La verità sta tutta racchiusa nella versione inglese del titolo di questa sinuosa pellicola di blasonata marca giapponese: Shoplifters (taccheggiatori), ma per una volta il titolo italiano, Affare di famiglia, compensa la particolare realtà socio-affettiva qui affrescata dal regista, sceneggiatore e montatore Kore'eda Hirokazu (Nessuno lo sa, Father and Son e, tra molti altri, Ritratto di famiglia con tempesta). Una sorta di famiglia allargata sui generis, del tutto fuori dal pentagramma della società legalmente codificata, che mette a dura prova il concetto di legame affettivo. Un legame che trae il suo primo nutrimento, ai fini di una difficoltosa sopravvivenza, da quotidiani furtarelli, piccoli reati, per arrotondare i magri introiti derivati da impieghi di bassa manovalanza, spesso pure saltuari (nel campo edilizio il capo famiglia, in una lavanderia la sua compagna). Completano l'eccentrico quadretto: una nonna rustica dai grotteschi usi e costumi che la vedono tagliarsi le unghie dei piedi durante
pasti frugali (per il trionfo di spaghetti di soia risucchiati come piccoli tornado da fameliche bocche voraci, zuppe di tofu e talvolta qualche crocchetta di riso); una ragazzina che si rende utile facendo l'intrattenitrice sessuale allo specchio unilaterale di un locale specializzato; un bambino sempre al fianco di quel padre che, ben presto si intuisce acquisito, e che ancora non riesce a chiamare papà .
Il legame tra questo padre e figlio sui generis è il primo ad entrare in scena ed è anche l'ultimo a chiudere la finestra in celluloide aperta su questa famigliola derivata dalla strada e fondata sulla reciproca sussistenza, ai margini della società , della legalità con una morale a suo modo viva e del tutto 'personalizzata' in adattamento al contesto. La new entry è la piccola raccolta dal freddo e dal gelo che i due personaggi decidono di tenere solo dopo essersi resi conto che per lei
e il dubbio certezza. Ma che ne è di quel legame familiare? Rispondere a questa domanda risulterà ancor più complicato alla luce di un altro imprevisto 'incidente'.
La legge d'altra parte, tra assistenti sociali pronti ad intervenire nel modo più 'politicamente corretto', sa come riprendersi la patria potestà , e l'incidente indotto da quel bambino che, a modo suo, dice 'basta' ad un'esistenza fondata sul taccheggio quotidiano, soprattutto per amore verso la sorellina acquisita, riscrive paradossalmente i confini tra legale ed illegale, tra paternità e maternità naturali e non, e, soprattutto, riscrive i confini di quell'intreccio di legami affettivi, pulsanti in quel nucleo familiare che si va ora, di conseguenza, gradualmente sgretolando. La carrellata dei personaggi passati in rassegna uno ad uno in seno all'interrogatorio ad persona sull'illecito 'rapimento' della piccola, assume le sembianze di un 'neo - realismo' nipponico, rivisitato e corretto alla luce di questa partitura di 'confessioni cameo' raccolte
una ad una in singoli piani sequenza, con i protagonisti rivoltisi direttamente allo spettatore. Sguardo dritto in macchina e poche spiazzanti parole offerte su un piatto d'argento come pillole di riflessione. Una riflessione che impone il silenzio alla presuntuosa esigenza di giudicare. Ogni pruriginosa, velleitaria, sentenza, si vede costretta ad indietreggiare, per farsi da parte e non proferire parola. La legge delle regole scritte continua a pontificare, obbligando a svoltare per il rientro nei ranghi consentiti, ma la legge del cuore, pur adeguandosi ai fatti, è l'unica a rimanere al di sopra di tutto, e, incurante delle parole e dei comportamenti indotti, vola ben più in alto. Così l'amore silente, quasi inconsapevole, il legame affettivo fatto di condivisione quotidiana, nel bene e nel male, trova sempre il modo di rivendicare il suo spazio, la sua dimensione più autentica. Ed è tutto quello che esplode nell'epilogo, da manuale, di questa struggente
storia, aperta e chiusa con la chiave della sottrazione, dove molto di importante spesso viene trasmesso dal sonoro mentre succede fuori schermo. Più sussurri che grida, per uno dei legami più forti dell'umana esistenza. L'indissolubile, per quanto rannicchiato nell'angolo buio del non detto.