Oscar 2023: VINCITORE di 2 Statuette: 'Miglior Attore' (Brendan Fraser); 'Miglior Trucco e Acconciatura' (Adrien Morot, Judy Chin e Anne Marie Bradley) - Golden Globes 2023: NOMINATION a Brendan Fraser come 'Miglior Attore Protagonista' - Dalla 79. Mostra del Cinema di Venezia - RECENSIONE - Dal 23 Febbraio
Charlie (Brendan Fraser), un professore d’inglese che soffre di grave obesità , tenta di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente che si è allontanata da lui per cercare un'ultima possibilità di riscatto.
L’intimità che si crea tra lo spettatore e il protagonista è il cuore pulsante del film, che segue Charlie nel suo mondo per cinque giorni mentre cerca di riavvicinarsi a diverse persone a lui care - la figlia Ellie (Sadie Sink) che si era allontanata da lui, l'ex-moglie Mary (Samantha Morton), la sua migliore amica Liz (Hong Chau), i suoi studenti online e persino lo stralunato missionario che bussa alla sua porta.
Attraverso ognuno di questi incontri, viene messo a fuoco uno spaccato della vita di Charlie e, pian piano, emerge la straziante gravità della sua situazione. Il suo bilocale diventa un campo di battaglia in cui passato, presente e futuro incerto si incontrano e
combattono.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
A questo punto si può anche affermare che Darren Aronofsky è una garanzia. Ma non solo. Il suo è un cinema d’autore in tutti i sensi ed è in grado di sporgersi oltre ogni convenzione ed argine possibili. Si potrebbe parlare di un ‘cinema di rottura’ ma anche ‘endoscopico’ dell’animo umano. Nel suo cinema odierno si riflettono spicchi del singolare approccio a speciali narrazioni per il grande schermo. Così, in questo straordinario The Whale è possibile scorgere riflessi di una dipendenza altra (Requiem for a Dream), come di un’umanità sofferente e alla deriva, sperimentata altrimenti in The Wrestler. A Darren Aronofsky è sempre interessata l’esplorazione profonda dell’io in rotta di collisione con la Storia, con il nucleo familiare, o comunque con gli affetti, ‘spezzati’ a causa di errori e dipendenze che questi affetti hanno ferito e svuotato d’amore: laddove i rapporti si complicano in maniera quasi irreparabile, speculare alle ragioni
Lo spazio di un bilocale oscurato, e dunque non visibile all’esterno, è la location in cui vive il protagonista Charlie, insegnante on line di letteratura: un immenso e insospettabile Brendan Fraser (il Rick O'Connell ne
assolutamente autolesionista. La sua storia affiora da una griglia di soli cinque giorni, in cui ogni più semplice e banale movimento, causa a Charlie spasmi di dolore che lenisce, curiosamente, solo con la lettura di un saggio sul Moby Dick di Herman Melville.
La ragione del titolo The Whale (la balena) e, come vedremo, in dirittura dell’epilogo, di molto altro: praticamente la chiave di volta di tutta la storia e dell’identità più autentica di Ellie, la figlia adolescente (Sadie Sink, la Max Mayfield di Stranger Things), abbandonata all’età di otto anni, così come la madre e moglie Mary (Samantha Morton). Il motivo dell’abbandono, l’innamoramento per un suo studente, la cui morte, ha causato a Charlie un dolore tale, condito con sensi di colpa, che lo ha spinto verso quella deriva, laddove lo conosciamo. Proprio i sensi di colpa e la consapevolezza di essere a un passo dalla fine, lo pongono
Thomas di Ty Simpkins), con cui entra in contatto il Charlie di Fraser, personaggio con cui proviamo una strana empatia, a dispetto di un inizio poco idilliaco che lo vede ad edificarsi come meglio può, ispirato da un video porno omosessuale. Un altro ‘surrogato’, così come il cibo, letale terapia del dolore. Ma Fraser, ben diretto, dentro il suo Charlie, lascia trasparire una dolcezza e una grandezza d’animo che non avremmo sospettato, e pure un senso dell’umorismo, incredibile.
The Whale, come auto dichiarato dallo stesso Aronofsky, ha anche una dimensione di portata sociale: “affronta una domanda che amo trattare con le mie opere: come si trasporta lo spettatore dentro a dei personaggi in cui non si è mai nemmeno sognato di immedesimarsi?â€. Ecco, appunto, chi avrebbe potuto immaginare di potersi immedesimare in un personaggio come Charlie? Il cinema di Aronofsky riesce in questo arduo intento e ci riesce alla grande, trasferendo
alla sua macchina da presa, quel tocco di sensibilità rara, affidata spesso a dettagli che potremmo credere ininfluenti: come ad esempio l’importanza di recuperare una chiave caduta per terra e scoprirne le ragioni. O come trovarci testimoni della rivelazione di come è fatto dentro l’io più nascosto, anche retroattivo, di questo incredibile personaggio che Aronofsky celebra con un finale mozzafiato. Un finale che fa impallidire quel salto nel vuoto raccolto dal fermo immagine in The Wrestler. Un finale che blocca sulla porta Ellie/Sink, sulla scia dell’ennesima fuga, innaffiata di lacrime rabbiose, mentre, su richiesta del padre Charlie/Fraser ansimante, quasi di malavoglia, finalmente legge le parole di quel saggio su Moby Dick, che conferisce significato pieno a questa parabola di ‘redenzione’ annunciata. Sulle ali di una ‘levitazione’, appuntata sulla dissolvenza in bianco, per raggiungere di nuovo il mare. Un finale emozionante fino alle lacrime, e, semplicemente, celestiale!