NINE: OTTO E MEZZO PIU' MEZZO, PER UNO SGUARDO DISCRETO CHE AMMICCA ALLA FELLINIANA MEMORIA PASSANDO PER BROADWAY. AL CAST DA BRIVIDO (KIDMAN-HUDSON-CRUZ-DENCH-COTILLARD-DAY LEWIS) SI UNISCE 'MAMMA' SOPHIA LOREN
Cinque Nomination ai Golden Globe Awards 2010 - Bif&St (22-31 Gennaio 2010) Dal 22 GENNAIO
Il film è dedicato Alla memoria di Anthony Minghella
"...i sogni sono l‘unica realtà ... Nessuno sa veramente cosa sia la realtà ... Ognuno di noi chiama 'verità ' le proprie fantasie personali. La differenza è che io so di vivere in un mondo di fantasia. Ma questo è ciò che desidero e detesto tutto ciò che possa disturbare la mia visione. I miei film sono spesso basati sui miei sogni. Quando mi sveglio infatti prendo spesso nota di ciò che ho sognato con piccoli e buffi disegni. Per me fare film è come fare l‘amore. Mi sento vivo quando dirigo. Ma prima di iniziare 8½, accadde quello che avevo sempre temuto potesse accadere, e che fu persino peggio di quel che avevo immaginato. Sperimentai la mia paura più grande: il blocco del regista. Il blocco del regista è come il blocco dello scrittore, con la differenza che è pubblico e non privato. La troupe di 8½ mi chiamava 'il mago', ma il film che volevo fare, in qualche modo mi era sfuggito di mano. Considerai l‘idea di abbandonare tutto, ma non potevo deludere tutte quelle persone che mi credevano un mago. Allora pensai di fare un film su un regista afflitto da un blocco artistico. Hanno detto che i miei film sono autobiografici. E‘ vero. Utilizzo spesso ciò che mi capita realmente. Quando avevo sette anni i miei genitori mi portarono al circo ed ebbi la forte sensazione che quel luogo mi stesse aspettando". Federico Fellini
(Nine USA 2009; musical romantico; 121'; Produz.: The Weinstein Company/Relativity Media/Marc Platt Productions/Lucamar Productions in co-produzione con Cattleya; Distribuz.: 01 Distribution)
Soggetto: Dal libro di Arthur L. Kopit; adattamento di Michael Tolkin.
Il film si ispira a Otto e Mezzo di Federico Fellini (sceneggiatura di Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Brunello Rondi).
Martina Stella (Donatella) Monica Scattini (Direttrice della pensione) Roberto Citran (Dottor Rondi) Giuseppe Spitaleri (Guido da giovane)
Musica: Andrea Guerra (colonna sonora) Matt Sullivan (supervisione musicale)
Costumi: Colleen Atwood
Scenografia: John Myhre (coreografia di John Deluca e Rob Marshall)
Fotografia: Dion Beebe
Montaggio: Claire Simpson e Wyatt Smith
Effetti Speciali: Peter e Stephen Hutchinson (supervisori)
Makeup: Tamsin Dorling e Nikita Rae
Casting: Kate Dowd, Francine Maisler e Razzauti Teresa
Scheda film aggiornata al:
27 Ottobre 2024
Sinossi:
IN BREVE:
Il famoso regista cinematografico Guido Contini (Daniel Day-Lewis) lotta per trovare armonia nella sua vita professionale così come in quella privata, dal momento che si trova coinvolto in drammatiche relazioni: con sua moglie, la sua amante, la sua musa, la sua agente e sua madre...
IN DETTAGLIO:
Passione, fantasia, lussuria, amore, arte, eleganza, delusioni, sogni – la vita è un circo, secondo il noto regista di fama mondiale degli anni ‘60, Guido Contini (DANIEL DAY-LEWIS)... Film maker universale, Guido sta per iniziare la produzione del suo atteso nono film, ITALIA, quando, improvvisamente perde sia l‘amore che la sua vena creativa e la sua vita inizia ad andare a rotoli.
Circondato da un gruppo di donne bellissime — la sua amante, la tentatrice Carla (PENÉLOPE CRUZ), sua moglie, la devota Luisa (MARION COTILLARD), Claudia, la sua musa ispiratrice (NICOLE KIDMAN), la sua costumista, la fidata Lilli (JUDI DENCH), una seducente giornalista di Vogue (KATE HUDSON), una prostituta che gli ha insegnato tutto quando era ragazzo (STACY FERGUSON) e la sua amata mamma (SOPHIA LOREN) – Guido cerca ispirazione e una possibile redenzione.
Nel frattempo, lo storico Teatro 5 dei Cinecittà Studio di Roma prende vita riflettendo i desideri, i sogni e i ricordi di Guido, che diventano fantasiose composizioni di danza e musica, mentre il cerchio si stringe sempre più e si avvicina il momento in cui Guido, superati i suoi demoni, dovrà gridare ―Azione!
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
IL SOGNO NEL SOGNO: L’ONIRICO ESPRESSIONISMO DI FEDERICO FELLINI PASSA PER BROADWAY PER TORNARE ALLA CELLULOIDE NELLA CORNICE SCREZIATA DI SFUMATURE ‘POST-MODERNE’ AD OPERA DI BOB MARSHALL, LA’ DOVE ESPRESSIONI ARTISTICHE DIVERSE SONO CONSAPEVOLMENTE MIXATE TRA LORO PER CONTRASTO, E NON DI RADO A RITMO SERRATO, PER UN OMAGGIO CHE, PER SCARTARE DALL’INOPPORTUNA EMULAZIONE, DOVEVA LIMITARSI AD ESSERE ‘AMMICCANTE’
C’era una volta un divertente spot pubblicitario a sfondo animato con il ben noto gattone Silvestro e il dolce e furbetto uccellino Titti che volava su un prodotto alimentare in scatola targato De Rica, vale a dire la salvezza per il tenero bocconcino: ‘Oh no, su De Rica non si può!’, cantilenava il famelico Silvestro. Una storiella che potrebbe suonare come un ritornello-metafora funzionale e interscambiabile per molte altre cose, volendo: non ultimo il musical Nine di Rob Marshall (Chicago), là dove al posto di De Rica, emblema di marchio di
qualità intoccabile, si potrebbe collocare proprio Federico Fellini con il suo 8 e mezzo. Alcuni hanno difatti tentato di catturare, o per meglio dire, rievocare, la sua inafferrabile essenza stilistica e, a differenza di Gatto Silvestro, non si sono fatti scrupolo di metterci sopra le mani con la scusa dell’omaggio, magari con risultati anche apprezzabili, e comunque di grande successo (vedi Uno strano destino: Dai cinema italiani al teatro di Broadway e ritorno nella rubrica ‘Cinespigolature’ di ‘CelluloidPortraits’). E’ certo che non c’è miglior promozione per la propria opera artistica, immediatamente insignita di un certo ‘glamour’, che dichiararla ispirata all’intoccabile, al quasi innominabile genio (o ‘mago’ così come a lui comunemente si guardava e ovviamente si continua a guardare) della celluloide, beato dall’alto della sua legittima aura di immortalità . Anche se forse ‘poeta’ renderebbe meglio l’immensità della portata. Ma fortunatamente non è di lui che dobbiamo parlare: se la
sua portata era immensa, la nostra non è neppure all’altezza della sua caviglia. E’ difatti su Nine che tentiamo di dire la nostra, film che, d’altra parte, non sembra aver incontrato grande favore tra la critica, di contro al plauso del pubblico e della giuria dei Golden Globe che lo ha insignito di ben cinque Nomination. E, dal nostro punto di vista, si ha per l’appunto l’impressione che Nine sia stato giudicato non troppo benevolmente dalla critica a causa di un approccio viziato nella forma - nonchè nella promozione stessa del film, con continui rimandi troppo diretti a Fellini - innescando per il metro di valutazione la marcia del confronto e della competizione tra il nuovo prodotto artistico e la sua fin troppo autorevole fonte. In realtà va precisato, e non siamo certo i primi a rimarcarlo, che ciò a cui si lega più direttamente Nine è il musical
teatrale di Broadway scritto da Arthur L. Kopit, a sua volta ispirato al felliniano 8 e mezzo. E questa è già tutta un’altra cosa. L’ottica non può più essere la stessa, così come pure i parametri di giudizio dovrebbero adeguarsi guardando al prodotto per quel che è.
Se dunque in Nine si andasse ricercando il tocco onirico visionario tipicamente felliniano, ovvio che non lo troveremmo. E meno male! Sarebbe stato l’errore più grossolano, e pure più arrogante, che un regista avrebbe mai potuto commettere. Del resto le intenzioni sono state ampiamente dichiarate e, ci pare, adeguatamente rispettate: non un’imitazione ma un omaggio. E un omaggio di una certa classe non emula, ammicca, per schegge, frammenti, che richiamano in memoria alla stregua di un flirt onestamente reso manifesto alla luce del sole: con le aure rarefatte degli sfondi in bianco e nero, le monocromie in stridente contrasto con l’esuberante vivacità di colori
Facciamo allora un bella cosa. Usiamo qui lo stesso metodo che usiamo per i remake. Giudichiamo questo film accordato in musical prendendolo come cosa a se stante. Dimentichiamoci di
un’eredità tanto ingombrante da intimidire chicchessia (Fellini) e guardiamo a Nine per quello che riusciamo a vederci: l’intramontabile storia, che potrebbe essere di grande attualità , di un regista in crisi - il Guido Contini che d’altra parte Daniel Day-Lewis sfuma figurativamente rievocando la fisionomia del giovane Fellini - protagonista di uno scenario in cui troneggia l’inconsueto accostamento tra musical e un genere di dramma sfrangiato nei sofferti conflitti interiori e nel continuo intreccio di visioni ad occhi aperti - un mix di arte, sogni, amore, estasi emotiva e ispirazione cinematografica con gli ‘annessi & connessi’ del mestiere - che prendono vita con le schegge incrociate di diverse espressioni artistiche: così il banco e nero rincorre lo sgargiante sfarfallìo cromatico delle ‘Folies Bergère’ e l’io adulto del protagonista si mantiene più o meno costantemente in contatto con l’io bambino: un file rouge rinsaldato dallo sguardo trasognato in cui vita
e creazione percorrono lo stesso binario per la stessa destinazione.
ogni altra espressione artistica, di una certa levatura, si intende. Per quale ragione allora, Rob Marshall avrebbe dovuto far sua la visionarietà di Fellini? O anche solo pensare di tradurla mantenendo la levatura del suo stesso linguaggio? Schegge e frammenti servono al meglio ogni genere di rievocazione e avendo scelto di passare per Broadway, Nine nulla toglie e nulla aggiunge alla memoria della fonte felliniana, offre semplicemente una più che dignitosa variante sul tema.
In conclusione, ci piace leggere Nine semplicemente come la metafora elettiva del ‘lato oscuro’ della creazione, quando dopo essersi persi negli anfratti di temporanee perdizioni (“Non sono quello che avevo progettato, ho perso me stessoâ€), spunta imprevista all’orizzonte la rinascita dell’ispirazione temporaneamente sfocata, fatta anche di tutte quelle digressioni che non rappresentano un vuoto d’esperienza, ma un passaggio obbligato per la risalita. Toccare il fondo, star male, fermarsi a pensare e risalire, magari sull’onda di un
prezioso consiglio amico. Non a caso la rinascita personale di Guido Contini corre sul filo della riconciliazione con se stesso prima ancora che con la moglie Luisa (Marion Cotillard qui è quanto di più divino possa esserci sul piano dell’espressione creativa, oltre che di una bellezza e un cotè rattenuto d’altri tempi, gli altri tempi cui ammicca lo stesso Nine).
E se interprete (Day-Lewis) e regista (Marshall) per questo Guido Contini dipingono un ritratto forse un po’ stucchevolmente ‘bohemien’, e pure intrigante e intrigato nelle sue stesse contraddizioni, dando vita ad un profilo talora abbozzato e scivoloso, è probabile che sia stato del tutto intenzionale: complice il montaggio che alterna a ritmo serrato i vari frammenti in modo da dare un senso di sfuggente incompiutezza espressiva. Ma è nostra personale convinzione che questo non rappresenti un difetto del film bensì un pregio: il merito di chi ha preferito sfumare nel
tratteggio e nell’accenno, rifuggendo di proposito l’incisività per non correre il rischio di scivolare nell’inopportuna presunzione di un ritratto pieno, assoluto, in un campo in cui di assoluto, pieno e compiuto non c’è proprio nulla. “Non c’è un copione? … Scriverai con la cinepresa. E’ quello che sai fare meglioâ€. Forse è qui che Marshall ha trovato la sua essenza felliniana e forse può anche bastare.
Perle di sceneggiatura
Luisa Contini (MARION COTILLARD): "Una donna che, come molte, nella vita ha dato al suo compagno tutto l'amore che aveva. Interpretando Luisa ho capito quanto sia complesso amare qualcuno che è costantemente immerso in un processo creativo".
"'Nine' is a savvy piece of musical filmmaking. Sophisticated, sexy and stylishly decked out, Rob Marshall's disciplined, tightly focused film impresses and amuses as it extravagantly renders the creative crisis of a middle-aged Italian director, circa 1965. Given its basis in a 27-year-old Broadway show, which itself had its unlikely origins in Federico Fellini's self-reflective 1963 classic '8½,' the Stateside Weinstein release will probably find a more receptive audience among culture vultures than with the masses. But a robust marketing push stressing the stellar cast, strong notices and the 'another 'Chicago'' vibe should still generate solid returns, especially in urban areas".