Stasera 9 Giugno, in TV, su Sky Cinema 1, Canale Sky, ore 21, 15 - I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Dalla XIII. Festa del Cinema di Roma - Dal 27 Luglio
Soggetto: La pellicola è l'adattamento cinematografico del libro A Time to Die scritto da Robert Moore sull'incidente del sottomarino K-141 Kursk avvenuto il 12 agosto del 2000.
Joel Basman (Leo) Pit Bukowski (Maxim) Chris Pascal (Niko) Kristof Coenen (Sasha) Pernilla August (Oksana) John Hollingworth (Bruce Hamill) Eva van der Gucht (Marina Lebedev) Josse De Pauw (Vadim Markov)
Musica: Alexandre Desplat
Costumi: Catherine Marchand
Scenografia: Thierry Flamand
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Montaggio: ValdÃs Óskarsdóttir
Effetti Speciali: Philippe Desiront e Ramdam (supervisori effetti visivi)
Kursk racconta la storia vera del Kursk k-141 - l'orgoglio della Marina Russa - un sottomarino a propulsione nucleare che affondò nelle profondità del Mare di Barents... nell'agosto del 2000.
Come i marinai hanno combattuto a bordo per la sopravvivenza con i sub disabilitati e come hanno combattuto disperatamente le loro famiglie contro ostacoli politici e non per salvarli.
In dettaglio:
Il 10 agosto del 2000, il K-141 Kursk - un sottomarino a propulsione nucleare due volte più grande di un jumbo jet e più lungo di due campi da calcio, l'orgoglio della Flotta del Nord della Marina Militare Russa - intraprese un’esercitazione navale, la prima in dieci anni. Le manovre comportarono l’impiego di 30 navi e 3 sottomarini. Due giorni dopo, due esplosioni interne, così potenti da essere registrate sui sismografi dell’Alaska, spedirono
il sottomarino sul fondo delle acque artiche del Mare di Barents. Solo 23 dei 118 marinai a bordo sopravvissero: nei nove giorni seguenti, lottarono per salvarsi, mentre le operazioni di soccorso procedevano a singhiozzo e i loro familiari si battevano disperatamente contro gli ostacoli burocratici.
Synopsis:
Kursk tells the true story of the K-141 Kursk — the pride of the Russian Navy — a nuclear-powered submarine that sank to the bottom of the Barents Sea in August 2000. As the sailors fought for survival aboard the disabled sub, their families desperately battled political obstacles and impossible odds to save them.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Non è certo la prima volta che la ‘Madre Russia’ cerca di nascondere la polvere più putrida sotto il tappeto, ma prima o poi, basta una folata di vento, che viene fuori tutto alla luce del sole. La storia di Kursk di Thomas Vinterberg (Festen, Il sospetto, Via dalla pazza folla, La comune, Un altro giro) è solo l’anello cronologicamente più prossimo, su un lastricato di crimini commessi ai danni dei propri marinai e delle loro famiglie, pur di non ammettere il fallimento.
Il Kursk di Vinterberg segue a distanza di ventidue anni la pellicola di Kathryn Bigelow K-19, di ben altro risultato ed impatto, sia per il talento di regia che degli interpreti: Liam Neeson, Harrison Ford e gli altri, di un cast ben più rodato ed impressivo. Pellicola che si basava sulla vicenda del sottomarino sovietico K-19, appunto, il primo sommergibile nucleare dell’URSS che nel 1961, durante il
Fatta eccezione per il primo, suggestivo, piano sequenza in cui, padre - il Mikhail di Matthias Schoenaerts - e figlio - l’intenso Misha di Artemiy Spiridonov - sperimentano un record sott’acqua nella vasca da bagno di casa - metaforico della vicenda addivenire - Kursk indugia, (fin troppo), sulla sfera privata. La serenità familiare è condivisa con la moglie Tanya (Lea Seydoux) di nuovo in attesa del secondo figlio, focalizzata in alcune sequenze di ordinaria quotidianità , prima che il tutto si traduca nel classico ‘disaster movie’, quando per la maggior parte del tempo, l’intero film si prende in carica la lotta per la sopravvivenza di quei marinai. Una lotta allo stremo delle forze in condizioni estreme, appena stemperate da qualche battuta umoristica a carico della stessa Marina, sull’onda di un pasto di fortuna, e della barzelletta dell’orso polare. Il montaggio alternato tra la vita dei familiari a casa e
la sopravvivenza nel sottomarino, vede anche le dinamiche operative di tentato e fallito salvataggio dei marinai sopravvissuti al netto di due (spettacolari) esplosioni e, di conseguenza, allagamenti in vari comparti del sottomarino.
Dinamiche operative che si intrecciano con l’offerta di aiuto da parte degli Stati Uniti - un accademico Colin Firth nei panni del Commodore David Russell conduce le relazioni diplomatiche - ostinatamente rifiutata e accettata quando ormai è troppo tardi. La collera dei familiari dei marinai nei confronti degli ufficiali governativi, insensibili non solo alla vitale esigenza di sapere dei congiunti, ma anche ottusi nel non voler riconoscere i grossi limiti dei propri mezzi a disposizione, esprime tutta la deriva umana di alcuni governativi, della cui vergogna si fa carico Max Von Sydow con il suo coriaceo Vladimir Petrenko. Per timore di svelare la propria debolezza la Marina sovietica ha preferito far morire i propri marinai. Un punto
preso che, nel tempo, pare stia diventando un motivo firma, e che ha aperto l’obiettivo su un’altra vergognosa vicenda, per nuovo film di denuncia.
Ma la denuncia più altisonante nel film ci giunge dal figlio Misha/Spiridonov che tocca il suo climax quando si rifiuta di dare la mano all’ufficiale Petrenko, gesto esemplare anche per i bambini che lo seguono. Gesto apprezzato anche dai governativi ancora con un cuore, che si premurano di restituire a Misha/Spiridonov l’orologio subacqueo appartenuto al padre. Orologio che si era venduto per racimolare il denaro sufficiente a festeggiare il matrimonio di un giovane collega. Una storia di legami spezzati per sempre, dunque, eppure con i propri morti ancora in grado di parlare, dagli alti scranni della Storia, quella che non conosce menzogna e che cede sempre la parola alla Verità .