CAKE: JENNIFER ANISTON VIRA SUL DRAMMA DOPO DECENNI DI COMMEDIA. AL SUO FIANCO SAM WORTHINGTON ED ANNA KENDRICK, MENTRE LA COMPIANTA MISTY UPHAM NELLE VESTI DI LIZ CI CONSEGNA IL SUO ULTIMO RUOLO COMPIUTO

Come se non bastassero le cicatrici sul viso, il dolore di Claire Simmons (Jennifer Aniston) traspare da ogni piccolo gesto o movimento, ogni piccola parola. Incapace di “dialogare” con questa sofferenza, lei preferisce ingaggiarvi contro una sorta di battaglia che, tuttavia, la vede spesso soccombere, riducendo il proprio corpo (e la propria mimica) a un monumento ambulante, all’angoscia che si trasforma inevitabilmente in rabbia. Una rabbia che erutta senza preavviso e che la porta al di là delle capacità di intervento di chiunque, marito in testa (Chris Messina). L'unica che stoicamente le rimane accanto è la pragmatica Silvana (Adriana Barraza), la sua badante e domestica e bersaglio preferito, la quale cerca di cavarsela come può tra le richieste di liquori e pillole del suo datore di lavoro. Quando però uno dei membri del gruppo di supporto sul dolore cronico che Claire frequenta (ma da cui viene cacciata, tanto è ingestibile…),

tale Nina (Anna Kendrick), la fa finita buttandosi da un cavalcavia, ecco che in lei sorge una nuova ossessione. Così, con la mente fissa sul suicidio della donna (che conosceva a malapena), Claire si avvicina sia alla famiglia di Nina - ha lasciato marito (Sam Worthington) e figlioletto - che al bordo che divide vita e morte, dove pericolo e salvezza si sfiorano, aprendo finalmente un canale di comunicazione con ciò che la sta divorando dal di dentro….

Il lutto è un viaggio. Solo chi ha subito la perdita di un grande affetto lo sa per davvero. Tanto più se arriva in modo inatteso, fulmineo. E fino a quando non succede nelle vite di ognuno di noi, quel che si immagina non è nemmeno lontanamente paragonabile alla realtà. E ogni viaggio (o quasi) ha una caratteristica precisa: meta e coordinate. Due cose che mancano alla Claire di questo Cake, che

è diretto da Daniel Barnz. Aniston, qui in una insolita veste drammatica ma con lampi di (in)volontaria comicità, riesce dunque nel compito: rendere a pieno il senso di una assenza, di una balia pressoché permanente. Un aquilone che rischia di volare definitivamente via che però viene sempre ripreso da Silvana, che ha il volto di quella spalla straordinaria che è Adriana Barraza, attrice messicana già candidata all’Oscar (per Babel), che si immola sull’altare dell’assistenzialismo portando a spasso la Daisy di turno, placando attacchi di ira e crisi di astinenza. Un dualismo il loro, inframmezzato dalla ricerca di una risposta (che Claire continua a non trovare), che diventa il perno centrale su cui gira l’intera vicenda e che si apprezza per genuinità e pudore. E nonostante qualche eccesso di “già visto” e l’iscrizione al club dei film da “non imitare a casa”, favorito furbescamente dalla curiosità di vedere come se la

fosse cavata la Rachel di Friends in un ruolo fuori ordinanza per lei, Cake lascia dietro di sé una scia di speranza che rincuora.