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    L'INTERVISTA

    64 Mostra: Lido di Venezia 4 settembre 2007 ROUND TABLE & DINTORNI: IO NON SONO QUI per la regia di TODD HAYNES

    04/09/2007 - ROUND TABLE & Dintorni: l’attore HEATH LEDGER e il regista TODD HAYNES

    A proposito del suo ruolo: lei cosa sa di Bob Dylan e cosa le piace delle sue canzoni? Per entrare nel personaggio, come l’ha visto e che cosa ha fatto per interpretarlo in un certo modo?

    H. LEDGER: “Innanzitutto devo dire che sono sempre stato un fan di Bob Dylan da anni e ovviamente, avvicinandomi a questo progetto, ho portato avanti ulteriormente il mio studio e la mia ricerca per quello che lo riguarda. Ovviamente il mio personaggio non è una vera e propria, o semplice, lineare, rappresentazione di Dylan. E questo in realtà riguarda poi non soltanto il mio personaggio nello specifico ma anche il film nel suo complesso, nel senso che il film tenta di gettare lo sguardo su quella che è una parte dell’anima di Dylan, un momento nel tempo. E Todd (Haynes) in questo mi ha aiutato tantissimo: mi ha ad esempio mostrato gli articoli di giornale dell’epoca, mi ha spiegato lo stile in cui intendeva girare tutto il film su di lui e il modo in cui intendeva raccontare la storia. Certo, la sceneggiatura non è semplice da capire e sicuramente la persona che l’ha compresa più di tutti è stato certamente lui, Todd. Quindi la mia ricerca approfondita è stata fatta grazie soprattutto attraverso Todd. A un certo punto ho avuto la sensazione di dover portare sulle mie spalle il peso, l’onere di somigliare a Dylan, di imitare Dylan. Però Dylan in fondo come persona è uno che sconfigge, impedisce qualsiasi tipo di imitazione, quindi ho deciso che dovevo togliermi dalle spalle questo peso, quest’onere, e dovevo quindi cercare di interpretare il mio personaggio dando delle pennellate di quello che è lui ma senza imitarlo, perché è inimitabile”.

    Più che il tentativo di fare un ritratto di Dylan, mi è sembrato che questo film volesse focalizzare il modo di scrivere, il processo creativo di Dylan. Qual è stato l’approccio?

    T. HAYNES: “Per me questo progetto è stato innanzitutto un invito ad apprendere tantissime cose, a istruirmi letteralmente sul suo mondo. Al di là di quello che lui ha scritto, ha detto e ha cantato nell’arco della sua carriera. E quindi è stata anche un’opportunità per me di istruirmi, innanzitutto su questo periodo così ricco: il periodo della ‘beat generation’ degli anni Settanta, dei poeti simbolisti francesi, del paesaggio politico così effervescente con la nuova sinistra negli anni Sessanta e anche del Vecchio Testamento, perché il Vecchio Testamento per Dylan è una fonte di ispirazione in senso stretto e anche una fonte di modello morale per la sua vita. Quindi ho affrontato questo progetto un po’ come si affronta una tesi universitaria, per mettermi nell’ottica, con curiosità, di imparare dalle mie ricerche. Però non volevo che il film riflettesse, sortisse, in un effetto didascalico, volevo che, al contario, trasmettesse la gioia, la complessità, l’effervescenza degli anni Sessanta, in modo da far sentire che cosa significava per un personaggio come lui stare all’interno della sua persona e allo stesso tempo subire tutte le pressioni che ha subito nella sua carriera. E’ per questo motivo che ogni personaggio sente i limiti nei rapporti con il mondo che lo circonda ed è a un certo punto costretto a cedere il passo al personaggio successivo, come se non avesse alternativa se non quella di cambiare la propria vita. E si instaura in questo modo un dialogo tra i vari personaggi. Heath (Ledger) ha ragione in quello che diceva prima. Io ho invitato gli attori a partire dalla propria interiorità per portarsi all’esterno. Io stesso sono stato affascinato da questo processo di cercare di entrare nella sua testa e poi uscire al di fuori, e non volevo che ci fosse l’onere, il peso di questa recitazione”.

    Io ho amato moltissimo il film che ho trovato a più livelli, molto approfondito e da rivedere, però allo stesso tempo mi sono sentito piuttosto inadeguato e impreparato, perché mi è sembrato di aver perso tanti riferimenti della poetica di Bob Dylan… Non crede che la stessa cosa potrebbe succedere agli spettatori quando andranno a vedere il film?

    T. HAYNES: “E’ un’ottima domanda da porre ed è un interrogativo su cui sto iniziando ora a riflettere in occasione dell’uscita del film. Io non mi aspetto che il pubblico possa comprendere tutto il sistema di riferimenti che c’è nel film per riuscire ad entrarci letteralmente dentro e a farlo suo. Mi auguro che sia uno di quei film… che sono più un’esperienza per lo spettatore, in modo che non sia un tentativo di comprensione a livello intellettuale di una cultura così complessa. Del resto la carriera di Bob Dylan è un insieme di riferimenti e comunicazioni a livello intellettuale, culturale e sociale, che sicuramente è impossibile avere la pretesa di riuscire a coglierli tutti. Ma il mio desiderio è proprio quello di offrire allo spettatore l’opportunità di entrare nel suo mondo musicale di pancia, senza voler necessariamente elaborarlo sul piano intellettuale. Ed è il motivo per cui non ha poi seguito il gioco di tentare di capire le battute del film, a quale strofa di canzoni possano corrispondere, ma in realtà ci sono tutta una serie di riferimenti che rientrano proprio nell’ambito dell’immagine, dell’iconografia del cinema degli anni Settanta che tutti noi abbiamo detto. E possiamo dunque partecipare a questa esperienza a un livello emotivo… Si tratta inoltre di una personalità molto complessa e dunque non esiste un’unica risposta… Spero che si possa guardare a questo film come ad un’esperienza emotivo-sensoriale”.

    Per ovvi limiti anagrafico-biografici lei non può aver avuto una conoscenza diretta di Bob Dylan, perché semplicemente è molto giovane. Per la sua conoscenza del personaggio ha in qualche modo collaborato la sua famiglia? Come è arrivato a conoscere Bob Dylan?

    H. LEDGER: “Beh, confermo che io negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta non c’ero, e quindi non potevo conoscere né sperimentare la vita di Dylan né il periodo. Però devo dire che la storia dell’amore, cioè l’amore in quanto tale è un qualcosa a cui tutti quanti noi possiamo rapportarci, e con cui possiamo creare un legame. Fondamentalmente poi la parte che mi riguarda, il personaggio che interpreto, è un po’ il racconto, la narrazione di quella che è la vita amorosa di Dylan. E comunque, come ho detto, io non sentivo né ho sentito di dover rappresentare il modo in cui l’amore veniva vissuto negli anni Settanta. Tra l’altro, credo che il set, i costumi, tutto questo ha fatto sì che io e gli altri potessimo essere immersi in quell’atmosfera e quindi non era necessario dover rappresentare una versione anni Settanta di quello che era l’amore all’epoca. Non ho certo domandato ai miei genitori se conoscessero Dylan, cosa ne sapessero di lui e della sua epoca anche perché dubito che le risposte che mi avrebbero dato, avrebbero potuto in qualche maniera risultarmi utili. Peraltro la musica, le canzoni di Dylan sono chiare, si spiegano da sole, sia per quello che riguarda ciò in cui lui credeva e crede, quello che è il suo pensiero, la sua concezione dell’amore, la sua idea di sofferenza. Io non ho fatto altro che andare ad attingere tutto questo, e mi è bastato ottenerlo attraverso l’ascolto della sua musica. E peraltro, come ho detto prima, per me è stato un gran piacere lavorare con Todd (Haynes) perchè lui, soprattutto per quello che riguardava le scene dove non c’era dialogo - e io ne avevo diverse - lui non faceva altro che mettere come sottofondo le musiche, le canzoni di Dylan che lui aveva scelto e che avrebbe poi inserito nel film, e quindi noi avevamo costantemente questa musica che ci accompagnava durante le riprese sul set, era un continuo sottofondo con la musica, le parole, l’anima di Dylan che ascoltavamo e quindi, così come lui invita il pubblico a fare questo viaggio musicale, invitava anche noi durante le riprese del film a seguirlo in questa avventura”.

    La musica di Dylan: quali canzoni, quali scelte e perché?

    T. HAYNES: “Non sono molti i riferimenti specifici al film sulla musica di quel periodo… Quello che sicuramente avevo in mente è stata la cosiddetta ridefinizione del genere western negli anni Sessanta… penso a film come ‘Butch Cassidy’ e a ‘Bud Garrett’, film che hanno sperimentato un punto di vista alternativo con la figura di antieroe che è stata enfatizzata dalla scelta delle musiche della colonna sonora… ”.

    Dylan è un personaggio elusivo… è sempre sfuggito ad ogni etichetta. In che modo il reale Bob Dylan ha collaborato al film?

    T. HAYNES: “L’idea di questi personaggi multipli che interpretano Dylan è stata proprio l’idea iniziale ed è quella che ho sottoposto al manager del reale Bob Dylan e a suo figlio Jesse. Nell’estate del 2000 mi è stato suggerito di scrivere un soggetto, di inviare i miei film e di inviarli a Bob Dylan, aspettando di vedere, senza aspettarmi molto perché le sue reazioni sono notoriamente imprevedibili, che cosa mi avrebbe risposto… Avendo avuto in passato esperienze poco fortunate in tal senso per altri film (su David Bowie), non avevo di fatto grandi aspettative perché nel caso di Bob Dylan si trattava di un personaggio ancora più grande. Finchè in realtà non ho poi ricevuto la telefonata con l’ok: gli piacevo, mi ha ceduto i diritti e ho ricevuto questo contrattino… che diceva ‘i diritti sulla vita e la musica di Bob Dylan vengono ceduti a Todd Haynes per l’eternità in tutto l’universo’. E tuttora non ci credo, temo che possa telefonarmi per dirmi ‘guarda, è stato uno scherzo’… Penso comunque che gli anni Sessanta siano un periodo talmente ricco a tantissimi livelli, talmente complesso e radicale che offrano ancora tanta materia di ricerca e di studio, che abbiano ancora un senso e penso che se ne continuerà a parlare e a reagire ancora per un po’… Questo film icarna anche lo sforzo condotto da Bob Dylan nel conciliare la sua vita pubblica con quella privata, le difficoltà che affrontava nel tentare di farlo. Naturalmente noi ci siamo basati sulla costruzione di questo personaggio, detto da due figure realmente esistite e dalle parole tratte dalle sue canzoni che descrivono questo capitolo biografico della sua vita: le sue canzoni d’amore sono estremamente complesse, alcune sono permeate di empatia, altre sono piene di astio e di risentimento e descrivono tutta la gamma di sentimenti che uno può provare… ”.

    Vorrei sapere se lei ha visto il film che Bob Dylan ha diretto negli anni Sessanta che includeva per l’appunto la presentazione di sei personaggi

    T. HAYNES: “Si”.

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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