno dei Produttori: “Non è stata una questione soltanto di soldi Tutti noi tenevano molto al film e gli attori hanno lavorato con il minimo corrispettivo finanziario perché volevano veramente raccontare questa storia”.

    Questo significa che non farà più film commerciali e che entrerà ancora di più nel reame dei film a ‘low budget’?

    L. Lohan: “Non è importante per me l’impressione che ricevo dai mass media in America. Qui intendo rappresentare un gruppo di persone che volevano fare un film. E farne uno a basso budget non significa che non ne farò più di commerciali, semplicemente mi sono appassionata all’idea di fare un film di questo tipo. E’ stimolante lavorare con persone di generazioni diverse e per me era anche importante accrescere la consapevolezza dell’esistenza di questo grande leader”.

    Ci può parlare dell’autenticità del film? Quanto è radicato nei fatti? Ha utilizzato del materiale di archivio? Quanto c’è di autentico?

    E. Estevez: “Noi tutti sappiamo cosa è successo. Conosciamo tutti i personaggi famosi che furono là, però quello che interessava a me e che volevo scoprire, erano le persone comuni che si trovavano all’epicentro di questo evento, uno dei più importanti, a mio avviso, del XX secolo. E quando ho visitato per la prima volta l’albergo, mi sono messo nel punto in cui è stato assassinato Bob e ho cominciato pensare a come questo fatto ha effettivamente cambiato la vita di tutti. Poi ho appreso che cinquanta persone sono state assassinate, colpite in quella notte, e piuttosto che rifare questo, ho pensato di scegliere i personaggi che sarebbero stati dei simboli, degli emblemi, che avremo seguito nella loro normalità. E quando Bob Kennedy nell’ultimo discorso parla della vita delle persone, lui si riferisce a questo genere di persone, come noi andiamo avanti alla cieca. Settantasette persone sono rimaste in quella dispensa e ogni persona è stata colpita e la loro vita è stata cambiata per sempre, così come la vita della Nazione. Diane interpretata da Lindsay è una militante della politica, ha passato tutta la giornata facendo le militanze. Lei si trovava nella hall e vivendo in prima persona la situazione, ha detto: ‘era come se fosse morta un po’ tutta la nostra generazione giovane e secondo me dopo siamo andati in declino. Poi c’è stato Nixon, Water Gate, siamo diventati cinici, siamo rassegnati. Era la morte del decoro, della speranza, era il declino. E noi dobbiamo ancora riprenderci da questo. Secondo me siamo ancora in lutto per quel fatto”.

    Secondo lei la nuova generazione cosa ne sa di Bob Kennedy? Era un uomo controverso, soprattutto nella prima parte della sua vita politica. E’ stato molto coinvolto nella guerra del Vietnam e anche nella questione cubana. Ci può parlare un po’ di questo? Un approccio cinematografico da cinema americano indipendente?

    E. Estevez: “Bobby Kennedy era molto sexy. Aveva 42 anni, era carismatico, la gente lo amava, voleva toccarlo… Dando uno sguardo alla situazione politica americana attuale, direi che abbiamo bisogno di una figura come questa. La generazione di Lindsay deve appunto prendere e fare questo passo per rendere un po’ più chic la politica di adesso. Lasciar da parte i tailleurs e i vestiti per indossare dei jeans, per dare uno sprint alla politica. Secondo me la nuova generazione deve fare questo. Quanto al mio approccio con il film, ho avuto la fortuna di collaborare con gente bravissima sia davanti che dietro la cinepresa… Sono semplicemente grato di essere qui a questo momento della mia vita, un nuovo capitolo della mia vita, con un film che adoro”.

    Per lei questo è un film che scardina l’America di oggi? E’ un’accusa diretta a Bush e alla sua politica?

    E. Estevez: “No, non lo è. La sceneggiatura è stata scritta prima dell’11 settembre e prima della guerra in Iraq e in Afghanistan. E’ solo che tristemente è diventato sempre più pertinente, ma non è mai stato inteso come un’accusa. Volevo fare questo film per ispirare la gente. L’ho fatto vedere ad un Senatore della California qualche giorno fa e si è molto emozionato. Ha detto: ‘questa è una chiamata all’azione, questo è un film che mi fa ricordare perché sono entrato nella politica’. Quindi non è soltanto un risveglio per me, ma è anche una richiamata alla politica per la nuova generazione. Non è un’accusa all’amministrazione attuale”.

    Lei sta dicendo che l’America deve riprendersi, quindi pensa e crede alla ripresa dell’America? E secondo lei in che modo potrà attuarsi questa ripresa?

    E. Estevez: “Io credo nella ripresa dello spirito umano. Secondo me noi siamo rotti, siamo in lutto e dobbiamo proseguire il nostro lutto. Non è soltanto la riabilitazione di un’unica Nazione, è molto più ampia la questione. Siamo cinici, rassegnati, e dobbiamo trovare cosa ci ispira e Bobby Kennedy è stata un’ispirazione. La giornalista cecoslovacca nel film dice ‘Bobby Kennedy è un’ispirazione per il popolo ceco’. Abbiamo bisogno di trovare leader veramente capaci di dare questa ispirazione”.

    Lindsay Lohan e Freddy Rodriguez si sentono più impegnati politicamente sulla scia di questo film?

    L. Lohan: “Ho sempre avuto l’impressione di essere impegnata politicamente e incoraggio la mia generazione a dire la loro e di coinvolgersi in quel che succede nel mondo perché ci vivono in questo mondo. E per quanto riguarda il mio personaggio, Diane, lei era molto galvanizzata ed era un momento in cui soprattutto le donne non parlavano, non facevano sentire la loro voce, quindi ho cercato di interpretare Diane in questo modo e far vedere che è importante dire qualcosa, votare, impegnarsi e spero che questo si vedrà, sarà evidente nel film”.

    Freddy Rodriguez: “Secondo me il mio personaggio nel film è molto importante anche per quanto riguarda quel che succede oggigiorno, per quanto riguarda la politica dell’immigrazione negli Stati Uniti. Guardando a questo personaggio, si vedono le stesse cose che succedono oggi: ci sono i latino-americani che lavorano per lo stipendio minimo negli alberghi, nei ristoranti. Io mi sono sentito orgoglioso di poter mettere un volto su persone di questo genere, che ci sono sempre, anche oggi”.

    E. Estevez: “Per proseguire il discorso di Freddy, vorrei dire che spesso noi non conosciamo la gente che pulisce la stanza, la gente che ci cucina il cibo, e questo è veramente un allarme per tutti, perché sono loro che fanno andare avanti la macchina, che la fanno funzionare. E tornando indietro sul registro della visione che del film ha fatto il senatore della California, posso dire che ha ringraziato per il fatto di aver fatto vedere i latino-americani come persone decenti, decorose. Sono orgoglioso di quello che ha fatto Freddy. Ogni volta che lo vedo ne rimango impressionato e provo molta emozione”.

    Ci può parlare di quando lei ha stretto a mano a Bobby Kennedy? Di come e quando lo ha conosciuto direttamente?

    E. Estevez: “Ho incontrato Bobby Kennedy nel ’67, avevo cinque anni ed evidentemente non mi ricordo questo. Stavo sulle spalle di mio padre e lui era arrivato in città per fare del lavoro per il sindacato. Mio padre è andato lì e Bobby mi ha stretto la mano. Si può dire che questo è il momento in cui ha avuto inizio questo mio viaggio. E due anni dopo…io e mio padre abbiamo viaggiato nel New Messico e poi in California. Mi ricordo che siamo andati addirittura anche nell’albergo Ambassador. Ricordo l’impressione che ho avuto visitando questa hall dell’albergo, proprio nel posto dove si era fermata la musica. Non sono più ritornato all’albergo fino all’anno 2000. Effettivamente nel 1989 l’albergo era stato chiuso e utilizzato come esterno in musicals e show televisivi. In quel giorno stavo facendo delle riprese e ho potuto fare un’ispezione dell’albergo nel suo insieme, ed è stato allora che ho cominciato ad immaginare che cosa avrebbe potuto essere fare un film su questa storia. Ho iniziato a fare delle ricerche e ho scoperto che c’erano altre cinque persone che sono state colpite e tante cose di cui non si è a conoscenza, neppure navigando su Internet. Occorre andare in biblioteca e sfogliare pagina per pagina. Era un po’ come tornare a scuola, sfogliando tutti questi libri. Ho approfondito la ricerca grazie anche a E-Bay e alle riviste ‘Newsweek’ e ‘Life’ a cui ho avuto accesso tramite internet. Grazie a queste fonti sono riuscito a mettere insieme informazioni sufficienti per poter cominciare. Dopo ho scritto 30 pagine della sceneggiatura e poi ho avuto un blocco da scrittore e ho portato per un anno in giro queste trenta pagine senza farci più nulla. Dopo di che la gente cominciava ad insospettirsi riguardo a ciò che stavo facendo. La mia famiglia era inquieta e sono stato sollecitato a terminare questa cosa importante. Il giorno dopo ho messo tutto in macchina e ho cominciato ad andare verso Los Angeles. Era d’estate e non avendo prenotato non ho trovato nessun posto, sono finito in un hotel piuttosto scadente, anzi, a dir la verità cadeva a pezzi: non c’erano né Tv né telefono. Sono andato alla reception e c’era una donna intorno ai cinquant’anni che mi ha riconosciuto. Abbiamo cominciato a parlare del motivo per cui mi trovavo lì e le ho rivelato che stavo scrivendo una sceneggiatura sul giorno della morte di Bobby Kennedy e lei ha cominciato a piangere e mi ha detto che si trovava lì. Si chiamava Diane ed era una volontaria per la campagna elettorale di Bobby Kennedy. Ha passato la giornata distribuendo volantini in giro. E’ stata lei a rompere il mio blocco da scrittore e mi ha fatto iniziare di nuovo a scrivere. Così ho incluso questo personaggio nella sceneggiatura e sapevo evidentemente come andava a finire. Era il secondo atto che dovevo fare, e il personaggio di Lindsay appunto, è venuto fuori così”.

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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