RECENSIONE - Dal Tribeca Film Festival 2024 (In Anteprima Mondiale il 7 Giugno) - Elizabeth Banks al centro di un'inchiesta per la morte di una paziente: un fatale errore in chirurgia?
(A Mistake; Nuova Zelanda 2024; Thriller; 101'; Produz.: General Film Corporation, Ingenious Media, New Zealand Film Commission, Stavingoh Films, Te Puna Kairangi)
In the midst of a new scheme to publicly report surgeons' performance, a gifted surgeon's life is thrown into disarray as her colleagues begin to close ranks, and even her partner who is a nurse at the hospital turns her back on her.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
A Mistake di Christine Jeffs (montatrice e sceneggiatrice neozelandese, oltre che regista di Rain, Sylvia, Sunshine Cleaning), si direbbe passato in sordina, dopo l’Anteprima Mondiale in Giugno al Tribeca Film Festival. Film che vede di nuovo Elizabeth Banks (Skincare) a 360° sul campo: al centro di un importante groviglio di problemi, questa volta a sfondo sanitario, nello specifico, del reparto chirurgia con annessi e connessi. Aspetti reali e scottanti, che puntano il dito sulle responsabilità eventuali della chirurga Elizabeth Taylor nei riguardi di un’operazione effettuata in notturna come emergenza, con il team di rito che vede, tra gli altri, all’opera anche lo specializzando Richard (Richard Crouchley). Elizabeth Taylor! Nome davvero infelice che fa venire in mente la ben nota attrice della Hollywood degli anni d’oro, oltre che ricalcare in parte il nome della stessa interprete, Elizabeth, appunto, Banks.
Ad ogni modo, A Mistake affronta una tematica spinosa e tentacolare, come
evidenziato nel film stesso, il cui titolo suona alquanto esplicito: ‘un errore’. Ma fin quanto è accettabile l’errore in sala operatoria? In questo caso l’errore è stato quello di far intervenire, in ultima istanza, uno specializzando impreparato ad agire, così come a sostenerne il peso delle conseguenze. La responsabilità è sempre del chirurgo reggente: ‘la sepsi era troppo avanzata e la paziente non ce l’avrebbe fatta comunque, d’accordo, ma nel tentativo di endoscopizzare l’accaduto - proprio quando è in atto un cambio di rotta secondo cui si devono pubblicare i resoconti delle operazioni effettuate in ospedale e da chi - scatta una sorta di gogna per la chirurga Elizabeth/Banks, sia mediatica che intestina allo stesso ospedale, dove prima dell’accaduto godeva di un’ottima reputazione.
Si direbbe un ottimo soggetto, d’altra parte gestito non al meglio per una resa cinematografica adeguata. A cominciare dalla spettacolarizzazione dell’operazione stessa, con organi e viscere a
cielo aperto in stile E.R - Medici in prima linea, quando non ce n’era proprio bisogno. C’è forse tutta la meticolosa pignolaggine, pur nell’ovvia approssimazione, di un’ottica femminile, specializzata in montaggio più che in regia per il grande schermo. E, paradossalmente, proprio il divario sessista emerge in una sequenza in particolare, dove, per bocca del direttore Andrew McGrath (Simon McBurney) si punta il dito contro l’emotività femminile, per cui forse le donne non sarebbero l’ideale per gli studi in medicina. Anche se il discorso è ben più ampio e profondo, mentre si prendono ad esempio, le larve di mosche che puliscono le ferite.
C’è poi il lato umano del rapporto con i genitori della defunta che cercano la verità mentre, ovviamente, sono sconvolti per la morte della figlia. Tutti registri di grande respiro che, d’altra parte, si vedono qui condividere lo stesso spazio con numerosi intermezzi di vita privata della
Dr. Taylor, quasi ‘decorativi’ e neppure troppo chiari: l’identità omosessuale (si veda il rapporto affettivo con una collega di lavoro); le sequenze relative allo scardinamento del battiscopa e di parte della parete della sua casa, come a cercare qualcosa di mai rivelato esplicitamente; la conseguente superficialità con cui affronta la gestione del cane, affidatole temporaneamente dall’amica Jessica (Fern Sutherland), fino al tragico epilogo di scegliere, con la veterinaria, per la terminazione dell’animale, invece di chiamare immediatamente l’amica. Era lei a doverle dire addio, semmai! Si aggiunga il fatto di non aver risposto alle ripetute chiamate di Richard/Crouchley, lo specializzando delle cui condizioni psicologiche lei, la chirurga Elizabeth/Banks, era perfettamente a conoscenza: la crisi nera attraversata dal ragazzo proprio per l’accaduto in sala operatoria. Perciò lo stato confusionale di Elizabeth/Banks, per quanto sottopressione, finisce per screditare il suo effettivo livello di credibilità ed affidabilità , mentre finisce per sfociare di errore in
errore.
Dovrà passare parecchia acqua sotto i ponti, prima che la nostra chirurga approdi al suo riscatto morale, prendendosi ogni responsabilità mentre scava nelle dinamiche analitiche della infausta vicenda, con la giovane paziente deceduta, passando anche per i colleghi preposti alla terapia intensiva. Ma il vero riscatto, la Dr. Elizabeth/Banks lo guadagna con la visita finale, in un colloquio a cuore aperto, con i genitori della ragazza deceduta in terapia intensiva. Il prolungato, doppio piano sequenza, che la immortala all’uscita dalla loro casa, prima frontale poi da tergo, pone fine alla terribile vicenda, mentre lascia ancora aperti molti interrogativi e spunti su cui riflettere a fondo.