I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Pupi Avati torna dietro la macchina da presa dopo Il signor diavolo - Disponibile in prima assoluta su Sky Cinema e in streaming online su NOW TV dall'8 febbraio
"Con 'Lei mi parla ancora' ho voluto raccontare la storia di un grande amore, quello tra Nino e Caterina, un amore lungo 65 anni, un amore che dura oltre la morte. Il pretesto narrativo è un libro di memorie che il protagonista, rimasto vedovo, si è deciso a pubblicare affidandone la scrittura a un ghost writer romano, ambizioso e disincantato. Ed è proprio nella dialettica fra questi due personaggi, così apparentemente diversi tra loro, che ho scorto la possibilità di affrontare il presente della nostra terra e il suo meraviglioso passato, in quella porzione dell’Emilia così speciale che ha saputo trattenere, accanto alla modernità , il grande fascino del suo passato. Delle sue tante memorie. Ho raccontato la nostra terra, la nostra gente, attraverso una ennesima, diversa, angolazione. Per continuare a dare un senso al nostro lavoro"
Il regista e co-sceneggiatore Pupi Avati
(Lei mi parla ancora; ITALIA 2020; dramma romantico; 100'; Produz.: Bartlebyfilm e Vision Distribution in collaborazione con Duea Film; Distribuz.: Vision Distribution)
Cast: Renato Pozzetto (Giuseppe 'Nino' Sgarbi) Stefania Sandrelli (Caterina 'Rina' Cavallini) Isabella Ragonese (Rina da giovane) Lino Musella (Nino da giovane) Fabrizio Gifuni (Amicangelo) Chiara Caselli (Elisabetta Sgarbi) Matteo Carlomagno (Vittorio Sgarbi) Alessandro Haber (Bruno) Serena Grandi (Clementina) Gioele Dix (Agente letterario) Nicola Nocella (Giulio) Giulia Elettra Gorietti (Marta) Romano Reggiani (Rino Fenzi) Filippo Velardi (Bruno da giovane) Julia Princigalli (Gioia, figlia di Amicangelo)
Costumi: Beatrice Giannini
Scenografia: Giuliano Pannuti
Fotografia: Cesare Bastelli
Montaggio: Ivan Zuccon
Makeup: Antonello Resch
Scheda film aggiornata al:
20 Giugno 2021
Sinossi:
Nino e Caterina sono sposati da sessantacinque anni e si amano profondamente dal primo momento che si sono visti. Alla morte di Caterina, la figlia Elisabetta, nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita della donna che ha amato per tutta la vita, gli affianca Amicangelo, un editor con velleità da romanziere, per scrivere attraverso i ricordi del padre un libro sulla loro storia d’amore.
Amicangelo accetta il lavoro solo per ragioni economiche e si scontra subito con la personalità di un uomo che sembra opposta a lui. Ma il rapporto tra i due diventerà ogni giorno più profondo fino a trasformarsi in un’amicizia sincera.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
"L'uomo mortale non ha che questo di immortale:
il ricordo che porta e il ricordo che lascia" Cesare Pavese
modi possibili di relazionarsi in seno ad una coppia, un sentimento che va oltre la vita e la morte. Un sentimento che sa farsi immortale.
Non si tratta di interfacciarsi col ricordo, ma di riscoprire la presenza di una non più presenza attraverso gli occhi di un anziano che sente e rivede quella presenza-assenza, mentre ne ritrascrive anima e corpo, riportandola negli anni della gioventù che non c’è più, sfumata, obbediente alle leggi di natura, molti decenni prima. E’ quel che può succedere dopo 65 anni di matrimonio. Ed è quello che è successo a Giuseppe 'Nino' Sgarbi e a Caterina 'Rina' Cavallini, vale a dire i genitori di Vittorio ed Elisabetta Sgarbi. Una storia reale dunque, raccolta dal vissuto “in quella porzione dell’Emilia così speciale che ha saputo trattenere, accanto alla modernità , il grande fascino del suo passatoâ€. Un breve prologo come a teatro introduce una coppia in
abiti nuziali che si accinge al grande passo. Ma la sposa esige che prima lo sposo legga la lettera che gli ha scritto, avanzando una promessa. Poteva sembrare un gioco invece diventa la base fondamentale di un’unione durata una vita. Avati ondivaga tra il presente dell’anzianità e della decadenza, quando Nino - un monumentale e spiazzante Renato Pozzetto in un inedito ruolo drammatico che gli è valso il Nastro d’Argento Speciale 2021 - affianca nel letto la sofferente Rina (Stefania Sandrelli) prima che sia trasportata in ospedale in terapia intensiva. Le dinamiche di questo rapporto di dipendenza reciproca si aprono come un ventaglio, ora verso il passato (con la giovane Rina di Isabella Ragonese e il giovane Nino di Lino Musella), ora verso il presente. Una trasmigrazione intermittente condotta da Avati in un modo unico, delicato e profondo, passando dalla fitta trama di smarrimento e desolazione di Nino/Pozzetto che sembra
non raccogliere la morte della moglie e, fedele alla promessa fatta in abiti nuziali, ritiene che, da immortale, ‘lei gli parli ancora’, e che sia al suo fianco. Riluttante alla protezione della figlia Elisabetta (una intensa e calzante Chiara Caselli) e al libro di memorie che, vista la capacità di far riaffiorare dettagli inediti, vorrebbe lui scrivesse, anche per tenerlo occupato, Nino/Pozzetto parla con lei (la moglie Rina), anche se di fatto non c’è più, e parla con noi in voce fuori campo, mentre rievoca scorci di vissuto e riflessioni che Pupi Avati rende ancor più corpose tratteggiando citazioni dalla poesia classica di Pascoli od Ariosto.
Una rievocazione che ha preso corpo prima sulla pagina scritta che sul grande schermo, a dispetto della sua iniziale riluttanza: è per l’appunto dall’omonimo libro di Giuseppe Sgarbi che racconta per l’appunto la storia d’amore tra Nino e Caterina - un amore lungo 65
anni e mai finito, neanche con la morte di lei - che Pupi Avati ha liberamente tratto il film. E le dinamiche della redazione di queste memorie raccolte nel libro da un ‘ghost writer’ ambizioso ed irriverente, sono un’altra storia nella storia, pure di un certo interesse: lo snodo attraverso il quale il passato dei coniugi Sgarbi, nella trasfigurazione cinematografica di Avati, parla al nostro presente, va ad intessere ancora una volta una focale riflessione esistenziale che, paradossalmente, passa per la citazione di uno dei più grandi scrittori, lasciata come ultima eredità , a corredo del suo suicidio. Una sorta di beffardo ponte tra la vita e la morte con cui si torna al punto di partenza, ovvero, a quel che ci può essere di immortale nella dimensione umana: “L'uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia", lasciò scritto Cesare Pavese. “Promettimi
che ci vorremo sempre bene come oggi. Se riusciremo in questo, saremo immortali†scrisse, pressappoco così, la Rina al futuro marito il giorno delle nozze. Una storia capace di far capitolare dalle sue disincantate convinzioni persino il ‘ghost writer’ incaricato di raccoglierla, e indubbiamente in grado di smuovere qualcosa in ognuno di noi che, dopo aver visto il film, non riusciamo a dimenticarla.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)