"Londra era uno degli ultimi posti di cui Judy aveva ancora dei ricordi affascinanti e spensierati. Per Judy era sia un’ancora di salvezza che un'opportunità per dimostrare a se stessa e agli altri che poteva ancora farcela"
Lo sceneggiatore Tom Edge
"Una delle cose che mi ha davvero attratto della sceneggiatura è che riguardasse in particolare due momenti della carriera di Judy: l'inizio e la fine. Il film sarebbe potuto diventare una sorta di opera passionale sulla tragica fine e apoteosi di una specie di santa secolare. Sia una storia sulle origini che di una redenzione finale... Garland è una star di Hollywood all'antica. È remota, come lo sono tutte le stelle dell'età dell'oro, ma ero interessato al mondo in cui bilanciare la leggenda con la donna umana e reale: la madre e il mito. Ciò che sembrava molto umano era l'esplorazione nella sceneggiatura del bisogno di Judy di trovare l'amore e di trovare una casa - dopo tutto 'non c'è un posto come casa' - per trovare la normalità ".
Il regista Rupert Goold
Soggetto: Basato sullo spettacolo teatrale di Peter Quilter End of the Rainbow.
Abilità vocali eccelse, grande presenza scenica, vitalità irresistibile: sono solo alcune delle caratteristiche della vulcanica personalità di Judy Garland che le hanno permesso di conquistare il cuore di milioni di fan in tutto il mondo e di imporsi come una delle artiste più venerate della storia del cinema.
Il biopic Judy prova a raccontare la donna che si cela dietro la leggenda: una donna dal carattere indomito, forse incapace di gestirsi, che nonostante la fama e il successo non ha mai smesso di rincorrere un’ideale di vita normale, circondata dall’amore e dalla famiglia.
Il film racconta delle ultime apparizioni pubbliche della Garland: nel dicembre del 1968, la diva accettò di tenere a Londra una serie di concerti tutto esaurito al celebre night club “Talk of the Townâ€, per una durata di cinque settimane.
Candidatura per la miglior fotografia a Ole Bratt Birkeland
Candidatura per i migliori costumi a Jany Temime
Candidatura per la miglior scenografia a Kave Quinn
Era il 1939 quando il mondo veniva stregato dalle magiche note di “Over the Rainbow†e dalla voce della dolce e sognatrice Dorothy, protagonista del cult generazionale Il Mago di Oz. Di lì a breve, quel film avrebbe consacrato alla storia del cinema una delle più grandi entertainer mai esistite: Judy Garland.
Oggi, la vita pubblica e privata di una vera e propria icona non solo del cinema, ma anche della musica e del glamour, rivive sul grande schermo nel biopic Judy.
Il film racconta l’ultimo periodo della vita della grande attrice e cantante Judy Garland (Renee Zellweger), sul finire di una carriera sfolgorante iniziata giovanissima con la Dorothy del Mago di Oz. Un mix di fama e successo, fra Oscar® e Golden Globe, e poi la battaglia con il suo management, i rapporti con i musicisti, i fan, i suoi amori tormentati e il dramma familiare che la spinse a fare i bagagli e a trasferirsi a Londra. In quegli anni ci ha regalato alcune delle performance più iconiche della sua carriera.
Short Synopsis:
Legendary performer Judy Garland arrives in London in the winter of 1968 to perform a series of sold-out concerts
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
“Io le avevo le ambizioni, poi ho scoperto che mi facevano venire il mal di testaâ€
Sarebbe piaciuta molto alla vera Judy Gardland questa perla, in omaggio al capitolo finale della sua carriera, oltre che spicchio disastrato di vita privata, di madre intermittente e contraddittoria, e di moglie rinnegata per diverse volte con altrettanti divorzi, ma, soprattutto, donna prostrata da un grave abuso di farmaci. Donna fondamentalmente, profondamente, sola. Le sarebbe piaciuto constatare che, la sua preghiera rivolta al pubblico in scena l’ultima volta, di non essere dimenticata, è stata in effetti accolta. E che un film intenso e bellissimo come questo, con un’interprete che qui ha toccato le vette del suo ruolo più stellare - una Renee Zellweger tornata sul grande schermo alla grande - ne celebrasse umanità e talento con una portata immensa di autentico amore e rispetto. La celebrazione di un talento sopra le righe sbocciato sul nascere
- essere sul palcoscenico già all’età di due anni ha ben il suo rovescio di medaglia - ma soprattutto di un’umanità intensa e complicata che ha dovuto pagar pegno all’enorme sacrificio richiesto dall’implacabile copione della professione.
Ed è proprio il prezzo da pagare al precoce talento poliedrico di Judy Gardland, a farla da protagonista fin dall’inizio. Un inizio cinematograficamente stupendo, da manuale, in cui il volto di una ragazzina in primissimo piano, sguardo in macchina, in un piano sequenza, raccoglie le pacate ma ferme parole di quella sorta di sermone di colui che ha in mano le redini del film in corso di cui la piccola Judy è protagonista: stiamo parlando della inimitabile Dorothy nel popolarissimo Il mago di Oz. E’ una riflessione per l’appunto sul prezzo da pagare, altissimo, come vedremo: fatto di dieta rigorosa - la torta finta di un compleanno festeggiato due mesi prima rende già l’idea! -
e di innumerevoli altre limitazioni, forti ed invasive al punto da mandare in crisi chiunque. La difficoltà a dormire inizia presto, così come pure l’abuso di farmaci e alcool in età adulta. L’inizio dice molto in proposito ma l’incantevole montaggio assestato sui ricordi di gioventù della Gardland adulta, addensa il frullato dell’immenso dramma personale della nostra protagonista: una vita spesa sui palcoscenici e un grande amore per i figli mal gestito tanto quanto l’idea di famiglia. E questo anche alla luce di una indigenza crescente al crepuscolo della sua carriera, quando si vede costretta a lasciare i figli all’ex marito per rifugiare a Londra dove le si prospetta più facile far cassa. Una città che la ama ancora e che lei ricambia, ma non tutto può filar liscio come l’olio. Anzi. Le difficoltà affettive e caratteriali, amplificate di segno dal ricorso insistito a farmaci ed alcool arrivano a farle perdere
il controllo proprio sul palcoscenico. E, come ben si sa, pubblico e stampa non perdonano.
un qualcosa che non si può descrivere, ma per il quale mi auguro che al Golden Globe già vinto, possa affiancarsi anche l’Oscar. Se lo meriterebbe davvero. E se l’inizio era da manuale, non voglio dirvi del finale: un incanto di luminosità incandescente racchiuso in un iceberg di umanità talmente grande, da rendere possibile ad un collega cederle il passo sul palcoscenico, per un’ultima volta. Un’ultima volta, dopo essersi autoesclusa dal programma che le apparteneva, se solo non se lo fosse lasciato sfuggire di mano malamente. Alle volte, farsi del male viene così inesorabilmente naturale! Un tocco da maestro il modo di spegnere definitivamente i riflettori e guadagnare la fine del film, che fa onore alla regia di Rupert Goold (navigato più sul teatro che sul cinema in cui fa il suo ingresso con True Story nel 2015).
Ed ecco allora che di Judy resta l’eco di una voce inimitabile, remota,