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    L'INTERVISTA

    I FIGLI DELLA MEZZANOTTE - INTERVISTA alla regista DEEPA MEHTA (A cura dell'inviata ELISABETTA VILLAGGIO)

    30/03/2013 - DEEPA MEHTA, la regista indiana candidata all’Oscar nel 2006 per WATER nella sezione 'Miglior Film Straniero', è a Roma per presentare il suo nuovo film I FIGLI DELLA MEZZANOTTE tratto dall’omonimo romanzo di SALMAN RUSHDIE uscito nel 1981. Il film è una storia epica che racconta l’India degli ultimi cent’anni. Il lungometraggio, che esce in Italia il 28 marzo con 50 copie, è costato 10,7 milioni di dollari.

    DEEPA, che è autrice di una serie di film che hanno permesso al cinema indiano di maturare, indossa dei pantaloni larghi in stile indiano, uno scialle rosso e porta i capelli lunghi sciolti sulle spalle. L’accompagna il produttore che è anche suo marito, DAVID HAMILTON

    Quando ha conosciuto Rushdie?

    DEEPA MEHTA: "Ho conosciuto Rushdie più di 7 anni fa e siamo diventati subito amici. È venuto a casa nostra per cena e abbiamo iniziato a parlare del suo romanzo. Gli ho chiesto chi avesse i diritti del libro e lui mi ha risposto automaticamente che erano suoi e me li avrebbe concessi. In realtà il libro che volevamo fare era un altro ma poi ho scelto I figli. La storia è complessa e si muove su vari livelli. Abbiamo buttato giù una prima stesura ma è venuta lunghissima, dieci ore. Avevamo letto il libro tanti anni prima e la complessità della storia era notevole. Poi siamo riusciti a tirar fuori una sceneggiatura che fosse fedele alla storia ma fosse anche realizzabile come film".

    Come nasce l’idea di questo film magico? Ci sono delle basi vere in questa storia?

    D. MEHTA: "Non è una vera storia. Io Salman abbiamo parlato a lungo e abbiamo deciso di lasciare questa magia per creare un potenziale di speranza in questi bambini indiani. Non volevo fare niente tipo Harry Potter ma creare una magia che volesse dire speranza. Volevo capire cosa Rushdie avesse in mente mentre scriveva il romanzo. Per lui i poteri in mano a questi ragazzi erano una metafora che rappresentava le potenzialità di questi ragazzi, una magia realista".

    Lei e suo marito avete chiesto a Rushdie di scrivere la sceneggiatura. Siete rimasti ancora amici dopo questo lavoro?

    D. MEHTA: "Lui inizialmente non voleva partecipare alla sceneggiatura ma per me era molto importante che ne facesse parte. Siamo riusciti a parlare a lungo durante la stesura e se c’erano cose sulle quali non eravamo d’accordo ne discutevamo. Lui inizialmente non voleva scrivere mentre per me era molto importante che lui fosse coinvolto in questa fase. Alla fine l’ho convinto e abbiamo lavorato benissimo insieme. È stato un bene che il film sia venuto fuori 30 anni dopo l’uscita del libro. Questo ha fatto sì che Rushdie avesse un atteggiamento distaccato".

    Come avete lavorato alla storia lei e Rushdie?

    D. MEHTA: "Mentre scrivevano ci siamo allontanati dalle location in modo da creare una certa fluidità alla storia. Lui è anadato a New York e io in Canada. Poi abbiamo buttato giù i punti fondamentali della storia e ci siamo rincontrati dopo due settimane. A quel punto ci siamo accorti che avevamo la stessa visione, avevamo lo stesso immaginario. Naturalmente mentre giravamo Salman non c’era. Alcune cose le abbiamo cambiate rispetto al libro. Ci sono state alcune scene che ho dovuto aggiungere, non erano nel copione, come una delle ultime scene dove il bambino alla fine è messo nella cesta, quella scena nel libro non c’era".

    Come è stata accolta in India la sua collaborazione con uno scrittore così controverso?

    D. MEHTA: "Già con 'Water' ho avuto difficoltà quando il film è uscito in India nonostante abbia ricevuto critiche favorevoli e ottimi incassi. Con Water ho avuto problemi con il governo indiano ma ormai sono passati 5 anni e da quel momento i miei rapporti con l’India non sono più controversi. Quando ho iniziato a girare “I figli della mezzanotte” sia io che Salman abbiamo deciso di non farci influenzare dalle polemiche. Il suo libro comunque era stato accolto benissimo in India quando uscì. In ogni caso abbiamo avuto un ottimo distributore indiano che nonostante tanti temi toccanti e controversi ha deciso di uscire senza nessun taglio. Avevo paura che sarebbe stato sottoposto alla censura soprattutto per come ho trattato Indira Gandhi invece non c’è stato nessun problema. Sia io che Rushdie abbiamo avuto problemi con l'India ma abbiamo deciso di non parlarne perché la paura blocca la creatività".

    E’ stato un film difficile da realizzare?

    D. MEHTA: "Penso che ogni film abbia le sue difficoltà, anche i film più piccoli e semplici si rivelano complessi. Il modo in cui ho approcciato il film è il mio solito modo, qui c'è un ragazzo che cerca di trovare la sua identità, la sua famiglia, una casa. Le vicende di Saleem riguardano l’intera India. In fondo è una storia intima che si sviluppa su temi più larghi. Delle volte un piccolo film è più difficile da realizzare che non questo che è un grosso film epico. Ogni film rappresenta una sfida".

    In che lingua è stato girato?

    D. MEHTA: "Per la maggior parte in inglese, poi c'è una parte in pakistano. In totale ci sono circa 7 lingue indiane oltre il pakistano ma per l’80% è stato girato in inglese.

    Dove è stato girato?

    D. MEHTA: "Abbiamo girato molto in Sri Lanka che non è molto cambiata negli ultimi 30 anni a causa della guerra e questo ci ha permesso di ricostriuire le scene. Sarebbe stato difficile ricostruire le stesse scene in India perché negli ultimi anni l’India è cambiata moltissimo".

    Uscirà anche in Pakistan?

    D. MEHTA: "Il film non dovrebbe uscire in Pakistan anche perché lì non c’è quasi più un’industria cinematografica. In India uscirà in 150 di sale che forse non sembra molto ma questo non è un Bollywood film ma un film di nicchia, un cinema d’essai".

    Ultimamente il film indiano è fatto da donne

    D. MEHTA: "Si e ne sono molto contenta".

    Com’è l’India di oggi?

    D. MEHTA: "Oggi l’India è molto diversa, l'economia corre, non è più l’India degli anni ‘70. È uno dei paesi del bric con un grande tasso di crescita anche se le differenze rimangono enormi. Ci sono persone che continuano a non avere nulla e persone che hanno decisamente troppo".

    L’India che racconta nel film è un’India prevalentemente musulmana

    D. MEHTA: "L’India è un paese con molte religioni dove c'è anche una forte componente musulmana e comunque io ho rispettato il libro. Il protagonista viene da una famiglia musulmana e io ho raccontato questo anche se altri personaggi sono indù, cristiani sickh e misti, c'è la rappresentazione di tutte le religioni indiane".

    Il suo è in un certo senso un film di nicchia per quello che riguarda il mercato indiano?

    D. MEHTA: "Il cinema in India è principalmente intrattenimento anche se si sta sviluppando un cinema indipendente. Negli ultimi 5-10 anni c'è stato questo sviluppo anche se su circa 750 film prodotti annualmente solo una ventina sono indipendenti".

    In questo momento ci sono tensioni tra Italia e India per la faccenda dei marò. Un suo commento

    D. MEHTA: "I politici sono diversi dalle persone normali, anche quelle che dicono di occuparsi di loro. Questa storia sembra quasi una sceneggiatura scritta da India e Italia. In qualche modo credo che noi persone normali non abbiamo tutte le informazioni. Mi rendo conto che i politici quali essi siano e da dove vengano non rappresentano veramente il popolo. Per quello che riguarda i due marò sembra una specie di film, una sceneggiatura scritta dai due governi coinvolti, ma noi non abbiamo tutte le informazioni necessarie a fare un commento".

    Ma lo girerebbe questo film?

    D. MEHTA: "Si penso che potrebbe essere molto interessante".

    Ha progetti per il futuro?

    D. MEHTA: "Non per il futuro immediato, vorrei farmi un lungo sonno".


     
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