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    TOP GUN: MAVERICK di JOSEPH KOSINSKI: Operazione sequel a trentacinque anni di distanza dal cult movie 'Top Gun' del compianto Tony Scott, cui la nuova pellicola è dedicata 'in memoria'

    Qualche riflessione a freddo non volge esattamente a favore del nuovo prodotto, voluto anche dallo stesso Tom Cruise (Mav)!

    21/11/2022 - NON E’ MAI TROPPO TARDI PER UNO SGUARDO NON EPIDERMICO E…, A FREDDO, PER COSI’ DIRE. A MOTORI SPENTI, SENZA QUEL FRASTUONO, TANTO SUPERSONICO QUANTO ILLUSORIO. ALLA FINE, NON RESTA CHE… LA NOSTALGIA!

    Come mai dopo aver visto questo ‘sequel’ mi è tornata una voglia matta di rivedere il Top Gun originale di Tony Scott? Dovevo verificare - ancora una volta - per essere certa di non aver preso un abbaglio! Ma il cuore non mente mai e, difatti, avevo ragione: Top Gun: Maverick era meglio se restava nella mente del suo attuale regista Joseph Kosinski (Tron: Legacy e Oblivion con lo stesso Tom Cruise a bordo). Regista che, con la scusa dell’omaggio al compianto emerito Tony Scott, con tanto di film dedicato ‘in memoria’, di fatto, sembra aver dato vita piuttosto ad una furba operazione commerciale. Odora di tranello già l’incipit, nella ripresa di musiche e umori dei caccia in partenza dall’originale Top Gun: perché, a ben vedere, è già lì la vera scelta di stile di Joseph Kosinski, in carne ed ossa, spalmata per tutto il resto del suo Maverick. Basta confrontare i due incipit (ma non solo quelli, ovviamente), per capire quale sia stato l’inghippo: Kosinski si è nutrito a pane e digitale, Tony Scott ha preferito accordarsi sull’anima pura di cose e personaggi. L’anima artistica e vibrante di un’umanità unica, irripetibile. Non avrà mai uguali quella partenza nelle viscere di un’alba rossastra, ‘pittorica’, furoreggiante di tutta la determinazione e il talento dei Top Gun in esercitazione, come una promessa che respira autonomamente nell’aria, al ritmo di musiche che sembrano pulsare di una metrica loro propria, al punto di scandire il secondo, in entrata così come in uscita! E questo semplicemente perché il rombo di quei motori in perfetto sincrono emotivo con piloti e staff di squadra, è un piccolo miracolo dal fascino unico. E, come tutti i miracoli, è irripetibile!

    Al centro della storia Pete "Maverick" Mitchell, per gli amici ‘Mav’

    Neppure Tom Cruise è in palla in questo secondo atto. E non è una questione di età, quanto, piuttosto, di ‘convinzione’. Si ha qui quasi l’impressione che ‘scimmiotti’ il se stesso giovane, quando quel sorriso e quella luce negli occhi potevano illuminare una stanza buia. Adesso… beh, lasciamo perdere! La tecnica c’è tutta e sembra farsela bastare per poter fare affidamento su un qualcosa di solido: un’ancora di salvezza per essere più che credibile in un ultimo giro di pista, sempre oltre i limiti, ovviamente, com’è nelle corde del ‘tocco’ unico del suo mitico personaggio. Almeno la storia ha concesso meno lacune narrative per l’anima gemella di ‘Ice’, malato terminale (ben servito da un Val Kilmer ‘devastato’). Persino la sua corsa diventa uno ‘sketch’ fugace e passeggero sull’onda del ricordo di ciò che veramente è stato, con un’anima verace e una sua piena ragione di essere.

    Che cosa hanno in comune Maverick e Indiana Jones? Attenzione alla buccia di banana ad effetto ‘video game’

    Quando si ha l’ambizione di riportare sul grande schermo un’icona di personaggio a distanza di molto tempo la responsabilità nel rispondere alle aspettative diventa un terreno altamente sdrucciolevole su cui non è mai facile pattinare. Lo sa bene Steven Spielberg quando si è inoltrato con il quarto della trilogia Il teschio di cristallo e già si vocifera sul disastro annunciato per il quinto atto a conduzione James Mangold. Il peccato primario è stato quello di partire in difesa ancor prima dell’offesa, smarrendo la misura del contenimento più che del contenuto: ma ‘strafare’ non è che una trappola assassina, con i pieni poteri per disperdere la narrazione madre cui ci si sente pure in dovere di riagganciarsi. Beh, questione analoga a quanto successo con il Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski nei rispetti del Top Gun di Tony Scott. Kosinski si è sentito come obbligato a spingersi oltre - davvero troppo ed inutilmente - con i tempi, affidandosi alle manovre ad effetto ripetute ad oltranza, ma paradossalmente con minor impatto emotivo, poggiando ogni energia sullo ‘spettacolo assicurato’ perché frutto della nuova tecnologia digitale, dove gli F18 devono prepararsi ad affrontare i MIG di quinta generazione. A Scott sono stati sufficienti due caccia in controluce e vibranti primi piani per farci sognare, al resto ha pensato lui con i volteggi avvolgenti e roteanti della sua macchina da presa, forte di una storia che accordava molto più spazio a schegge di vita, sfociate pure nel dramma, con la scomparsa di Goose, e non solo. Al momento si direbbe aver vinto analoga sfida solo Denis Villeneuve con il suo sequel Blade Runner 2049, sul mitico Blade Runner di Ridley Scott. Sfida persino di maggior portata, ma quando ci sono vere nuove idee, non c’è bisogno di riempire i vuoti con un po' di fracasso, seppure ‘ben tornito’. L’effetto video-game è dietro l’angolo e non è mai un buon segno al cinema, a meno che non sia dichiarato in partenza.

    La scelta femminile: un disastro oltre che un inutile inciampo

    Diciamolo subito fuori dai denti: escludere dal copione la Charlie di Kelly McGillis, che ai suoi tempi era in grado di stendere chiunque semplicemente comparendo all’orizzonte, è stato più che un passo falso. Conosciamo bene lo status attuale della McGillis che evidentemente risultava incompatibile con i parametri ‘estetici’ ed ‘estetizzanti’ di Hollywood quando deve scegliere la partner femminile di turno. Del resto è più semplice reclutare ‘carne fresca’ che inventarsi una qualche evoluzione narrativa per il destino di un personaggio che aveva più di una ragione di essere nel film originale: non era solo strumentale alla love story di turno ma vestiva un incarico militare superiore. E dire che i modi c’erano per colmare la colossale lacuna narrativa lasciata appesa da Kosinski sul destino della Charlie di McGillis. Bastava richiamarla in causa così come è stato fatto con Meg Ryan, sulla scia dei ricordi, aggiungendo qualche motivazione al seguito come corredo in dotazione. Invece si è preferito fare come se non fosse mai esistita, soppiantandola senza un aggancio logico apparente alla algida Penny di Jennifer Connelly, con tanto di figlia (Amelia) al seguito, direttrice di un locale di sua proprietà. Qualcuno dovrebbe svelarmi il mancato film che ci sta in mezzo, perché questo personaggio, che sembra alquanto familiare e persino intimo con Mav/Cruise, risulta letteralmente piovuto dal cielo: fatta eccezione per una certa Penny Benjamin citata an passant da Meg Ryan nel Top Gun originale a proposito della lunga lista delle ex di Mav che, innamorato pazzo di Charlie/McGillis, avrebbe così lasciato dietro di sé una lunga scia di ‘cuori infranti’.

    Il ruolo della moto:

    Persino l’iconica immagine di ‘Mav’ con gli occhiali che hanno fatto tendenza, e i capelli al vento è stata trasfigurata: qui è un vezzo di richiamo meramente estetizzante, nel Top Gun di Tony Scott è come un prolungamento emotivo dello stesso Mav/Cruise: ogni volta che la ‘inforca’, è successo qualcosa di particolare, così, in corsa, l’andatura va di pari passo, all’unisono, con l’umore del momento del suo conducente. E questa è una grande questione di stile e, soprattutto, di ‘visione’ dei dettagli incastonati nell’insieme. Molto più che l’affezione al giubbotto delle origini, come peraltro già Indiana Jones. L’oggetto-feticcio dell’eroe non può venire meno.

    I personaggi… di contorno:

    Deve essere stata una scelta ponderata, per non togliere il risalto, che doveva essere assoluto, al primo protagonista del titolo, Maverick, quella di far scomparire nelle retrovie dello sfondo, anche quando in gioco sul campo, il resto del cast, compreso il cameo di passaggio di Ed Harris. Perché se i giovani protagonisti della squadra, si spalmano l’uno sull’altro in una sorta di anonimato collettivo, una qualche ragione ci dovrà pur essere. D’altra parte neppure Miles Teller, preposto a vestire i panni del figlio del compianto Goose, Bradley 'Rooster' Bradshaw, sembra essere dotato degli ingredienti giusti per tenere testa al Mav di Cruise, sulle corde del risentimento, perché ritenuto responsabile della morte del padre. Un piatto più tiepido che caldo, stemperato ad una fiamma emotiva fiacca, come quando il gas ha incamerato più aria che materia prima del consentito.

    La punizione più gettonata in campo militare:

    Ufficiale e gentiluomo docet ma, ovviamente, non solo. Quando in ambito militare qualcuno fallisce, la punizione più gettonata è sempre la stessa, cambia il numero: qui sono duecento. Le flessioni, intendo. E non è certo da tutti: ma a quell’1% del fior fiore di top gun nel mondo si può chiedere questo ed altro!

    Unica perla di commozione:

    Potrà sembrare paradossale e persino irriverente, ma l’unica perla di commozione in questo Top Gun: Maverick si annida proprio in quel motivo di ritorno - questo si, degno omaggio a Tony Scott - che riaggancia la mitica canzone un po' ‘goliardica’ suonata e cantata di nuovo al pianoforte dai nuovi della squadra, dopo aver staccato la spina del jukebox. Momento in cui Mav/Cruise si spalma sul ricordo passato di Goose, in cui trova degna collocazione il cameo di Meg Ryan.

    Effetto cartolina:

    Persino il finale non rinuncia all’effetto cartolina, che vede Penny/Connelly, appoggiata sul fianco della sua porche Carrera, mentre aspetta Mav/Cruise: entrambe ‘gingilli’ ben sacrificabili sull’altare dei sacri ricordi, con quei baci appassionati e roventi, speculari alla passione altrettanto rovente per l’azzardo in volo. Azzardo che solo Mav/Cruise è in grado di fare, e che anche qui non manca certo di dimostrare. Così, come non manca l’ironia a stemperare gli assalti d’ira, particolarmente accesi quando in groppa ai sensi di colpa congiunti. L’ombra lunga del mai dimenticato Goose pare che salverà entrambi, il figlio Bradley 'Rooster' Bradshaw di Miles Teller, così come l’inseparabile collega e amico del cuore Mav/Cruise. La nota realmente più ‘romantica’ dell’intero ‘pacchetto’.

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