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    L'INTERVISTA

    63a Mostra: Lido di Venezia, 1 settembre 2006 - PRESS CONFERENCE & DINTORNI World Trade Center per la regia di OLIVER STONE

    1/09/2006 - IL CUORE UMANO UNISCE LA GENTE; LA POLITICA LA DIVIDE

    Una conferenza stampa del tutto particolare quella del WORLD TRADE CENTER che ha visto presenti, oltre al regista OLIVER STONE e a una delle attrici protagoniste MARIA BELLO, i veri protagonisti della vicenda, i due sopravvissuti John McLoughlin e Will Jimeno, con le rispettive consorti, anch’esse ritratte nel film:

    Che effetto fa rivedere ricreati sul grande schermo quei momenti vissuti in prima persona a distanza in fondo così abbastanza ravvicinata? Era il momento giusto per raccontare questa storia e perché?

    John McLoughlin: “Io ho avuto una grandissima emozione a vedere questo film. Molte parti per me sono difficilissime da rivivere. Se questo sia il momento giusto per raccontare questa storia? Secondo me, date le circostanze, le cose sono arrivate a questo momento e chi aveva delle perplessità proprio sul fatto se questo fosse il momento giusto, dopo aver visto il film ha riconsiderato la cosa pensando che si, era il momento giusto di far vedere questa storia, che poi è solo una tra le migliaia”.

    Will Jimeno: “Per me e per mia moglie non è troppo presto far vedere l’amore, la fiducia che avevamo per l’umanità, che si sentiva quel giorno. E quando vediamo un film di questo tipo con grandi talenti, con la Paramount che ha fatto di tutto per portare questo al mondo, di far vedere la speranza che si è vista quel giorno, beh, non è mai troppo presto per onorare chi ha dato la propria vita per salvare altri”.

    Ci si aspettava un film più politico sul World Trade Center. Da Oliver Stone ci si aspettava un film dal taglio forse più polemico. L’unico momento forse, è l’ex marine che davanti alla Croce quasi come fosse un templare, torna a vestire la divisa. Per il resto, è un film sulla quotidianità della tragedia dell’11 settembre. Come mai questo taglio da buoni sentimenti?

    OLIVER STONE: “Volevo fare questa storia perché secondo me era una storia straordinaria, molto insolita, non una storia convenzionale, tradizionale. Si tratta di cinque persone nella mia percezione, John, Will, Donna, Allison e il marine che li ha salvati. E anche i cinquanta soccorritori che sono andati sotto le macerie. Non c’era altro spazio, perché queste persone non avevano mai espresso i loro sentimenti politici, non ne hanno mai parlato. Questo è un altro film. Questo comporterebbe parlare del post 11 settembre. E’ un film molto affascinante. Forse un giorno sarò privilegiato a fare questo tipo di film politico. Sarebbe un piacere. Mantenendomi alla storia e passando attraverso la convenzionalità per trovare lo straordinario che è la cosa che mi ha interessato qui. Forse lei sarebbe dovuto essere più gentile (in altre parole è una questione di sensibilità) per capire che questo è un film molto intenso, ha molto potere, crea emozione, tocca il cuore, ed è nel cuore che, alla fine, abbiamo la condizione umana, perché è il cuore che mette insieme la compassione, gente che si aiuta l’un l’altro e che poi aiuta altri: Will e John si sono aiutati a vicenda, Alison e l’altra moglie si sono aiutate e anche John e Donna. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro. La gente ha bisogno dell’altra gente. E non ci sono eroi nel vero senso della parola. C’è della gente che ha bisogno di una connessione. Il momento del mondo è di quelli più bui e ciò che ci aiuterà a sopravvivere è il cuore umano, perché il cuore umano mette insieme, unisce la gente, la politica la divide”.

    Questo film può essere visto come una grande storia d’amore, abbiamo questo grande amore tra le persone che mantiene in vita. C’è però questo legame con la vendetta. Il personaggio che salva queste persone poi, come leggiamo nei titoli di coda del film, decide di andare nella guerra in Iraq che tutti ben conosciamo e che anche lei peraltro ha criticato. Perché in un film che finisce come una grande storia d’amore era necessario o importante segnalare questo legame con la vendetta…

    OLIVER STONE: “Grazie per aver notato questo. Ho sempre pensato che Will e Allison, John e Donna fossero due storie d’amore, una coppia più giovane e un’altra più avanti negli anni. E secondo me questo è un bellissimo contrasto. Questo film, ho fatto molti film sulla morte e in cui molta gente sio avvicina alla morte, non mi sono mai avvicinato così tanto alla morte. John e Will si avvicinano alla morte e Nicholas Cage e Michael Peña hanno recitato in modo eccellente, sono andati molto vicini alla morte e poi sono tornati. Questo è molto difficile da rendere, non c’è niente di convenzionale della morte e del far vedere la morte. Per quanto riguarda …Davil .., quel marine, sarebbe stato ingiusto per me diventare politicamente corretto a questo punto della mia vita, e con questo intendo dire, ignorare il fatto. Questa storia si basa su fatti reali… in quella notte incredibile si è poi incontrato con un altro marine…, e loro hanno trovato questo tizio sotto le macerie. Con questa storia volevo far capire agli spettatori che questo marine, dopo esser stato precedentemente in Iraq vi è tornato perché voleva vendicarsi. E dobbiamo accettare questo. Gli americani hanno sentito rabbia, hanno sentito la voglia di vendetta. Si è visto questo in Afghanistan ma non si è completata questa vendetta e molti hanno sopportato la guerra in Afghanistan perché penso che la gente abbia sentito come un senso di oltraggio, di rabbia in qualche modo comprensibile e che gli Americani volevano esprimere, nella guerra in Afghanistan. La guerra in Iraq è un’altra cosa. Io mi sono già espresso su questo. Secondo me è sbagliato ma non lo era per il marine. E cambiare i fatti sarebbe contrario al mio carattere, sarebbe contro quello che io voglio fare…”:

    Sedici milioni di dollari negli Stati Uniti è stato il risultato al box office… Come si sente dopo l’accoglienza calorosa che gli ha riservato la destra negli Stati Uniti?

    OLIVER STONE: “La Paramount è molto felice dei risultati del box office di queste tre settimane negli Stati Uniti…”.

    (…)

    SEGUE

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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