Dal 4 Gennaio - RECENSIONE - Vincitore della Palma d'oro per il 'Migliore Attore' (KĂ´ji Yakusho, Memorie di una geisha, 2005; Babel, 2006; Il terzo omicidio, 2017) e Premio della Giuria Ecumenica a Cannes 2023 - Wim Wenders (giĂ pluripremiato autore de Il cielo sopra Berlino), offre qui una riflessione commovente e poetica sulla ricerca della bellezza nel mondo che ci circonda.
"Ho immaginato un uomo con un passato privilegiato e ricco. Il quale, a un certo punto, aveva avuto un'illuminazione, quando la sua vita si trovava al punto piĂš basso, mentre guardava il riflesso delle foglie creato dal sole che splendeva miracolosamente nell'inferno in cui si stava svegliando. La lingua giapponese ha un nome speciale per queste fuggevoli apparizioni che compaiono dal nulla: 'komorebi': la danza delle foglie nel vento, che cadono come un gioco d'ombra su un muro di fronte a te, creato dal sole, la fonte di luce lĂ fuori nell'universo. Questa apparizione aveva salvato Hirayama e lui aveva scelto di vivere un'altra vita, fatta di semplicitĂ e modestia, diventando lâaddetto alla pulizia dei bagni della nostra storia"
Il regista e co-sceneggiatore Wim Wenders
Perfect Days è un lungometraggio girato in poco piĂš di due settimane a Tokyo. Lâopera nasce da una sceneggiatura lavorata a quattro mani dallo stesso regista e dal produttore nipponico Takuma Takasaki, i quali appaiono entrambi anche come produttori: si tratta infatti di una coproduzione tra Giappone e Germania.
Cast: Koji Yakusho (Hirayama) Tokio Emoto (Takashi) Arisa Nakano (Niko) Aoi Yamada (Aya) Yumi AsĂ´ (Keiko) Sayuri Ishikawa (Mama) Tomokazu Miura (Tomoyama) Min Tanaka (Senzatetto)
E' la storia di Hirayama (Koji Yakusho), un uomo che parla poco, umile ma sereno, che lavora come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo. Hirayama vive in una piccola casa, circondato da piante, e segue un'assidua e tranquilla routine, che gli permette di coltivare le sue passioni: la musica, i libri, la fotografia e gli alberi.
Il suo quartiere è pieno di piccoli caffè, frequentati sempre dalle stesse persone ogni giorno, di librerie, che vendono principalmente opere di Patricia Highsmith o romanzi di giovani scrittori giapponesi contemporanei. Hirayama preferisce recarsi a lavoro con il suo minivan, perfettamente equipaggiato di ogni attrezzo per pulire, mentre nelle sue orecchie risuonano i testi dei Rolling Stones, di Patti Smith o di Lou Reed. Attraverso quello che ascolta o legge e le foto che scatta, vengono rivelati la sua storia e il suo passato.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Il tocco dâautore câè tutto. Ed è anche piuttosto ardito, direi! Tale da tenere incollato lo spettatore - tirando forse un pò troppo la corda! - su ogni momento di routine quotidiana del protagonista. Un personaggio, a suo modo! Eccentrico introverso da reggere tutta la prima parte del film senza dire una parola. E mentre Wim Wenders costeggia il documentario e una formulazione tipica da âGrande fratelloâ, si può dire che scarti da entrambe le modulazioni stilistiche per sfumature: variabili minimaliste appuntate sul cuore della stessa routine, che esprimono efficacemente il suo tocco di sintesi cinematografica, pur non tradendo il concetto di fondo. E il concetto di fondo è che Hirayama (Palma d'oro per il 'Migliore Attore' a KĂ´ji Yakusho), che solo nella seconda parte si capirĂ aver avuto una vita ben diversa da quella che conduce al momento, di quella routine, semplice e senza pretese, ha fatto la sua
oasi di pace: lo sguardo sempre fisso al cielo ogni mattina, in coda al risveglio indotto dal fruscĂŹo di quella scopa che il netturbino non manca di passare per le strade cittadine. I suoi sono Perfect Days, giorni perfetti, e sono la spina dorsale della sceneggiatura cosĂŹ come le note musicali della canzone omonima di Lou Reed, e il titolo di questo film che ha riportato magicamente Wim Wenders nel cuore del Giappone: con i suoi usi e costumi cittadini di zone periferiche in quel di Tokyo, che possono diventare scrigni di serenitĂ se accordati con musiche - di Lou Reed ma anche di Patti Smith, The Animals, Otis Redding e Nina Simone - con buone letture, con amabili frequentazioni da caffetterie, con ristoratrici soste nella natura: ottime occasioni per scattare foto in bianco e nero, da catalogare meticolosamente come reliquie. Il fatto poi che Hirayama - giĂ nome della
famiglia che il Maestro YasujirĹ Ozu raccontava nel suo ultimo film, Il gusto del sakè - ogni mattina, insieme allâigiene personale non manchi mai una sola volta di spruzzare dâacqua le sue piante, e che talvolta catturi fuori un virgulto degno di essere trapiantato e aggregato alla sua famiglia green di casa, è uno di quegli aspetti che rappresentano semplicemente il respiro della cultura giapponese. PerchĂŠ quello che, in pausa dal lavoro, Hirayama cattura con la sua obsoleta macchinetta fotografica, è il âkomorebiâ, ovvero âla luce che filtra attraverso le fronde degli alberiâ. Uno spettacolo sempre vario e degno di attenzione, nonchĂŠ, di gran fascino poetico.
Scrupoloso e soddisfatto delle poche cose che ha, Hirayama estende la sua meticolosa cura anche nel suo lavoro. Lavoro che, agli occhi occidentali, ma non solo, sembra uno dei piĂš umili al mondo. Hirayama ha lâingrato compito di pulire i bagni, e lo fa
in un modo talmente lenticolare da lasciare esterrefatti. Sorprende anche la modalitĂ di massimo rispetto che Hirayama ha con lâutenza occasionale: interrompendo la pulizia in corso e uscendo fuori per consentire la massima privacy a chi sta usando il bagno in quel momento. Insomma, un altro mondo! Hirayama ha un animo gentile e romantico che predilige i cenni del capo alle parole, e che ama conservare cimeli della sua giovinezza, come i libri tascabili, ma soprattutto una vera e propria collezione di cassette e un vecchio registratore, tanto quanto la macchina fotografica. E questo quando lâuso quotidiano collettivo è, ovviamente, il cellulare. La sua vita scorre misteriosa e silenziosa, anche di notte, quando, immancabilmente, nel sonno scorrono schegge da sogno in bianco e nero, come fluttuanti nellâacqua, e comunque non abbastanza lunghe, non sufficientemente nitide, da fa trapelare qualcosa in piĂš sul suo conto. Tutto il mondo intorno è rumore
- il giovane e logorroico collega tocca lâapice! - ma Hirayama sembra filtrarlo mentre lo percorre immancabilmente in bici, a prescindere dalle condizioni atmosferiche. Eâ solo con lâarrivo improvviso della giovane nipote, e successivamente di sua sorella, nonchĂŠ madre della ragazzina, che Hirayama inizia a sciogliere i nodi della sua anima, specchio di un trascorso familiare turbolento. Eâ indubbio che fare pace con gli affetti primari rassereni lâanimo: ce lo conferma Wim Wenders nel suo finale da manuale, con la macchina da presa puntata su Hirayama, andando ad immortalare uno dei piĂš lunghi e intensi piano sequenza che si siano mai visti al cinema. Occasione per KĂ´ji Yakusho di esprimere lâinesprimibile con un silenzioso ed oltremodo cangiante sguardo in macchina, mutevole tra lâimminente sorriso e lâimminente pianto. Una sorta di trascendenza emotiva altrimenti declinata da Robert de Niro nella celebre sequenza finale in Câera una volta in America di Sergio