1943. Mentre il mondo è nel pieno della seconda guerra mondiale, Arturo vive la sua travagliata storia d’amore con Flora. I due si amano, ma lei è la promessa sposa del figlio di un importante boss di New-York. Per poterla sposare, il nostro protagonista deve ottenere il sì del padre della sua amata che vive in un paesino siciliano. Arturo, che è un giovane squattrinato, ha un solo modo per raggiungere l’isola: arruolarsi nell’esercito americano che sta preparando lo sbarco in Sicilia, l’evento che cambierà per sempre la storia della Sicilia, dell’Italia e della Mafia.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Storia d'amore ai tempi della seconda guerra mondiale. Nella rivisitazione tragicomico-neorealista di Pif (La mafia uccide solo d'estate) ancora questioni di mafia, paradossalmente consolidata con lo sbarco degli americani in Sicilia. E mentre flirta a modo suo con la cifra chapliniana già adottata da Roberto Benigni, ricordandolo in un paio di sequenze-citazione de La vita è bella, Pif dedica In guerra per amore ad Ettore Scola
Può una 'commedia degli equivoci' aprire il varco allo sbarco degli americani in Sicilia per la liberazione da criminali dittature in piena seconda guerra mondiale? Si. Eccome se può! Basta non saper pronunciare correttamente la parola 'water' (acqua) e convertirla in un mal masticato 'war' (guerra) e il gioco è fatto. Il nostro Arturo/Pif lascerà l'America e il suo sogno di ragazza (Flora/Leone) per raggiungere il padre di lei in Sicilia, nel pieno del conflitto bellico, per chiedergli la mano dell'amata. In guerra per amore, per l'appunto. E
con l'approdo, atteso dalla gente del posto con grandi aspettative e speranze, compaiono tutta una serie di personaggi spuntati dall'antico neorealismo per tratteggiare, in un voluto macchiettismo di marca teatrale, tutto il ridicolo, l'assurdo di certi, di contro ad un cuore grande di altri - dei più - malgrado la sofferenza anche della fame. E' in questa rocambolesca giostra di vicissitudini, tra un allarme e l'altro per l'avvicendarsi dei bombardamenti, che paradossalmente non sappiamo evitarci di sorridere per le trovate umoristiche a grappolo che ravvivano sequenze altrimenti ultra drammatiche. E sorridiamo, per il candore e l'ignoranza del nostro protagonista, tanto quanto per quello del padre con il figlio in guerra e con la statua di Mussolini nell'armadio al posto della Madonna, cui raccomandarsi: esilarante il modo di riprendere le scaramucce tra l'anziana proprietaria della statua della 'Madonnina' con le braccia alzate in segno di Misericordia e quella di Mussolini con
il braccio levato nel saluto militare che purtroppo tutti ben conosciamo. Un siparietto di marionette nel teatro della vita, laddove c'è ben poco da ridere, soprattutto sulla spiaggia dei diversi epiloghi per entrambi i protagonisti. E Pif sa essere un regista anche piuttosto raffinato nel far parlare solo certe immagini che, mentre solleticano ancora un sorriso, schiaffeggiano con il ridicolo l'onta reale.
Si diceva 'commedia degli equivoci'. Fortissimo l'alter ego confezionato da Pif in In guerra per amore della mitica sequenza tragicomica con la 'traduzione aleatoria' - di altra portata chiaramente! - ideata da Roberto Benigni ne La vita è bella. Il sorriso coniugato con la lacrima come Maestro Chaplin ha insegnato. D'altra parte neppure a Pif fa difetto mostrare come sull'onda dell'equivoco si può anche morire. Momento in cui il suo personaggio Arturo realizza il significato e la portata di un altro amore, quello per il proprio Paese. Momento
in cui l'individuo lascia che l'interesse personale attenda il suo turno - attesa nell'attesa! - per dare priorità all'interesse comune di un popolo.
Così, ridendo e scherzando il neo Arlecchino Pif ci va giù duro. Denunciando tutto quello che c'è da denunciare, con tanto di nome e cognome: tante sono le sequenze che snocciola sulle note dell'umorismo, quante sono le aspre denunce che spoglia degli orpelli dell'ipocrisia, magari proprio attraverso quel teatrino volutamente macchiettistico di cui sopra. E che sia stato voluto lo dimostra il fatto che quando ha ritenuto il momento - un volo d'uccello niente più, ma sufficiente! - Pif ha pescato tra i documenti, tornando, con la scusa della traduzione, al presente di allora con il ticchettare della macchina da scrivere, non dimenticando un cenno al reportage documentaristico. I modi con cui può permettersi di schiaffeggiare chi, con le mani ancora insanguinate da crimini inaccettabili, sale al
potere pure maggiorato di grado. In guerra per amore suona dunque come deliziosa e pur pungente lirica tragicomica di un dolore antico in viaggio dal passato per pungolare il presente. Un carico di tutta l'ironia e il sarcasmo amaro che due tragedie come mafia e guerra possono suscitare nell'animo umano, terremotato dall'inesorabile crollo della democrazia, quella vera, come le macerie di quel che resta. L'iperbole di una lunga attesa... che qualcuno tra i pochi onesti si accorga... che qualcuno che conta si decida ad ascoltare. Ma lo straordinario finale, dopo un consuntivo di marca politica un pò troppo elementare e sommario - ma vero è che la voce fuori campo del protagonista mentre racconta è speculare alla schiettezza e semplicità della gente comune del paesino della Sicilia dove sbarca, militare tra i militari americani - è proprio l'attesa che si appresta a celebrare. Un'attesa senza fine. L'unica metafora che soffia
ancora un vento gelido dagli archivi della Storia quando noi, per tutta risposta preferiamo continuare ad indossare un caldo cappotto per non sentirlo. Così come non sentiamo, o non capiamo, come quel bambino, le parole della canzone di suo padre: "... a volte le cose si possono cambiare ma dipende solo da te".