THE BURIAL - IL CASO O'KEEFE

Può la morte diventare un business tale da arricchire qualcuno fino a coprirlo di soldi? Al punto da trasformarsi in una potente lobby? Beh, il The Burial (letteralmente ‘la sepoltura’) di Maggie Betts (Gran Premio della Giuria al Sundance 2017 per Novitiate/La scelta) racconta proprio questo: e non si tratta affatto di una storia inventata, bensì di un fatto di cronaca: Doug Wright l’ha riscritta ed orchestrata in sceneggiatura, ispirandosi ad un articolo del “New Yorker” di Jonathan Harr. Dunque, licenza narrativa più, licenza narrativa meno, stiamo parlando di una vicenda reale, di cui la regia si premura pure di farci conoscere, alla fine, i veri protagonisti, rimpiazzati nella finzione da Jamie Fox, nei panni dell’avvocato Willy Gary e da Tommy Lee Jones, in quelli del titolare settantacinquenne dell’impresa funebre di famiglia Jeremiah O’Keefe.

Il primo ad entrare in scena tra i due nel film The Burial-Il caso O’Keef è

per l’appunto l’avvocato Wlly/Foxx, cui non fa certo difetto la parlantina, sia in Chiesa che in tribunale. Più tardi scopriremo che il tipo, sempre un po' sopra le righe, è uno di quelli che si è fatto da solo, iniziando dalla terra a soli otto anni: nei campi col padre prima, come floricultore e giardiniere dopo, fino a decidere di studiare legge per ottenere giustizia da un maltolto, quel che col tempo è poi sbocciato in una carriera di successo, tale da essere additato come ‘il killer dei giganti’. Uno talmente in vista da risultare appetibile anche per risolvere i guai finanziari che affliggono Jeremiah/Lee Jones, un po' troppo mesto e sotto le righe di contro al tipo di cui sopra. Proprio quello che, contro ogni aspettativa, assumerà per la causa legale contro il colosso aziendale di settore, la lobby mortuaria da miliardi Loewen, capitanata da Bill Camp nelle vesti

del CEO Ray, leader di quella che egli stesso ama chiamare ‘l’epoca d’oro della morte’. Ma, come c’era da aspettarsi, anche se occorre la maggior parte del tempo della durata del film per scoprirlo, tanta ricchezza ha sempre qualche scheletro nell’armadio, e non esattamente perché trattasi di imprese funebri. E questi scheletri qui sono rappresentati dalle persone di colore delle aree più povere, imbrogliati e sfruttati a beneficio della suddetta multinazionale. Tranello che in altri tempi e modi era stato teso da un’industria del tabacco americana, andato in scena con quel capolavoro di inchiesta orchestrato da Michael Mann in Insider-Dietro la verità, mentre Russell Crowe e Al Pacino suonavano le massime note di una sinfonia drammaticamente celestiale. Ben altro livello rispetto a questa nuova ‘denuncia’ nel segno della ‘sepoltura’, con il razzismo sottotraccia: necessaria, ma indubbiamente, di più modesta estensione.