INTERVISTA CON STEFAN RUZOWITZKY PER 'IL FALSARIO-OPERAZIONE BERNHARD'
10/01/2008 -
Tutti i suoi film precedenti hanno una cosa in comune: sono molto diversi e IL FALSARIO - OPERAZIONE BERNHARD è anche molto diverso dagli altri.
"A prima vista sembrerebbe, ma in realtà mi concentro sempre sul mio tema preferito: l’idealismo.
Da TEMPO a THE INHERITORS ad ANATOMY – nei miei film ci sono sempre giovani eroi che entrano in un nuovo mondo pieni di idealismo, ma sono sempre costretti dalla sua malvagità a riesaminare il loro concetto della vita.
IL FALSARIO - OPERAZIONE BERNHARD non si discosta pur avendo un approccio diverso. Non avevo mai trattato della tensione tra l’idealismo e
il pragmatismo in una maniera così drammatica ed esistenziale".
Qual è l’origine di questo film ?
"In questo caso si può veramente dire che il tema è venuto a cercare me: nello spazio di due settimane, il tema mi è stato proposto da due case di produzione, indipendenti l’una dall’altra. Era un chiaro segno del destino!"
Come è avvenuto il suo contatto con Adolf Burger ?
"Per me, senza dubbio, il momento più emozionante è stato quando Burger e Plappler, gli ultimi sopravvissuti, sono venuti sul set. Mi resi conto che non stavamo solo facendo un film – questa era storia, era veramente accaduto -, e questi due uomini avevano vissuto questa tragedia. Mentre venivano sul set, i due novantenni avevano litigato sul fatto che il Kommandant delle S.S. del laboratorio di contraffazione fosse un assassino oppure un salvatore. Pensai: è proprio di questo che parla il film!".
Come descriverebbe la situazione in cui si trovarono i falsari ?
"Secondo me si tratta soprattutto di domande universali e contemporanee. Ed è questo che mi ha affascinato: è possibile giocare a ping pong in un campo di concentramento quando a pochi metri di distanza vengono torturate e uccise delle persone? Non è molto diverso dal chiedersi: è possibile fare una vacanza all-inclusive in un posto dove a poca distanza la gente muore di fame? È possibile godersi la propria vita agiata e sicura davanti a tutta la sofferenza che c’è nel mondo?".
La narrazione de IL FALSARIO - OPERAZIONE BERNHARD è eccitante, quasi come un film d’avventura. Aveva qualche riserva a presentare un tema simile in questo modo?
"Per un pubblico moderno, un rabbioso “È andata così!” non basta più.
Dobbiamo parlare dell’Olocausto e abbiamo un obbligo morale a farlo in un modo che raggiunga più spettatori possibile.
Quindi sì, un film sull’Olocausto dovrebbe essere eccitante e divertente, nel senso migliore della parola.
E IL FALSARIO - OPERAZIONE BERNHARD è anche un film divertente".
Perché il suo film si conclude in modo così conciliatorio? È una concessione per il pubblico?
"È chiaro che Burger e Sorowitsch – come tutti i sopravvissuti del campo di concentramento – avrebbero dovuto convivere con questa esperienza per il resto della loro vita, chiedendosi perché sono sopravvissuti quando così tanti altri hanno dovuto morire, e se non avessero potuto o dovuto fare di più. Come regista non ho il diritto di rimproverare al mio eroe Sorowitsch di essere sopravvissuto in un campo di concentramento per sei anni – sarebbe del tutto immorale. Per questo il film deve accontentarsi di un finale felice".
Ha un interesse particolare per l’era nazista?
"Quando si vive in un paese come l’Austria, dove i partiti populisti di destra FPÖ e BZÖ, con la loro intollerabile vicinanza all’ideologia nazista, si prendono circa il 20% dei voti e possono quindi partecipare attivamente al governo del paese - il che è altrettanto intollerabile – si ha l’urgente esigenza di affrontare questo tema".
Dal >Press-Book< de Il falsario-Operazione Bernhard.
LA REDAZIONE
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