Sceneggiatura:
Marco Bellocchio, Valia Santella ed Edoardo Albinati
Soggetto: Tratto dall'omonimo romanzo autobiografico di Massimo Gramellini. L'autore racconta il proprio percorso interiore per superare il dolore e il senso di abbandono dovuto alla morte della madre sopraggiunta quando lui aveva nove anni.
PRELIMINARIA - LA TRAMA:
Il romanzo inizia nel presente e si svolge come un lungo flashback che termina pochi capitoli prima della conclusione.
La mattina del 31 dicembre del 1969 Massimo, nove anni, dopo essersi svegliato, trova in corridoio il padre sconvolto e sorretto da due uomini. Lui viene mandato a trascorrere alcuni giorni dai vicini senza alcuna spiegazione. Qualche giorno dopo, un giovane sacerdote soprannominato Baloo e capo della sezione scout di Massimo si assume il difficile compito di spiegare al piccolo che la mamma non c'è più.
Dopo un matrimonio fallito incontra la sua anima gemella, Elisa, che lo aiuterà ad affrontare le sfide provenienti dall'infanzia. Ispirandosi alla propria vicenda, scrive il suo primo romanzo dal titolo L'ultima riga delle favole in cui il protagonista è orfano di madre. Dalla lettura del libro, Madrina intuisce che Massimo non ha mai saputo la verità sulla morte della mamma.
A questo punto il racconto esce dalla lunga analessi e si riaggancia al presente. Si scopre così il contenuto della busta marrone allungata da Madrina a Massimo all'inizio della storia.
Massimo è convinto che con l'aiuto di Elisa riuscirà a superare il dolore della perdita e capisce che solo il perdono può salvargli la vita.
Pier Giorgio Bellocchio Fausto Russo Alesi (Simone) Piera Degli Esposti Roberto Herlitzka (Ettore)
Musica: Carlo Crivelli
Costumi: Daria Calvelli
Scenografia: Marco Dentici
Fotografia: Daniele Ciprì
Montaggio: Francesca Calvelli
Casting: Stefania De Santis ( U.I.C.D)
Scheda film aggiornata al:
07 Dicembre 2016
Sinossi:
IN BREVE:
E' la storia di un segreto celato in una busta per quarant’anni. La storia di un bambino, e poi di un adulto, che imparerà ad affrontare il dolore più grande, la perdita della mamma, e il mostro più insidioso: il timore di vivere.
Nel 1969 a Torino Massimo, un bambino di nove anni, perde la madre in circostanze misteriose, rifiutandosi di accettare tale brutale scomparsa. Nel 1990 Massimo è divenuto un giornalista realizzato ma il suo passato continua a perseguitarlo. Così, quando deve vendere l'appartamento dei genitori, le ferite della sua infanzia si trasformano in ossessione.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Una tragedia personale portata sulle spalle per quarant'anni, con quei graffi indelebili che ti lascia nell'anima la morte di tua madre quando ancora ne hai più bisogno. Nove anni sono un piccolo pugno di vita e sono il momento in cui tua madre è il primo riferimento affettivo al mondo in assoluto. Sono i decenni in cui le canzonette (non solo di Gianni Morandi) rallegrano le case, il piccolo schermo regna sovrano, con l'hit di Canzonissima di Raffaella Carrà , delle Olimpiadi di nuoto, di Tangentopoli e... di Belfagor. Il percorso di una breve vita già drammaticamente decurtato del suo insostituibile sostegno. Si diventa grandi lo stesso, e magari ci si riscopre pure dotati di un talento spiazzante, sul piano giornalistico e della scrittura, coltivato e cresciuto fino ad erigersi come fondamentale pilastro nel settore. E anche se il macigno è ormai diventato un sassolino nella tasca, della cui esistenza ci
si può persino dimenticare, è ancora lì, e ci sarà sempre. Chi non ha letto il Fai bei sogni di Massimo Gramellini? Il commovente tracciato autobiografico di una vita, all'ombra di un lutto di cui si è cercata negli anni la chiave di metabolizzazione, non riuscendo a trovare la toppa. Gramellini è oggi l'illustre giornalista e scrittore con la professionalità e il dono di saper arrivare con fluente eleganza al cuore di tutti. Fai bei sogni non solo è giocoforza il suo libro più intimo e personale, ma credo di indovinare, sbagliandomi di poco, che sia anche un particolare momento di scrittura, di pancia e di cuore - con una scoperta in corso d'opera che aggiunge dramma al dramma e che ha dell'incredibile! - destinato a rappresentare per lui una sorta di catarsi, nel senso di liberare tutti quei 'fantasmi' derivati, imprigionati in fondo a se stesso e sedimentati nel
tempo, in attesa di risposte mai avute e di un senso mai trovato. Un impasto in cui non pare consigliabile far rimettere le mani ad altri, rischiando di farne impazzire la naturale lievitazione, raggiunta al punto giusto già sulla pagina scritta. Si capisce come Massimo Gramellini, pur evidentemente non opponendo resistenza, non sia entrato nel merito, neppure per la sceneggiatura, del film derivato per la regia di Marco Bellocchio. Liberamente ispirato per l'esattezza, eppure condotto nella maniera più didascalica e scolastica che ci si possa immaginare. E questa è già una bella contraddizione.
trovato una tragedia umana che mi ha molto coinvolto. Mi ha convinto il dramma contenuto nel romanzo: la morte della mamma, il rimanere orfani quando si è ancora bambini. C'è un ragazzino piccolo borghese in una città del Nord (Torino è una città che non conoscevo), c'è la storia d'Italia e della televisione. Mi interessa, ad esempio, mettere insieme i linguaggi: quella tv fatta da Raffaella Carrà , dalle Olimpiadi di nuoto, dal Belfagor, presente nel libro. Questo magma caratterizza lo sguardo del film". E' Marco Bellocchio stesso ad ammetterlo. E in effetti è quel che emerge dal suo film, una tragedia umana inzuppata in un 'magma di linguaggi diversi', in cui i programmi televisivi dell'epoca giocano un ruolo importante. Il ruolo che effettivamente avevano per l'immaginario collettivo. Così come certe canzonette. Ma i flashback, il montaggio incrociato, non mutano il nervo narrativo che scavalca l'apparente veste neorealista della prima parte,
per far visita al fantasma 'televisivo', appunto, del Libro Cuore, con qualche scheggia 'rubata' al teatro. A questo va ad aggiungersi una difettosa calibratura dei vari linguaggi protagonisti nel film (come ad esempio il tempo dilatato riservato a Raffaella Carrà all'altezza di Canzonissima sul piccolo schermo) andata a detrimento di altri momenti, soprattutto nella seconda parte, sacrificati in fretta e furia allo stretto necessario. Tra le sequenze più significative invece, per livello di importanza o commozione, si segnalano il servizio fotografico ad uso stampa a Sarajevo, la lettera di risposta al giornale che ha per soggetto per l'appunto la madre (lacrime d'obbligo, non c'è verso!), il ballo tra l'adulto Massimo (Valerio Mastandrea) ed Elisa (Berenice Bejo) alla festa delle nozze di diamante dei nonni. Momento questo, polivalente e cruciale da cui occhieggia l'indizio (il modo, nel senso del tipo di movimenti, in cui riesce infine a ballare pur avendo dichiarato
di non saperlo fare) che coincide con l'inizio di una vera rinascita. Se Valerio Mastandrea ce la mette tutta per riflettere lo scavo interiore di Massimo, gli altri interpreti sono per la maggior parte solo sbozzati o declinati più o meno disciplinatamente sul caratterismo.
Il neo radica alla base. Il libro ha un approccio diretto, in prima persona - e come poteva essere altrimenti? - il film no. E' uno sguardo poliedrico nelle diverse età del protagonista che si vede costretto a far lo slalom tra quel magma di linguaggi di cui sopra. Uno sguardo altro, che guarda alla stessa tragedia con occhi diversi - con quale diritto? - arrivando, non volendo, a tradire, almeno in parte, lo sguardo originale, non propriamente offeso, solo un pò appannato, diluito a tratti persino snaturato. ll libro apre con una massima di Erc Hoffer che recita "Molto più importante di quello che sappiamo o
non sappiamo è quello che non vogliamo sapere". Forse Marco Bellocchio preferisce non saperlo ma noi glielo diciamo lo stesso. Che c'è una bella differenza - un esempio per tutti - tra la sequenza del film all'altezza del funerale della madre e il modo in cui ne parla Massimo Gramellini nel suo libro: "La mamma venne adagiata nel salotto di casa ed esposta alla curiosità dolente del vicinato. Io mi rifiutai di vederla. Ero ancora convinto che sarebbe tornata. Appartiene alla mia natura non considerare irreparabili le sconfitte. I film che preferisco sono quelli in cui il protagonista perde tutto, ma arrivato sull'orlo del baratro fa un passo indietro e incomincia la rimonta. Solo in età adulta avrei imparato a non scappare dalle bare ancora aperte...". E non credo si debba aggiungere altro, se non di cogliere l'occasione per rileggersi il libro.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano 01 Distribution e Fusion Digital.