I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - VINCITORE del LEONE d'ORO a Venezia 81. - Il primo lungometraggio interamente in lingua inglese di Pedro Almodóvar vede protagonisti Tilda Swinton, Julianne Moore e John Turturro - Dal 5 Dicembre
Il film segue la storia di una madre imperfetta e di una figlia rancorosa, separate da un grave malinteso.
Tra di loro, un'altra donna, Ingrid (Julianne Moore), amica della madre, è la custode del loro dolore e della loro amarezza.
Martha, la madre (Tilda Swinton), è una reporter di guerra e Ingrid è una romanziera autobiografica. Il film affronta la crudeltà infinita della guerra, i modi molto diversi in cui le due autrici femminili si avvicinano e scrivono della realtà , della morte, dell'amicizia e del piacere sessuale come i migliori alleati nella lotta contro l'orrore. Ma evoca anche i dolci risvegli con il cinguettio degli uccelli, in una casa costruita nel mezzo di una riserva naturale nel New England, dove le due amiche vivono in una estrema e stranamente amabile situazione.
In dettaglio:
Ingrid Parker, famosa scrittrice di autofiction, dopo molti anni in cui ha vissuto a Parigi, torna a New York dove, alla Libreria Rizzoli, firma copie del suo ultimo romanzo. Qui, da un'amica comune, viene casualmente a sapere che Martha Hunt, con la quale ha perso i contatti da tempo, è affetta da tumore alla cervice in fase avanzata e si reca dunque a trovarla in ospedale. Martha è molto felice di ritrovare la sua amica e le spiega di essersi sottoposta a una immunoterapia sperimentale che dovrebbe salvarle la vita. Ingrid fa di tutto per sostenere Martha nella difficile prova e le due hanno modo di chiarire una situazione spinosa: molti anni prima, entrambe avevano avuto una relazione con lo stesso uomo, lo scrittore Damian, e questo le aveva portate ad allontanarsi.
Mentre l'amicizia tra le due si intensifica, Martha racconta a Ingrid alcune delle sue esperienze da corrispondente di guerra che l'hanno portata a riflettere sul senso della vita e dell'amore; le svela, inoltre, alcuni particolari del suo passato: la donna, che esorcizzava le immagini di morte con una vita sessuale definita da lei stessa "promiscua", ha infatti una figlia, Michelle, avuta quand'era molto giovane con Fred, reduce della Guerra del Vietnam. La figlia era stata concepita quando, per sollevarlo dai traumi subiti, Martha si era concessa occasionalmente a lui, ma non aveva poi voluto il suo aiuto nell'accudimento della bambina. L'uomo si era poi trasferito e aveva messo su famiglia con un'altra donna, mentre Martha, per seguire la carriera, aveva trascurato Michelle, instaurando con lei un rapporto sempre più conflittuale e finendo per allontanarsene. Martha racconta a Ingrid di esser stata contattata in seguito dalla moglie di Fred, che le aveva raccontato di come l'uomo fosse morto lanciandosi in una casa in fiamme credendo di sentirvi le urla di persone che volevano essere salvate. All'insaputa di tutti, Michelle, alla ricerca del suo padre biologico, aveva rintracciato la donna, e per farle del male aveva detto che la voce udita da Fred era quella di Martha.
L'immunoterapia non ha gli effetti sperati e a Martha vengono diagnosticate delle metastasi: i medici le danno solo qualche mese di vita. La donna rivela, dunque, a Ingrid di avere un piano: ha acquistato dal dark web una pillola in grado di sopprimere chi la assume e ha intenzione di usarla prima che la malattia la devasti del tutto; chiede, quindi, all'amica di assisterla rimanendo nella stanza accanto alla sua nel momento estremo. Ingrid è imbarazzata e confusa, ma accetta quando scopre che Martha si è rivolta ad altre amiche prima di lei e che tutte hanno rifiutato per l'orrore di questa richiesta. Martha si trasferisce con Ingrid in una sontuosa villa in campagna vicino a Woodstock: nella quiete dei boschi la donna ha deciso infatti di aspettare il momento in cui si sentirà abbastanza serena per congedarsi dalla vita. Per risparmiare a Ingrid lo strazio di vederla morta, inoltre, Martha dormirà sempre con la porta della sua stanza aperta, fino al momento in cui assumerà la pillola: quando Ingrid troverà la porta chiusa, vorrà dire che Martha non c'è più.
La convivenza tra Martha e Ingrid è all'inizio molto tesa: Martha alterna stati di euforia ad altri di prosternazione e, a causa delle terapie, dimentica spesso le cose (tra cui la stessa pillola, costringendo Ingrid a riportarla a New York non appena arrivate alla villa). Questa esperienza, inoltre, costringe Ingrid a porsi delle domande sulla propria esistenza e sul periodo storico in cui si trova a vivere, dove i valori sembrano sovvertiti e l'eutanasia ha la stessa valenza legale di un omicidio. Per non essere incriminata, infatti, la donna dovrà fingere di non essere stata messa al corrente della decisione di Martha: per questo motivo non ha parlato con nessuno della sua missione, a eccezione dello stesso Damian, che l'ha aiutata a trovarsi un bravo avvocato. Una mattina Ingrid trova la porta chiusa: in realtà si è trattato di una svista, ma Ingrid, credendo che Martha sia morta, ha una violenta reazione emotiva.
Ingrid viene accusata da un poliziotto fanatico di essere stata complice di quello che viene comparato a un crimine; la donna continua a fornire la versione concordata con Martha, ma vacilla quando scopre che una delle amiche a cui ella si era rivolta ha confessato che Martha voleva uccidersi già da molto tempo prima. L'avvocato presentatole da Damian riesce comunque a scagionarla. Martha ha, inoltre, diviso tutti i suoi lasciti, tra cui la villa in campagna, a metà tra Ingrid e Michelle: la figlia arriva quindi alla villa e Ingrid scopre con sorpresa che ella è identica a sua madre. Ingrid intuisce le fragilità di Michelle e promette a Martha di prendersene cura come se ella stessa fosse una preziosa eredità . Sedute nello stesso cortile dove Martha ha scelto di morire, Ingrid e Michelle ripensano a lei con commossa serenità .
Storyline:
Ingrid and Martha were close friends in their youth when they worked together at the same magazine. After years of being out of touch, they meet again in an extreme, but strangely sweet, situation. Ingrid, a successful author, discovers that her estranged friend Martha has terminal cancer. She feels compelled to reconnect.
They move to a quiet country house where they share deep and meaningful moments about the past, present, and future.
Martha wants to end her own life, and Ingrid supports her in that journey that leaves Ingrid with memories of their connection
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Nel racconto finale di Gente di Dublino, intitolato I Morti, James Joyce fa scendere la neve su tutta l’Irlanda: “La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina, dove era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i mortiâ€.
Nello struggente The Room Next Door (La stanza accanto), suo primo lungometraggio in lingua inglese - anticipato solo dai due corti The Human Voice e Strange Way of Life - Pedro Almodóvar parafrasa più volte questo celebre passo.
E lo fa tramite i due emisferi polari che mette in campo, vale a dire i due kolossal che travalicano ogni limite umano per andare oltre e sfiorare le sfere celesti: Tilda Swinton con la sua Martha e Julianne Moore con Ingrid, sono i due titani che sostengono quasi da sole l’impalcatura di questo doloroso, eppur a suo modo poetico, soggetto. Sicuramente il romanzo di riferimento - Attraverso la vita dell’autrice newyorkese Singrid Nunez - avrà fornito un ottimo materiale per la sceneggiatura che lo stesso Almodóvar ha provveduto a stilare. Ma, l’aspetto più straordinario è la veste indubbiamente drammatica, d’altra parte sapientemente ancorata alla vita, mentre si parla inevitabilmente di morte e di diritto all’eutanasia. Fatta eccezione per qualche sbavatura innestata a forza nella narrazione, per amore della stessa ‘militanza’ del regista, sceneggiatore e produttore, che poco rientra nelle dinamiche di queste due amiche, ritrovatesi dopo molto tempo in
Ingrid/Moore scrive per professione ed entra in scena in seno alla presentazione del suo ultimo romanzo che, per l’appunto, tratta di quello da cui è letteralmente terrorizzata: la morte. Curioso dunque che si ritrovi ad accettare di ‘accompagnare’ l’amica ritrovata, Martha/Swinton
- già corrispondente di guerra, e dunque anche madre assente - verso l’ultimo passo programmato per scrivere la parola fine. Ma l’amicizia e il rapporto che si ricrea tra le due donne, caratterialmente molto diverse tra loro, lo rende possibile. A renderlo anche piacevole, compatibilmente con la tragica situazione, è la scelta di quel sito lussuoso che paradossalmente è una carezza alla vita, per quanto in extremis, e ancora una volta in omaggio all’arte: si tratta per l’appunto di una villa nel bosco con piscina, nell’architettura pregevolmente ‘stilosa’ di Frank Lloyd Wright con annessi & connessi, tra cui, appunto… il quadro di Hopper. Nella potenza dell’Arte qui richiamata rientra la rivendicazione della Natura, con gli uccelli che cantano il loro inno mattutino, come speciale saluto ad ogni giorno che sta arrivando. Incidentali, sottese e pur insidiose, le interferenze ‘climatiche’ che accomunano il disastro personale a quello del mondo, quasi come
causa effetto. Altrettanto incidentali le ingerenze parallele del comune amante del passato Damian (nel cameo allargato di John Turturro), mentre il corollario degli altri interpreti ricadono come pedine strumentali, per poter rivangare i trascorsi principalmente di Martha in gioventù: quelli che l’hanno portata ad avere pessimi, per non dire nulli, rapporti con sua figlia.
Non mancano certo i passaggi illuminati in questo canovaccio che dipinge la prospettiva del fine corsa di una persona per scelta, rivendicandone il diritto alla dignità , mentre, di contro, imperversa il giudizio che prevede una punizione, in quanto opzione illegale. E’ questa illegalità a costringere la protagonista a ‘pescare nel ‘dark web’, per realizzare il suo proposito. Ed è ancora questa illegalità a legittimare l’ostinato terzo grado cui il poliziotto fanatico religioso sottopone Ingrid/Moore, con il preciso intento di incastrarla come complice. Ma tra i passaggi più illuminati, uno è mozzafiato e resta incollato addosso per contenuto
ed espressione: si tratta del monologo rabbioso di Martha al climax di uno script nudo e crudo, spalmato sul dolore autentico ed incontenibile di chi ha appena scoperto l’inefficacia della cura sperimentale: quello che eleva ed ascrive Tilda Swinton nell’olimpo dell’irraggiungibile e dell’inafferrabile. Tragicamente meraviglioso! Le sue ben note doti camaleontiche la vogliono qui alle prese con l’interpretazione anche di sua figlia Michelle e l’operazione funziona splendidamente. Mentre sul fraseggio della madre Martha, o in certi momenti di silente consapevolezza introdotta da intensi primi e primissimi piani, interviene, puntuale e provvidenziale, la luminosa e nivea dissolvenza, climax della superba fotografia di Eduard Grau. Fotografia che, agevolandone il percorso, veicola anche lo spettatore in questo processo di ‘accompagnamento’ a distanza: per l’appunto, ne La stanza accanto.