Sulle montagne del Giappone, lo scienziato George Almore (Theo James) lavora di nascosto a un nuovo modello di androide che può rivoluzionare il concetto di mortalità: sta lavorando ad un'intelligenza artificiale che sia pari a un essere umano. Il suo ultimo prototipo è quasi pronto, ma questa è anche la fase più rischiosa. Soprattutto se lo scopo di George è di importanza vitale, riunirsi alla moglie defunta.
(Archive; REGNO UNITO/USA/UNGHERIA 2020; Sci-Fi; 109'; Produz.: Independent in associazione con: Hero Squared, Head Gear Films, Lipsync, Metrol Technology, Quickfire Films, Untapped, XYZ Films)
Cast: Theo James (George Almore) Stacy Martin (Jules Almore/J3/J2, voce) Rhona Mitra (Simone) Peter Ferdinando (Tagg) Lia Williams (Casa, voce) Toby Jones (Vincent Sinclair) Richard Glover (Melvin) Hans Peterson (Elson)
Musica: Steven Price
Costumi: Tóth András e Godena-Juhász Attila
Scenografia: Robin Lawrence e Gavin Rothery
Fotografia: Laurie Rose
Montaggio: Adam Biskupski
Effetti Speciali: Robert Horváth (supervisore)
Casting: Gemma Sykes
Scheda film aggiornata al:
04 Giugno 2022
Sinossi:
In breve:
Sulle montagne del Giappone, lo scienziato George Almore (Theo James) lavora di nascosto a un nuovo modello di androide che può rivoluzionare il concetto di mortalità: sta lavorando ad un'intelligenza artificiale che sia pari a un essere umano. Il suo ultimo prototipo è quasi pronto, ma questa è anche la fase più rischiosa. Soprattutto se lo scopo di George è di importanza vitale, riunirsi alla moglie defunta.
Short Synopsis:
2038: George Almore is working on a true human-equivalent AI. His latest prototype is almost ready. This sensitive phase is also the riskiest. Especially as he has a goal that must be hidden at all costs.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
“Sei nata per contenerla, dovevo essere sicuro che tu provassi le sue stesse emozioni”
Non c’è da meravigliarsi tanto del fatto che un robot provi sentimenti umani. Dalla narrativa anni Trenta agli stimolanti e piacevoli episodi anni Sessanta della celebre serie Ai Confini della realtà, ne abbiamo visti e sentiti di casi esemplari! Per non dire dell’iceberg Sci-Fi Blade Runner di Ridley Scott o dello stesso A.I. Intelligenza Artificiale di Steven Spielberg, magari passando per l’Uomo bicentenario di Chris Columbus (con un indimenticabile Robin Williams), per l’Ex Machina di Alex Garland o per l’Automata di Gabe Ibáñez (con un superbo Antonio Banderas). Un territorio che da sempre ha affascinato scrittori, sceneggiatori e registi, oltre che, naturalmente scienziati. Sicché ci si aspetterebbe oramai ben poco da questo Archive che, nel titolo italiano tiene ad aggiungere Non mi lasciare, quasi a rimarcare una specifica venatura di quel sentimento, tutto al femminile. Invece riesce
a sorprendere, al punto da risultare spiazzante.
Nel suo debutto alla regia, qui il visual designer di Moon Gavin Rothery - mentre lascia sul percorso alcune briciole in omaggio agli illustri precedenti, Blade Runner in particolare - cerca una sua strada che sceglie di non servirsi di grandi protagonismi né di effetti speciali fracassoni, per andare a recuperare piuttosto ambientazioni dal sapore antico, in linea con effetti visivi recuperati dal sci-fi più ‘primitivo’: le macchine di elaborazione sono spesso declinate in monocromo mentre si fa ricorso a tutta la foschia possibile in esterno, laddove ci si muove tra distese di bosco innevate. Proprio là, di lì a poco, scopriremo di trovarci in una isolata location di ricerca in Giappone, la remota struttura di sicurezza in cui George (Theo James), uno specialista di robotica, va intensamente lavorando ad un progetto privato. E George/James comunica e collabora con J1 e J2, dei robot
di differente livello che possono rievocare la celebre coppia di droidi in Star Wars, ma solo nell’idea di fondo. Non c’è difatti alcun umorismo in loro e mentre J1 si limita ad esprimere opinioni e/o lamentele con rumori o grugniti meccanici che solo George riesce ad interpretare, J2 mostra un incredibile, spiccato senso di gelosia, più tipico di una moglie che di un robot. Il che ha pure un suo senso logico.
Come in una struttura filmica tipo, orchestrata sulla frammentazione narrativa, costruita su schegge di memoria ad incastro, anche in Archive è data allo spettatore la chance di ricostruire per gradi, passando dal background reale del protagonista, il perché si trovi in quella location di ricerca. Location di cui egli si serve, all’insaputa dei responsabili, per tentare una sorta di avveniristica ‘sovrascrittura’: riesumare la moglie che, così come si lascia intendere, è rimasta uccisa in un incidente d’auto. Incidente
di cui egli si sente responsabile. La parte più interessante, svicolando tra indesiderate intrusioni sul campo di soggetti sconosciuti ed ambigui, si manifesta l’evoluzione umana di J2, il robot intermedio con cui George interagisce, cercando di parare i suoi colpi di umanità in eccesso. La sua attenzione è ora difatti focalizzata sul terzo prototipo, che sta prendendo forma grazie all’esistenza di J1 e J2. Rothery torna dunque sul motivo di un robot in grado di sviluppare una coscienza propria: J2 sa che George non è più interessato a migliorare lei, perché sta operando su J3, ed è evidentemente intenzionato a sviluppare in quest’ultima, tutti i miglioramenti possibili, fino alla completa ‘sovrascrizione di memoria’, pescando dal fatidico ‘archivio’. Una condizione sofferta quella di J2, come dimostra la sua drammatica decisione quando si vede impotente di fronte alla ‘rivale’. Non di minor interesse sono le reazioni emotive in fase di elaborazione da
parte di J3 - Stacy Martin (Jules Almore e voce di J3 e J2) - vere e proprie incontenibili esplosioni, cui solo la paziente e amorevole dedizione di George può farle superare.
Questo è almeno tutto ciò in cui siamo portati a credere. Vi è mai capitato di arrivare all’epilogo di una storia e vedervi costretti a riavvolgere il nastro per tornare a rileggerla, mutandone completamente il verso? Beh, è proprio questo il caso. Il finale di questo Archive è il geniale colpo da maestro che raggiunge lo spettatore come un meteorite in una limpida giornata di sole per fulminarlo all’istante. E dire che la J3 ormai completamente formata nel corpo e nella mente lo aveva avvertito: “No, non farlo, non rispondere, non farlo”! Ci si può immaginare in un mondo futuro di stabilire tempi e modi di dire addio ad un proprio caro? Non ci è certo dato saperlo,
ma è esattamente quel che Gavin Rothery ha immaginato e ricreato sul grande schermo con Archive.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)