"Il percorso che abbiamo attraversato per creare 'Balto e Togo: La leggenda' è stato difficile quasi quanto il viaggio rappresentato nel film stesso. L'idea è nata quasi 10 anni prima di essere in grado finalmente di realizzare il film. Tutta Hollywood mi diceva che non sarei stato in grado di realizzare questo film d’epoca su larga scala con cani, bambini e condizioni meteorologiche avverse con i mezzi di un film indipendente, ma sapevo che era una storia che dovevo raccontare. Ogni altro film o libro sulla Grande Corsa del Siero di Nome, in Alaska, nel 1925, raffigura Balto e Gunnar Kassan come eroi, ma durante le ricerche della storia ho scoperto che un cane da slitta di nome Togo e il suo proprietario Leonhard Seppala avevano in effetti coperto la maggior parte della distanza ed erano i veri salvatori degli abitanti di Nome. La loro storia meritava davvero di essere raccontata, per questo ho voluto scrivere la mia sceneggiatura dal punto di vista di Seppala. Quando ho iniziato a fare ricerche sull'argomento, in realtà sono andato in Alaska e ho trascorso 8 giorni con una temperatura di 25 gradi sotto lo zero, partecipando a una vera spedizione in slitta trainata da cani lungo il Mare di Bering. In questo modo ho potuto comprendere appieno che tipo di persona bisogna essere per vivere lassù in condizioni così avverse. Mi è nata una grandissima ammirazione per la forza d’animo di questi uomini e di questi cani e per le circostanze che hanno dovuto affrontare per salvare la città di Nome. Il potere del loro spirito e la forza della fede che devono aver avuto, ha motivato la storia di Seppala e Togo che ho scelto di raccontare. Per me, il messaggio di 'Balto e Togo: La leggenda' è che dal vero altruismo e dalla fede, specialmente nelle condizioni più avverse, può nascere la versione più potente dell'amore".
Il regista, sceneggiatore, co-montatore e attore Brian Presley
(The Great Alaskan Race; USA 2019; Avventura; 84'; Produz.: Rebel Road Entertainment e Battle Dawgs; Distribuz.: Notorious Pictures)
Soggetto: Ispirato a un'incredibile storia vera, accaduta nel 1925, quando un gruppo di musher ha percorso 700 miglia per raggiungere Nome, in Alaska, sfidando il maltempo e l'epidemia mortale.
Cast: Brian Presley (Leonhard Seppala) Treat Williams (Dottor Welch) Brad Leland (Sindaco Maynard) James Russo (Wild Billy) Henry Thomas (Thompson) Bruce Davison (Governatore Bone) Will Wallace (Gunnar Kaasen) Brea Bee (Constance) Emma Presley (Sigrid Seppala) Nolan North (Harry Devenport) Barbara Meier (Teri) Taliah Agdeppa (Kiana) Emily Jira (Yuka) C. G. Lewis (Edgar) Jeff Rosick (Charlie Evans) Cast completo
Johnny Dowers (Dan Green) Bruce Conrad (Simund) Eva Abshire (Alice)
Musica: John Koutslinis
Costumi: Rebecca Bertot
Scenografia: Jena Serbu
Fotografia: Mark David
Montaggio: Gabriel Ordóñez, Mark David e Brian Presley
Casting: Melissa Wulfemeyer
Scheda film aggiornata al:
05 Ottobre 2020
Sinossi:
In breve:
Dopo aver superato una tragedia personale, il padre vedovo e musher (nome con cui vengono chiamati i conducenti delle slitte trainate da cani) Leonhard 'Sepp' Seppala si fa avanti nel mezzo di un’epidemia di difterite a Nome, in Alaska, per consegnare l'antitossina all'ospedale. Con la vita della sua stessa figlia appesa a un filo, Sepp si lancia in questa missione impossibile, accompagnato dal suo branco di cani da slitta.
Un documento ‘storico’ straordinario, salito alla ribalta della cronaca nel remoto 1925, in un altrettanto remoto territorio: l’Alaska. Un frammento di cronaca che di questi tempi torna a sottolineare la dimensione dell’urgenza sanitaria in frangenti di ‘pandemia’, passando per l’improbabile decisione di affidarsi ai propri cani da slitta per recuperare, a centinaia di Km di distanza e tramite un’operazione a staffetta, l’antitossina alla difterite, non disponibile sul luogo: salvare la vita ai bambini che ne sono contagiati, in progress, su scala pandemica, appunto, diventa un diktat, eppure di non facile attuazione in luoghi impervi e condizioni atmosferiche estreme. L’eroico coraggio di un manipolo di uomini si fonde così alla resilienza di alcuni cani siberiani husky che, per quanto temprati, hanno affrontato l’inimmaginabile! Talmente inimmaginabile che il film The Great Alaskan Race, ovvero Balto e Togo la leggenda, ispirato per l’appunto da questo accadimento eccezionale, evita di ricrearne visivamente tratti e
dinamiche, costringendo lo spettatore a ricorrere alla fantasia personale per averne un’idea.
L'esordiente alla regia Brian Presley, che nel film interpreta pure l’addestratore protagonista Leonhard Seppala, rimasto presto vedovo con tutte le difficoltà di crescere da solo la piccola Sigrid, imbastisce un racconto oltremodo didascalico e, si direbbe, negazionista dell’immagine. Il che sembra un paradosso, quando rapportato proprio al cinema. Una veste filmica questa, che potrebbe avanzare la giustificazione di usare una cifra stilistica in linea con le stesse riflessologie della leggenda ormai acquisite nel tempo, ma in realtà si tratta di una pellicola tiepida e del tutto anonima, neppure idonea come racconto televisivo per ragazzi che, dal canto loro, esigono sempre un minimo di protagonismo. La ‘voice over’ è talmente pressante ed invadente da schiacciare immagini e protagonismo, perdendosi negli anfratti più mielosi della vicenda, mentre si ammicca fugacemente al celebre Balla coi lupi o a Il richiamo della
foresta. E’ come se si volesse recuperare la memoria di un qualcosa che, di fatto, si è perso nella notte dei tempi. Ma gli umori restano fondamentalmente quelli di una storiella per bambini con il difetto aggiuntivo che neppure ai cani protagonisti si fornisce la chance di un fotogramma memorabile. Operazione mancata anche nel tentativo di restituire all’husky siberiano Togo i meriti di cui ha beneficiato invece solo Balto, onorato pure di una statua al valore. Vincono su tutto i tratti documentaristici raggruppati nel finale, tra foto e reportage video in bianco e nero. Della cosiddetta ‘corsa contro la morte’ invece, solo la nebbia fitta di infernali tempeste di neve da 60° sotto zero, e il romantico fascino retrò di qualche dissolvenza premonitrice, vissuta dal ‘protagonista-non protagonista’ tra le braccia di Morfeo.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)