Il regista di Frantic (1988) e del pluripremiato all'Oscar Il pianista (2002), questa volta punta l'obiettivo sul bambino dickensiano Oliver Twist, per far riflettere giovani e meno giovani su cosa significhi lottare, in condizioni disperate, per una vita dignitosa. Cosa significhi subire sulla propria pelle ogni sorta di abusata nefandezza e conservare tutta la purezza e l'innocenza di cui un fanciullo può essere dotato. Un inno consapevole al cinema classico che punta ai valori e ai sentimenti senza dover ricorrere all'ostentazione di effetti speciali.
Uomo nell’ombra alla 60. Berlinale in quanto grande assente alla consegna dell’Orso d’Argento che si è aggiudicato con L’UOMO NELL’OMBRA (THE GHOSTWRITER), ROMAN POLANSKI, già alquanto schivo a rientrare nel vivo del dettaglio di ogni sua opera cinematografica, e ancor più nella precisa circostanza, appesantita dai ben noti - e mediaticamente fin troppo arieggiati ai quattro venti - rigurgiti di un passato privato che potremmo definire in una battuta ‘fuori tempo massimo’, preferisce rimanere nell’oscurità di un isolamento in qualche modo forzato e lasciar parlare quel che, con impeccabile e mai deludente maestria, riesce immancabilmente e magicamente a tirar fuori dalla celluloide. Ma tra le sue massime ne è saltata fuori una, netta e cruda, che può servire come risposta esemplare ad ogni domanda possibile: “Cinema should make you forget you are sitting in a theater (Il cinema dovrebbe farti dimenticare di essere seduto in una sala di proiezione). Beh, questo è anche esattamente il bersaglio che Roman Polanski non manca mai.
"Da grandi storie spesso nascono grandi film. La storia di un uomo accusato ingiustamente è sempre affascinante e attuale, visti i rigurgiti di antisemitismo. (...) Un caso simile potrebbe ripetersi. Ci sono tutte le circostanze: accuse false, superficialità giudiziarie, magistrati corrotti e soprattutto i social media che ti condannano senza un giusto processo né il diritto di appello"
"Un film come questo mi aiuta molto, ho ritrovato esperienze personali, la stessa determinazione a negare i fatti e a condannarmi per reati che non ho commesso. La maggior parte delle persone che mi molestano non mi conoscono e non sanno niente del caso".
(ricorda poi come gli attacchi siano iniziati nel 1969 con l'uccisione di sua moglie Sharon Tate):
"Stavo già attraversando un periodo tremendo, la stampa si impadronì della tragedia e la gestì nel modo più deplorevole possibile, sottintendendo che ero uno dei responsabili del suo omicidio, in un contesto di satanismo. Per loro, il mio film 'Rosemary's Baby' era la prova che fossi in combutta con il diavolo. Durò per mesi, finché la polizia non trovò i veri assassini, Charles Manson e la sua 'family'. Tutto questo ancora mi perseguita. È come una valanga, si aggiunge sempre uno strato. Storie assurde di donne che non ho mai visto che mi accusano di cose che sarebbero accadute più di mezzo secolo fa".
(Perché non reagire?)
"Perché non reagisco? Perché sarebbe come combattere contro i mulini a vento". Roman Polanski
Così Roman Polanski che parla per la prima volta del suo film in gara alla Mostra di Venezia, L'ufficiale e la spia (J'accuse), che i produttori hanno minacciato di ritirare dal concorso dopo le critiche da parte della presidente di giuria Lucrecia Martel ("Non separo l'uomo dall'opera: non lo applaudirò").
Uomo nell’ombra alla 60. Berlinale in quanto grande assente alla consegna dell’Orso d’Argento che si è aggiudicato con L’UOMO NELL’OMBRA (THE GHOSTWRITER), ROMAN POLANSKI, già alquanto schivo a rientrare nel vivo del dettaglio di ogni sua opera cinematografica, e ancor più nella precisa circostanza, appesantita dai ben noti - e mediaticamente fin troppo arieggiati ai quattro venti - rigurgiti di un passato privato che potremmo definire in una battuta ‘fuori tempo massimo’, preferisce rimanere nell’oscurità di un isolamento in qualche modo forzato e lasciar parlare quel che, con impeccabile e mai deludente maestria, riesce immancabilmente e magicamente a tirar fuori dalla celluloide. Ma tra le sue massime ne è saltata fuori una, netta e cruda, che può servire come risposta esemplare ad ogni domanda possibile: “Cinema should make you forget you are sitting in a theater (Il cinema dovrebbe farti dimenticare di essere seduto in una sala di proiezione). Beh, questo è anche esattamente il bersaglio che Roman Polanski non manca mai.