Soggetto: Tratto da una storia vera raccontata nel libro di Aron Ralston Between a Rock and a Hard Place.
PRELIMINARIA:
Un venerdì sera di aprile 2003 il ventiseienne Aron Ralston parte per lo Utah per trascorrere un weekend tra le stupefacenti bellezze del remoto Canyonlands National Park.
Sei giorni più tardi ricompare, raccontando una storia a dir poco sbalorditiva di sopravvivenza nella natura selvaggia e d’indimenticabile forza umana di fronte alle avversità .
Molte fra le persone che conoscono ciò che è accaduto e sanno in che modo Ralston è sopravvissuto alle sconvolgenti 127 ore trascorse da solo, in un luogo isolato, con una mano bloccata da un masso inamovibile, scarse riserve di cibo e poche gocce d’acqua, riuscendo a liberarsi soltanto con un incredibile atto di coraggio, si sono chieste: Che cosa ha provato quando si è reso conto di essere giunto alla resa dei conti estrema?
Dove ha trovato la volontà di resistere in una situazione così disperata? Riuscirei a fare lo stesso, pur di sopravvivere?
Queste sono le stesse domande che si sono posti il regista Danny Boyle, il produttore Christian Colson e lo sceneggiatore Simon Beaufoy, che hanno lavorato insieme in The Millionaire (Slumdog Millionaire) ... Ma Boyle ha anche visto qualcosa di più nell’avvincente storia di Ralston, e cioè l’opportunità di forgiare un’esperienza cinematografica innovativa da far vivere in prima persona, in cui gli spettatori fossero emotivamente coinvolti in ogni momento – in ogni fantasia, sogno, ricordo, rimpianto e ispirazione – mentre Ralston passa dalla disperazione a una determinazione a voler vivere così possente da spingerlo a compiere un gesto quasi impossibile.
127 ore si ispira alla vera storia di Aron Ralston (James Franco), l'alpinista americano divenuto tristemente famoso per essere rimasto imprigionato da una frana nel corso di una scalata nello Utah. Si liberò dopo quasi cinque giorni amputandosi da solo il braccio rimasto intrappolato.
127 Hours is the true story of mountain climber Aron Ralston's remarkable adventure to save himself after a fallen boulder crashes on his arm and traps him in an isolated canyon in Utah. Over the next five days Ralston examines his life and survives the elements to finally discover he has the courage and the wherewithal to extricate himself by any means necessary, scale a 65 foot wall and hike over eight miles before he is finally rescued. Throughout his journey, Ralston recalls friends, lovers, family, and the two hikers he met before his accident. Will they be the last two people he ever had the chance to meet?
Commento critico (a cura di ENRICA MANES)
Occasione sprecata, quella di 127ore, per un Danny Boyle che si perde letteralmente in virtuosismi che con i canyon hanno ben poco a che vedere e che si ostinano invece a tratteggiare flashback immaginifici ed immaginari del protagonista, in quel turbine di sensazioni ed allucinazioni che lo pervadono, nel momento in cui si rende conto per la prima volta di essere solo immerso nella natura fondamentalmente ostile, fatale, maestosa e romanticamente forzata. Istantanee di una vita e di una famiglia che si susseguono come lampi, con artifici luministici che sembrano evocare un eden bloccato nel tempo e nello spazio, reminescenza e ricordo e che impregnano in realtà buona parte del film, che, della vicenda di Aaron Ralston ha ben poco, e conserva solo la tragica fatalità di un incidente, qui peraltro enfatizzato dal regista alla sua solita maniera pseudo-divina e da leggere come piccolezza dell’uomo di fronte ad una
natura implacabile e matrigna, tale che nemmeno i migliori critici di Leopardi avrebbero potuto immaginare ed attribuire.
Occasione dunque che non coglie la possibilità di poter mostrare, una volta tanto, immagini di natura e uomo, vera avventura vissuta e intimizzata in una vicenda che è costrizione angusta e vitale al tempo stesso in cui l’istinto di sopravvivenza cozza con la propria corporeità , con l’identità di se stessi fusa inesorabilmente nella roccia in una sorta di simbiosi difficile e letale, che succhia anima, sangue, ma che non taglia via i sentimenti.
Danny Boyle precipita così il suo Aaron Ralston in panni che non sono suoi, non del vero Ralston, cogliendo l’occasione della vicenda reale per tratteggiare un personaggio gasato, convinto delle proprie doti, superficiale e sfacciato, sprezzante sfidante di una natura che sembra aspettare tutta la vita, e proprio quel frangente per coglierlo in fallo ed attirarlo nella trappola fatale.
Una natura enigmista ed un cammino, in una sorta di mini-dramma di formazione fatto di scenari fini a se stessi o ristretti entro il medesimo caleidoscopio di sensazioni già viste e inutilmente ripetitive, che hanno del magico e che fungono da apparizioni per risvegliare la mente umana, il fine ultimo del monito caro al regista che nelle sue opere non dimentica mai di porre l’accento sul fato, sulla vita, sul suo valore e sugli ordini di grandezza che regolano il creato.
Pare terreno fertilissimo per Boyle, che mette qui in atto tutta la sua conoscenza tecnica di montaggio e linguaggio profilmico, con un ampio uso di accelerazioni che simulano il battito impazzito del cuore umano, del sangue, del fervore brulicante che affolla gli stadi e le città , un movimento fatto di scatti velocissimi, giustapposti in un montaggio che vorrebbe essere di forte impatto connotativo ma che non convince mai fino
in fondo, un gioco di soggettive e di fotografia senz’altro spettacolare ma che sembrano puro corollario della vicenda narrata e che forse a tratti sembrano dare al linguaggio più che agli attori la palma della leading star.
C’è pure un intestardirsi nella citazione metacinematografica in quell’ossessione che ha il Ralston di Boyle per la telecamera, che culmina nell’istantanea di famiglia finale, pacchiana, fuori luogo, più adatta ad uno sceneggiato a puntate che alla classe di un acclamato ed impegnato regista di fama mondiale.