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    HANNAH ARENDT: LA REGISTA MARGARETHE VON TROTTA PROPONE UN ALTRO RITRATTO FEMMINILE FORTE, TALMENTE GENIALE E CORAGGIOSO DA CAMBIARE LA STORIA. QUEL RAMO DI STORIA IN CUI HA VISSUTO, ALL'OMBRA DEGLI ORRORI DELLA GERMANIA NAZISTA, LA FILOSOFA EBREO-TEDESCA RIFUGIATA NEGLI STATI UNITI HANNAH ARENDT

    RECENSIONE IN ANTEPRIMA - Dal 27 GENNAIO (il 27 e il 28 Gennaio) in occasione della GIORNATA DELLA MEMORIA - Dal Bari International Film Festival 2013

    "La luce che proviene dalle opere di una persona si diffonde nel mondo e rimane anche dopo la sua morte. Che sia grande o piccola, effimera o duratura, dipende dal mondo e dai suoi metodi. Ai posteri l’ardua sentenza.
    La luce che proviene dalla vita di una persona – le parole dette, i gesti, le amicizie – sopravvive soltanto nei ricordi. Se deve entrare in questo mondo, ha bisogno di trovare una forma nuova. Una storia deve essere composta da tanti ricordi e storie
    ".
    La scrittrice Elisabeth Young-Bruehl (autrice della biografia Hannah Arendt)

    "La luce del lavoro che Hannah Arendt ha trasmesso al mondo brilla ancora. E visto che il suo lavoro viene citato da un numero sempre crescente di persone, diventa più luminoso ogni giorno che passa. In un’epoca in cui molte persone si sentono obbligate ad aderire a un’ideologia precisa, la Arendt rappresentava un esempio luminoso di qualcuno che rimane fedele alla sua visione particolare del mondo. Nel 1983, volevo realizzare un film su Rosa Luxemburg, perché ero convinta che fosse la donna e pensatrice più importante dello scorso secolo. Io desideravo comprendere la donna dietro alla combattente rivoluzionaria. Ma ora, agli inizi del ventunesimo secolo, Hannah Arendt è una figura anche più importante. La sua visione e profondità iniziano a essere capite e affrontate correttamente solo adesso. Quando formulò per la prima volta il concetto de 'la banalità del male' – un termine che aveva coniato nel suo reportage sul processo a Eichmann – venne criticata aspramente e attaccata, come se fosse una nemica del popolo ebraico. Oggi, questo concetto è diventato una componente essenziale di qualsiasi discussione che tenta di giudicare i crimini dei nazisti. E, ancora una volta, io ero interessata a trovare la donna dietro a questa grande pensatrice indipendente. Lei era nata in Germania e morta a New York. Cosa la portò lì? In quanto ebrea, non ha certo lasciato la Germania di sua spontanea volontà e per questa ragione, la sua storia suscita una domanda che mi sono posta in tanti altri miei film: come si comporta una persona di fronte a eventi sociali e storici che non può influenzare o cambiare? Come tanti altri ebrei, la Arendt avrebbe potuto diventare una vittima del nazionalsocialismo, ma si rese conto del pericolo e abbandonò la Germania per recarsi a Parigi. Quando la Francia venne invasa, lei scappò a Marsiglia e, passando attraverso la Spagna e il Portogallo, arrivò finalmente a New York. Mentre fuggiva, pensava amaramente ai tanti amici che avevano scelto di rimanere e sostenere i nazisti. Lei era molto delusa, constatando quanto rapidamente si adattavano a una 'nuova era', descrivendo questo fenomeno in un’intervista come 'Zu Hitler fiel ihnen was ein'. Voleva dire che, per giustificare la loro decisione, 'si facevano delle idee false su Hitler'. L’esilio rappresentò la sua 'seconda nascita'. La prima trasformazione nella sua vita avvenne quando studiò filosofia con Martin Heidegger. A quell’epoca, la sua vocazione era inseguire il pensiero puro. Ma dopo l’esilio forzato, non aveva scelta, se non quella di impegnarsi negli eventi concreti del mondo. Nel 1960, quando si sentì finalmente a suo agio in America, era pronta ad affrontare uno dei capitoli più tragici del ventesimo secolo. Lei avrebbe osservato direttamente l’uomo il cui nome evocava l’assassinio di milioni di ebrei: Adolf Eichmann. Il nostro film si concentra su quei quattro anni turbolenti, in cui le vite della Arendt e di Eichmann si incrociano. Questo ci offriva l’opportunità di raccontare una storia che portasse a una comprensione profonda dell’impatto storico ed emotivo suscitato da questo confronto esplosivo. Quando la pensatrice originale e priva di compromessi si ritrova di fronte al burocrate sottomesso e ligio al dovere, sia la Arendt che il discorso sull’Olocausto cambiano per sempre. In Eichmann, lei ha visto un uomo il cui mix fatale di obbedienza e incapacità di pensare in maniera autonoma ('Gedankenlosigkeit') gli ha permesso di trasportare milioni di persone verso le camere a gas. Ritrarre Hannah Arendt quasi esclusivamente nel periodo che inizia con la cattura di Eichmann e termina poco dopo la pubblicazione del suo libro La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, ha reso possibile non solo investigare il suo lavoro rivoluzionario, ma anche rivelare il suo carattere e la sua personalità. Abbiamo modo di conoscerla come donna, come compagna di vita e, cosa più importante per lei, come amica. Alcuni flashback ci riportano agli anni venti e cinquanta – in cui vediamo la relazione appassionata di una giovane Hannah con Martin Heidegger — così come il loro incontro diversi anni dopo la conclusione della guerra. Lei non riusciva a troncare il rapporto con Heidegger, nonostante lui avesse aderito al partito nazionalsocialista nel 1933. Questi flashback sono importanti per capire il passato della Arendt, ma il film è incentrato soprattutto sulla sua vita a New York assieme al marito Heinrich Blücher, che lei aveva incontrato quando era esule a Parigi, ai suoi amici tedeschi e americani, soprattutto l’autrice Mary McCarthy, e al suo amico di lunga data, il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas.
    Questo è un film che mostra Hannah Arendt come una persona divisa tra i suoi pensieri e le sue emozioni, tanto da dover spesso separare l’intelletto dai sentimenti. La vediamo come una pensatrice e insegnante appassionata; una donna capace di un’amicizia che dura tutta la vita – qualcuno l’aveva definita un 'genio dell’amicizia' – ma anche una combattente, che in maniera coraggiosa difendeva le sue idee e non si sottraeva a nessun confronto. Il suo obiettivo era sempre quello di capire. La sua frase caratteristica, 'io voglio capire', è quella che la descrive meglio. Ed è proprio la sua ricerca per comprendere le persone e il mondo che mi attiravano. Come la Arendt, io non voglio giudicare, ma soltanto capire. In questo film, per esempio, voglio capire quello che Hannah Arendt pensava sul totalitarismo e il collasso morale dello scorso secolo: sull’autodeterminazione e la libertà di scelta; e quello che è riuscita a rivelare del male e dell’amore. Spero che il pubblico arrivi a capire, come è capitato a me, perché è così importante ricordare questa grande pensatrice. La chiave per comprendere la sua vita è il desiderio della Arendt di rimanere fedele a quello che definiva 'amor mundi', l’amore del mondo. Sebbene il suo esilio forzato l abbia portata a essere vulnerabile e a soffrire di alienazione, ha continuato a credere nel potere dell’individuo di sopportare la forza crudele della storia. Il suo rifiuto di farsi sopraffare dalla disperazione e dalla mancanza di speranza la rendono, ai miei occhi, una donna straordinaria, la cui 'luce brilla ancora oggi'. Una donna che può amare ed essere amata. E una donna che può, come si è definita, 'pensare senza steccati'. Insomma, una pensatrice indipendente. Per offrire una visione autentica della Arendt come essere umano, abbiamo dovuto andare oltre le tantissime risorse scritte e audiovisive trovate negli archivi. Quindi, dopo un lungo periodo di ricerche tradizionali, abbiamo svolto delle interviste importanti con delle persone contemporanee, che hanno fatto parte della vita e del lavoro di Hannah Arendt per tanti anni
    ".
    La regista Margarethe Von Trotta


    Vai alla scheda completa del Film Hannah Arendt

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