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    L'INTERVISTA

    DEFIANCE - I GIORNI DEL CORAGGIO - INTERVISTA al regista EDWARD ZWICK e all'attore DANIEL CRAIG (A cura dell’inviato ERMINIO FISCHETTI)

    20/01/2009 - Roma, St. Regis Grand Hotel (Sala Danieli 1) - Lunedì 19 gennaio 2009, il regista EDWARD ZWICK e l’attore DANIEL CRAIG sono arrivati a Roma per presentare il nuovissimo DEFIANCE, pellicola sulla resistenza di un gruppo di ebrei dell’Europa Orientale, che durante la seconda guerra mondiale scamparono ai campi di sterminio e alla supremazia tedesca. Il merito di questa lotta è da attribuire a coloro che guidarono il nascondiglio situato al freddo e al gelo della foresta bielorussa, ossia i fratelli Bielski. Uomini coraggiosi, ma dal passato pieno di ombre oscure. La pellicola di EDWARD ZWICK esce nelle sale italiane il 23 gennaio 2009 in circa duecento copie.

    Signor Craig, conosceva la storia e come si è documentato al personaggio di Tuvia Bielski.

    DANIEL CRAIG: “Non avevo nessuna idea di questa storia. Sapevo di alcuni movimenti della resistenza da parte di ebrei nell’Europa Orientale. Ero a conoscenza della rivolat nel ghetto di Varsavia, ma nulla nello specifico. Ho letto alcuni libri e non ultimo quello di Tec su cui è basato il film. Ho avuto lunghe conversazioni con gli altri attori e con il regsita e ho cercato, così, di documentarmi”.

    Questo film ripropone l’immagine dell’ebreo che si sottrae al suo tragico destino di quel periodo mettendo contemporaneamente a frutto la cultura delle armi e della comunità ebraica in senso più ampio

    EDWARD ZWICK: “Innanzitutto, bisogna capire che la cultura ebraica è anche una cultura di combattenti che trova le sue origini nella Bibbia. Quello che loro vogliono fare in questa storia è conservare la propria cultura e la propria vita attraverso la forza e la resistenza, l’opposizione ai nazisti. Loro vogliono recuperare ciò che gli è stato tolto. Erano persone che sapevano di poter morire da un momento all’altro, si trovavavano di fronte ad un genocidio e dovevano sfuggirvi”.

    Signor Zwick, oltre al Vecchio Testamento, viene logico chiedersi se ha pensato anche alla questione di Masada?

    E. ZWICK: “Questo film è una storia che guarda sia indietro che avanti. Se si considerano le vicende di queste persone che sono costrette ad abbandonare la propria casa per andare a vivere da qualche altra parte, portando con sé soltanto i magri possedimenti che avevano, perché cacciati da lì, immediatamente non facciamo che pensare alla Diaspora, presente nel Vecchio Testamento. I due fratelli che si aiutano vicendevolmente e aiutano gli altri fa pensare inevitabilmente a Mosè e Aronne. Ma questa è anche una storia profondamente contemporanea, quello che succedeva a loro e nella Bibbia fa pensare alle migliaia di persone che oggi continuano a venire scacciate dalle loro case”.

    Ora sembra quasi diventato un trend fare film sulla seconda guerra mondiale, a Hollywood parlano addirittura di un nuovo “genere” a cui fare riferimento.

    D. CRAIG: “Si, ad Hollywood si parla tanto di questa cosa, ma io credo sia ridicolo anche solo il fatto di pensare che possano ricevere una loro “definizione”. Ci sono cose rilevanti nelle storie che vengono raccontate su quel periodo perché sono storie umane. Hanno rilevanza perché sono storie che parlano di uno spirito umano e, di conseguenza, hanno la loro importanza e quella di questa storia è che non è mai stata raccontata”.

    E. ZWICK: “Io credo che ormai le persone che hanno fatto esperienze e hanno vissuto durante la seconda guerra mondiale sono rimaste in poche, fra cinque o dieci anni non ci sarà più nessuno. Quindi credo ci sia da parte degli artisti un’ansia nel cercare di raccontarle facendosele confermare da chi è vissuto all’epoca”.

    Immagino che girare in esterni, al freddo, abbia comportato inevitabilmente un’immdesimazione maggiore con gli eventi accaduti!? È stato difficile per lei reperire i fondi anche perché non si può considerare una produzione totalmente americana.

    E. ZWICK: “Sin dall’inizio avevamo deciso che avremmo utilizzato la luce naturale e ovviamente era poca in Lituania. Per gli interni, ovviamente, abbiamo utilizzato delle lampade, ma queste sono poi decisioni del direttore della fotografia. Quindi sia il cast che la troupe dovevano essere sempre presenti all’occorrenza. Per questo si sono strette amicizie tra tutti e questo ha influito nell’energia e nella carica della produzione e delle riprese. Cercavamo di ricordarci, comunque, che per coloro che quell’esperienza l’avevano vissuta davvero non c’erano né letti caldi, né cibo caldo alla sera.
    Questo film si può definire più europeo che americano perché per raccogliere i soldi ci siamo rivolti all’Inghilterra, alla Francia, alla Germania, siamo venuti anche qui in Italia, poi abbiamo trovato un distributore americano che ha deciso di farlo circolare negli Stati Uniti. Ma dal punto di vista artistico questa storia è più interessante per gli europei che per gli statunitensi. Quanto al discorso del freddo và detto che Daniel (Craig), Jamie (Bell) e Liev (Schreiber) sono attori alla ricerca della verità e sicuramente quella condizione un po’ ha aiutato a fargliela trovare”.

    Lei crede che enfatizzare ciò che è accaduto ieri tenda a minimizzare ciò che accade oggi?

    E. ZWICK: “Io non credo che questo sia il nostro caso perché il film non è in grado di parlare della contemporaneità. Questo è compito dei giornalisti e dei saggisti. Credo che il cinema abbia bisogno di una certa distanza, in termini temporali e fisici, proprio per cercare di instillare quegli eventi e riunirli in un paio di ore. Il cinema, per sua natura, è riduzionista e il suo compito è concentrare gli eventi in una forma rappresentativa. Gli eventi odierni sono talmente complessi che richiedono un’analisi molto più sofisticata. Credo che sia necessario affrontare le cose che riguardano il passato perché oggi più che mai i ragazzi non leggono più tanti libri complessi di Storia e, quindi, il cinema ha ancor di più il dovere di dare una rappresentazione il più possibile fedele della realtà degli eventi storici. È una responsabilità. Se i ragazzi escono dal cinema e per mezz’ora o un quarto d’ora discutono di quello che hanno visto e sentito allora possiamo dirci di aver raggiunto lo scopo”.


     
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