LA PASSIONE: SILVIO ORLANDO REGISTA EMERGENTE PER CARLO MAZZACURATI. CIRCOSTANZE PARTICOLARI PORTANO IL NOSTRO PROTAGONISTA IN TOSCANA DOVE SI VEDE IN QUALCHE MODO COSTRETTO AD ALLESTIRE UN'IMPROBABILE 'VIA CRUCIS'
67. Mostra del Cinema di Venezia (1-11 Settembre 2010) - IN CONCORSO - RECENSIONE IN ANTEPRIMA - Dal 24 SETTEMBRE
(La Passione ITALIA 2010; dramedy; 106'; Produz.: Fandango in collaboraz.: con RAI Cinema ; Distribuz.: 01 Distribution)
Passati cinquant’anni, essere un regista emergente diventa un problema. Ne sa qualcosa Gianni Dubois (Silvio Orlando), che non fa un film da anni, e adesso che avrebbe la possibilità di dirigere una giovane stella della tv non riesce nemmeno a farsi venire in mente una storia. Come se non bastasse, una perdita nel suo appartamento in Toscana ha rovinato un affresco del Cinquecento nella chiesetta adiacente. Per evitare una denuncia e una pessima figura, Gianni deve accettare la bizzarra proposta del sindaco del paese: dirigere la sacra rappresentazione del venerdì santo in cambio dell’impunità . Così si ritrova a passare una settimana nella Toscana più profonda nel tentativo di mettere in piedi una specie di Via Crucis, con gli apostoli, Ponzio Pilato, la crocifissione, e un pessimo e vanitosissimo attore locale nella parte di Cristo (Corrado Guzzanti). Ma deve anche pensare al film per Flaminia Sbarbato (Cristiana Capotondi), la diva del piccolo schermo che non ne può più di aspettare. Quando tutto sembra sfuggirgli di mano, Gianni incontra Ramiro, un ex galeotto appassionato di teatro, pieno di buona volontà e spiantato quanto basta. Le cose sembrano prendere la strada giusta, ma non per molto: un brutto litigio con Flaminia manda all’aria il film, mentre Ramiro svanisce rapidamente nel nulla lasciandolo solo. Grazie ad un ultimo colpo di scena, però, Gianni Dubois riuscirà per una volta a combinare qualcosa di buono.
Dal >Press-Book< de La passione
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Con La Passione Carlo Mazzacurati assimila e fa proprio il linguaggio della gente di provincia che ritrae sempre molto volentieri accordando loro il più sincero affetto: ne usa anche qui, come altrove, le stesse ingenuità ed incertezze, quel candore persistente e spiazzante anche in età adulta. Ma questa volta, scartando dal dramma, ne fa una gustosa commedia. Gustosa e ricca di battute che d’altra parte si nutre allo zampillo di quella elementarietà espressiva che forgia anche la cifra linguistica di questa storia radicata nella figura di un piccolo regista in crisi creativa: non fa un film ormai da cinque anni. Regista che si direbbe anche alquanto perseguitato da una insidiosa aura di sfiga. Il nome del nostro cineasta in questione, Gianni Dubois, finirebbe per risultare irrilevante se non fosse per la portata di chi indossa le vesti di questo personaggio che non sa mai come dire qualcosa: “non so come
dire†diventa non a caso il ‘leit motiv-tormentone’ delle sue interlocuzioni, motivo tampone per la debordante fiumana di imbarazzo che sgorga dalla sorgente della sua precaria situazione. Stiamo parlando di Silvio Orlando, che qui sceglie un respiro impacciato e in sottotono, plausibilmente aderente al suo personaggio, per così dire ai margini di un precipizio, restando comunque ben distante dal livello di performance raggiunta nel dramma di Pupi Avati con Il papà di Giovanna.
Ma la pronunciata e omnipresente vena ironico-umoristica cede talora il passo alla farsa grottesca e al target televisivo, o persino da recita di paese. L’indugiare poi più del dovuto su alcune stazioni narrative, su cui si appuntano le più semplici e candide citazioni: “Lo sai cosa dice Woody Allen? Le idee migliori gli vengono sotto la docciaâ€, finisce per indebolire la già abbastanza esile architettura di questa simpatica pellicola. Debole anche il personaggio della musa ispiratrice (Kasia
Smutniak di contro alla starlette Cristiana Capotondi), appena sbozzato nella sua triste quotidianità , e poco contribuiscono a rafforzare lo spessore altre citazioni ‘en passant’ come l’onda televisiva della popolarissima pellicola in bianco e nero Marcellino pane e vino, legata, com’è ben noto, proprio sul filo del candore di uno sguardo innocente, alla Passione di Cristo.
in cui è stato pubblicato l’albero del cinema con i nomi dei cineasti degni di memoria. Aspetto questo sufficiente, non appena Dubois verrà comunque a scoprirlo (Ozpetek e Winspeare compaiono e lui no) da fargli venir la febbre.
Dunque la vena creativa ristagna, i guai si rincorrono l’uno dietro l’altro e la matassa si intorcina sempre più ma La Passione non solo si farà , per quanto con un Gesù Cristo insolitamente in carne come lo stesso Battiston - provvidenziale in sostituzione dell’altro semi soppresso dal peso della immane Croce voluta per un eccesso di realismo - e sarà pure una inimmaginabile occasione per svelare la bellezza interiore di certe sgranature di carattere evidentemente solo in superficie: un esempio illuminante ce lo fornisce la volgare albergatrice ninfomane, più tardi, in grado di levare note liriche ai piedi della croce, spiazzanti e solide quanto basta a generare un forte senso di
solidale ed affiatata comunità . Un messaggio semplice che Mazzacurati porge nel modo più semplice e diretto.
Perle di sceneggiatura
(il pubblico che assiste alla rappresentazione de La Passione ride della stridente figura di Gesù dopo che qualcuno, vedendolo schiantarsi a terra, ha gridato: “Gesù, mettiti a dieta!â€)
Gianni Dubois (Silvio Orlando consolatore): “Sei un Cristo perfetto, sei povero, sei ricercato, tutti ridono di te†Ramiro (Giuseppe Battiston) “Sono grasso†Gianni Dubois (Orlando): “Anche Cristo lo sarebbe oggi, sai?â€